Nel dibattito che si è scatenato a seguito della proposta di legge del governo giallo-verde sulle chiusure domenicali ci sembra opportuno fare chiarezza. Ecco le risposte alle cinque obiezioni più frequenti.
Una premessa è doverosa: ci
sembra evidente che la chiusura dei centri commerciali la domenica non
risolva di colpo i problemi che affliggono il lavoro nel commercio, e il
lavoro in generale. I temi restano sempre gli stessi e sono: la
precarietà, il ricatto che questa porta con sé, i bassi salari, il
mancato rispetto dei diritti contrattuali. La ricetta per affrontarli:
l’esplosione e lo sviluppo duraturo di conflitti e battaglie sindacali,
dentro e fuori i posti di lavoro. Una volta chiarito questo punto, per
noi abbastanza ovvio, vediamo perché – spoiler allert – la proposta è a
nostro avviso tutt’altro che sbagliata. Su alcune questioni dovremo
procedere per semplificazioni, altrimenti non basterebbero 6-7 pagine,
speriamo però di farci comprendere senza equivoci.
Partiamo con l’elenco delle principali obiezioni.
1) Bisognerebbe intervenire sui contratti e retribuire maggiormente il lavoro domenicale; così, chi vuole, può lavorare e, chi non vuole, restare a casa.
Certo, questa obiezione appare di buon senso, ma non fa i conti con la realtà. Ovviamente le domeniche andrebbero retribuite maggiormente (già avviene, seppur non abbastanza), ma il tema prevalente, oggi, è esemplificato dalla domanda: “chi ha libertà di scelta all’interno del mondo del lavoro”? I dati ci consegnano la moltiplicazione esponenziale di contratti a termine, il Jobs Act ha esteso la precarietà a qualsiasi forma contrattuale, tutti i segnali ci indicano che il ricatto della precarietà si rafforza e non diminuisce. Se il datore di lavoro chiede di fare un turno domenicale, in queste condizioni, è veramente possibile scegliere e rifiutarsi? Se lavoratrici e lavoratori guadagnano una miseria faticando anche la domenica, è così assurdo che pensino “a questo punto, almeno la domenica me ne resto a casa’”? Con questo ragionamento vogliamo forse dire che non è necessario lottare per contratti migliori e per ottenere rapporti di forza più vantaggiosi? Chiaramente no, ma siamo convinti sia necessario costruire condizioni favorevoli all’esplosione di queste lotte, anche solo portando il dibattito pubblico in questa direzione.
2) Con la chiusura dei centri commerciali la domenica si mettono a rischio posti di lavoro.
Torniamo alle basi. Questa obiezione ricorda da vicino quella appena mossa al Decreto dignità (misura totalmente inefficace, lo abbiamo già chiarito), e che spesso viene mossa ai pur timidi tentativi di limitare la precarietà. Se elimino i contratti a termine, è possibile che invece di trasformarli in contratti a tempo indeterminato alcuni lavoratori non vengano “rinnovati”. È un motivo per non combattere la precarietà? Se mi oppongo seriamente al lavoro nero, è possibile che alcuni di quei lavoratori non saranno assunti regolarmente, ma solo allontanati. È un buon motivo per non combattere il lavoro nero? Se chiudo i centri commerciali di domenica, è possibile che, invece di mantenere pari salario ai lavoratori, questi vengano allontanati o gli venga ridotto il salario: è un buon motivo per non rivendicare riposo e possibilità di avere una vita non interamente assorbita dal lavoro? No, non lo è. Questo ci aiuta a comprendere come ogni provvedimento, anche la battaglia contro il lavoro nero, se non accompagnato da lotte robuste e da misure in grado di rompere il ricatto della povertà (vedi reddito di base) rischiano di mostrare l’altra faccia della medaglia; ma di certo non crediamo che, a causa di questi elementi, sia opportuno rinunciare alle giuste trincee. Forse iniziare a dire che il problema non sono i provvedimenti come il Decreto dignità o la chiusura dei centri commerciali, il problema è che questi provvedimenti non hanno alcun effetto sostanziale, pur azzeccando una direzione, potrebbe risultare molto più utile.
3) La chiusura domenicale è una battaglia antica, ormai il sistema in cui viviamo ci costringe a lavorare e consumare 24h, 7 giorni su 7.
Questa obiezione non meriterebbe risposta se non arrivasse, in maniera preoccupante e allo stesso tempo coerente con lo smarrimento in cui viviamo, da diversi settori della “sinistra”. Il fatto che bisogna lavorare e consumare 24h non è il punto di partenza, ma è la posta in palio dello scontro, il tentativo di spingere i limiti dello sfruttamento oltre i confini spaziali e temporali. Insomma, è una lucida tattica per aumentare i profitti, non il naturale frutto del progresso. Opporsi a questo processo, mettendo da parte la confusione, è il nostro compito.
4) Si tratta di un provvedimento di facciata, utile solo a distrarre da altre questioni; per di più, del tutto inefficace.
Questa ci sembra l’obiezione più sensata. Come in premessa, ripetiamo che non può bastare chiudere i supermercati di domenica se non si abolisce il Jobs Act. Non si tratterà di un provvedimento efficace, se non si accompagnerà all’istituzione di un vero reddito di base, e non l’elemosina condizionata ipotizzata e proposta dal M5S. Non avrà alcun impatto positivo, perché si tratterà di una fetta di lavoratori ridottissima, probabilmente, anzi, si tratta di un provvedimento che si limita a strizzare l’occhio al piccolo commercio e la cui esternalità positiva è quella di coinvolgere una parte piccolissima del lavoro nel commercio. Detto questo, se anche tutte queste obiezioni fossero vere, non capiamo come il provvedimento in questione possa essere considerato deteriore o come non si riesca a percepire l’utilità di portare il discorso in un campo che pone maggiore attenzione alle condizioni di lavoro, anche a scapito dei profitti.
5) Ma lo sapete in qua nti lavorano la domenica (detta anche: “obiezione Battista”).
Come ci ricorda un sagace editorialista del Corriere della Sera, attraverso un elenco dettagliato e non troppo esaustivo, una sfilza assai ampia di soggetti sono costretti a lavorare la domenica. Questa è di certo la nostra obiezione “preferita”: per tornare nella sfera dell’ovvio, nessuno si sognerebbe di chiedere la chiusura domenicale degli ospedali, o di fermare il trasporto pubblico, di chiedere alle ambulanze di non circolare, ecc. Ma anche in questo campo è obbligatorio, e forse il dibattito ci aiuta, aprire una riflessione. Da anni, con le CLAP seguiamo la vertenza di una clinica riabilitativa (privata accreditata) le cui lavoratrici si battono contro il ciclo continuo e l’obbligo di lavorare ogni domenica. Il problema in questo caso è la cronica carenza di organico che caratterizza le strutture sanitarie, sia pubbliche che private in convenzione. L’attenzione ai profitti a svantaggio del lavoro produce condizioni che costringono al ciclo continuo, al lavoro domenicale e nei festivi senza nessuna sosta. Basterebbe ampliare la pianta organica, stabilizzando precari e finte partite Iva, per non costringere le lavoratrici a rinunciare alla propria vita. Si possono chiudere ospedali o cliniche? Ovviamente no. Si può tentare di ristrutturare il lavoro a partire anche dal diritto al riposo? Assolutamente sì, anzi, bisogna farlo.
Anche se questo provvedimento non risolve e non risponde a tutte le questioni, di certo permette di gettare lo sguardo in una direzione verso la quale, da troppo tempo, in molti hanno rinunciato.
Articolo pubblicato su clap-info
Partiamo con l’elenco delle principali obiezioni.
1) Bisognerebbe intervenire sui contratti e retribuire maggiormente il lavoro domenicale; così, chi vuole, può lavorare e, chi non vuole, restare a casa.
Certo, questa obiezione appare di buon senso, ma non fa i conti con la realtà. Ovviamente le domeniche andrebbero retribuite maggiormente (già avviene, seppur non abbastanza), ma il tema prevalente, oggi, è esemplificato dalla domanda: “chi ha libertà di scelta all’interno del mondo del lavoro”? I dati ci consegnano la moltiplicazione esponenziale di contratti a termine, il Jobs Act ha esteso la precarietà a qualsiasi forma contrattuale, tutti i segnali ci indicano che il ricatto della precarietà si rafforza e non diminuisce. Se il datore di lavoro chiede di fare un turno domenicale, in queste condizioni, è veramente possibile scegliere e rifiutarsi? Se lavoratrici e lavoratori guadagnano una miseria faticando anche la domenica, è così assurdo che pensino “a questo punto, almeno la domenica me ne resto a casa’”? Con questo ragionamento vogliamo forse dire che non è necessario lottare per contratti migliori e per ottenere rapporti di forza più vantaggiosi? Chiaramente no, ma siamo convinti sia necessario costruire condizioni favorevoli all’esplosione di queste lotte, anche solo portando il dibattito pubblico in questa direzione.
2) Con la chiusura dei centri commerciali la domenica si mettono a rischio posti di lavoro.
Torniamo alle basi. Questa obiezione ricorda da vicino quella appena mossa al Decreto dignità (misura totalmente inefficace, lo abbiamo già chiarito), e che spesso viene mossa ai pur timidi tentativi di limitare la precarietà. Se elimino i contratti a termine, è possibile che invece di trasformarli in contratti a tempo indeterminato alcuni lavoratori non vengano “rinnovati”. È un motivo per non combattere la precarietà? Se mi oppongo seriamente al lavoro nero, è possibile che alcuni di quei lavoratori non saranno assunti regolarmente, ma solo allontanati. È un buon motivo per non combattere il lavoro nero? Se chiudo i centri commerciali di domenica, è possibile che, invece di mantenere pari salario ai lavoratori, questi vengano allontanati o gli venga ridotto il salario: è un buon motivo per non rivendicare riposo e possibilità di avere una vita non interamente assorbita dal lavoro? No, non lo è. Questo ci aiuta a comprendere come ogni provvedimento, anche la battaglia contro il lavoro nero, se non accompagnato da lotte robuste e da misure in grado di rompere il ricatto della povertà (vedi reddito di base) rischiano di mostrare l’altra faccia della medaglia; ma di certo non crediamo che, a causa di questi elementi, sia opportuno rinunciare alle giuste trincee. Forse iniziare a dire che il problema non sono i provvedimenti come il Decreto dignità o la chiusura dei centri commerciali, il problema è che questi provvedimenti non hanno alcun effetto sostanziale, pur azzeccando una direzione, potrebbe risultare molto più utile.
3) La chiusura domenicale è una battaglia antica, ormai il sistema in cui viviamo ci costringe a lavorare e consumare 24h, 7 giorni su 7.
Questa obiezione non meriterebbe risposta se non arrivasse, in maniera preoccupante e allo stesso tempo coerente con lo smarrimento in cui viviamo, da diversi settori della “sinistra”. Il fatto che bisogna lavorare e consumare 24h non è il punto di partenza, ma è la posta in palio dello scontro, il tentativo di spingere i limiti dello sfruttamento oltre i confini spaziali e temporali. Insomma, è una lucida tattica per aumentare i profitti, non il naturale frutto del progresso. Opporsi a questo processo, mettendo da parte la confusione, è il nostro compito.
4) Si tratta di un provvedimento di facciata, utile solo a distrarre da altre questioni; per di più, del tutto inefficace.
Questa ci sembra l’obiezione più sensata. Come in premessa, ripetiamo che non può bastare chiudere i supermercati di domenica se non si abolisce il Jobs Act. Non si tratterà di un provvedimento efficace, se non si accompagnerà all’istituzione di un vero reddito di base, e non l’elemosina condizionata ipotizzata e proposta dal M5S. Non avrà alcun impatto positivo, perché si tratterà di una fetta di lavoratori ridottissima, probabilmente, anzi, si tratta di un provvedimento che si limita a strizzare l’occhio al piccolo commercio e la cui esternalità positiva è quella di coinvolgere una parte piccolissima del lavoro nel commercio. Detto questo, se anche tutte queste obiezioni fossero vere, non capiamo come il provvedimento in questione possa essere considerato deteriore o come non si riesca a percepire l’utilità di portare il discorso in un campo che pone maggiore attenzione alle condizioni di lavoro, anche a scapito dei profitti.
5) Ma lo sapete in qua nti lavorano la domenica (detta anche: “obiezione Battista”).
Come ci ricorda un sagace editorialista del Corriere della Sera, attraverso un elenco dettagliato e non troppo esaustivo, una sfilza assai ampia di soggetti sono costretti a lavorare la domenica. Questa è di certo la nostra obiezione “preferita”: per tornare nella sfera dell’ovvio, nessuno si sognerebbe di chiedere la chiusura domenicale degli ospedali, o di fermare il trasporto pubblico, di chiedere alle ambulanze di non circolare, ecc. Ma anche in questo campo è obbligatorio, e forse il dibattito ci aiuta, aprire una riflessione. Da anni, con le CLAP seguiamo la vertenza di una clinica riabilitativa (privata accreditata) le cui lavoratrici si battono contro il ciclo continuo e l’obbligo di lavorare ogni domenica. Il problema in questo caso è la cronica carenza di organico che caratterizza le strutture sanitarie, sia pubbliche che private in convenzione. L’attenzione ai profitti a svantaggio del lavoro produce condizioni che costringono al ciclo continuo, al lavoro domenicale e nei festivi senza nessuna sosta. Basterebbe ampliare la pianta organica, stabilizzando precari e finte partite Iva, per non costringere le lavoratrici a rinunciare alla propria vita. Si possono chiudere ospedali o cliniche? Ovviamente no. Si può tentare di ristrutturare il lavoro a partire anche dal diritto al riposo? Assolutamente sì, anzi, bisogna farlo.
Anche se questo provvedimento non risolve e non risponde a tutte le questioni, di certo permette di gettare lo sguardo in una direzione verso la quale, da troppo tempo, in molti hanno rinunciato.
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