La svolta economica e sociale potrebbe avvenire, ma bisognerà vedere in che misura. Il Messico è infatti membro del Nafta, il “mercato comune” con Stati Uniti e Canada che ne ha castrato per decenni le possibilità di sviluppo, nonostante riserve petrolifere un tempo assai alte e oggi in progressiva riduzione.
Per ottenere il via libera da una parte della “classe dirigente” messicana, Obrador ha dovuto annacquare non poco il suo programma politico, incentrato comunque sulla parola d’ordine “prima i poveri”. Se n’è avuta una dimostrazione con le prime dichiarazioni successive alla resa dei suoi due prinicpali concorrenti – il candidato del partito al governo (Pri), José Antonio Meade, e Ricardo Anaya, che guidava una coalizione destra-sinistra con il Pan e il Prd, rispettivamente terzo e secondo.
La
patria viene prima di tutto»; «Il nuovo progetto della nazione punterà a
stabilire una democrazia autentica, ma non vogliamo costruire una
dittatura né aperta, né coperta. I cambiamenti saranno profondi, ma
avverranno nel rispetto dell’ordine legale stabilito. Ci sarà libertà di
impresa, di espressione, di associazione e di religione. Si
garantiranno tutte le libertà individuali e sociali, così come i diritti
civili e politici consacrati nella nostra costituzione»; «il nuovo
governo manterrà la disciplina finanziaria e fiscale. Si riconosceranno
gli impegni presi con le imprese, le banche nazionali e straniere»,
anche se «i contratti del settore energetico saranno rivisti, per
prevenire atti di corruzione e illegalità».
Del
resto Amlo sa meglio di chiunque altro, in Messico, che vincere le
elezioni è solo una piccola parte del problema. La partita politica, da
quelle parti, non si è giocata quasi mai soltanto sul piano del consenso
popolare, ma quasi sempre su quello più brutale dei rapporti di forza
militari. E Amlo non è Chavez, a partire dal fatto che il secondo poteva
contare sulla fedeltà di gran parte dell’esercito…
Obrador
ha dunque garantito che «non attueremo il programma in maniera
arbitraria, né ci saranno confische o espropriazioni di beni», per
tranquillizzare al massimo possidenti, imprese, multinazionali. Ossia
chi tiene di fatto in mano i cordoni (i “cappi”) del potere finanziario,
assai più volatile di quello industriale, e soprattutto il “combinato
disposto” tra forze dell’ordine, esercito, squadroni della morte e
narcotrafficanti; spesso indistinguibili l’uno dall’altro, specialmente
ai vertici.
La
prudenza di Amlo, insomma, non è una “questione ideologica”… La vera
sfida del cambiamento sociale riparte in tutta l’America Latina,
contrastando quella che sembrava una inarrestabile rivincita da parte
dell’imperialismo statunitense (la caduta “processuale” dei governi
progressisti in Argentina, Brasile, Paraguay, ecc). Ma non è – non è mai
stato – “un pranzo di gala” da misurare soltanto col metro della
“rivoluzionarietà” immediata degli atti del nuovo governo.
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