In
questi giorni, sono stati presentati vari studi e rapporti sulla
situazione sociale del paese. Più clamore, come al solito, lo suscita il
rapporto del Censis in collaborazione con la catena della grande
distribuzione Conad.
Le
conclusioni a cui giunge il rapporto non sono dissimili a quelle degli
anni scorsi. Già nel titolo si evoca quella “società del rancore” già
fotografata in passato.
La ricerca del Censis “Miti del rancore, miti
per la crescita: verso un immaginario collettivo per lo sviluppo”
certifica il calo delle aspettative, l’aumento delle diseguaglianze
sociali, l’acutizzazione di rancore, chiusura e repressione, sullo
sfondo di una società che ha rinunciato a consumi e investimenti.
L’analisi sulla situazione sociale dell’Italia, presentata oggi a Roma, mostra un Paese che nutre un forte disagio per il presente, ha una grande nostalgia del passato (7 italiani su 10 sostengono che si stava meglio prima) ed è incapace di investire nel proprio futuro. Il rapporto Censis elenca una serie di ragioni: la bassa natalità (dal 1951 a oggi la popolazione “giovanile” è diminuita di 5,7 milioni di giovani nella composizione della società), la progressiva scarsità di reddito (rispetto alla media della popolazione, le famiglie giovani, con meno di 35 anni, hanno un reddito più basso del 15% e una ricchezza inferiore del 41%), la crisi sociale allo smarrimento della cultura del rischio personale.
Ma oggi a Roma c’è stato anche un altro convegno e sono state presentate altre stime sull’economia che non inducono certo all’ottimismo.
L’analisi sulla situazione sociale dell’Italia, presentata oggi a Roma, mostra un Paese che nutre un forte disagio per il presente, ha una grande nostalgia del passato (7 italiani su 10 sostengono che si stava meglio prima) ed è incapace di investire nel proprio futuro. Il rapporto Censis elenca una serie di ragioni: la bassa natalità (dal 1951 a oggi la popolazione “giovanile” è diminuita di 5,7 milioni di giovani nella composizione della società), la progressiva scarsità di reddito (rispetto alla media della popolazione, le famiglie giovani, con meno di 35 anni, hanno un reddito più basso del 15% e una ricchezza inferiore del 41%), la crisi sociale allo smarrimento della cultura del rischio personale.
Ma oggi a Roma c’è stato anche un altro convegno e sono state presentate altre stime sull’economia che non inducono certo all’ottimismo.
Al
convegno dal significativo titolo “Meno tasse per crescere”, la
Confcommercio ha rivisto al ribasso gli indicatori economici su questo e
il prossimo anno.
La
crescita economica dell’Italia rallenta e sono state tagliate le stime
del Pil di un decimo di punto. Secondo Confcommercio il Pil nel 2018
calerà a +1,1% e nel 2019 a +1%, sempre che non scattino le clausole di
salvaguardia dell’Iva. In tal caso il Pil 2019 crollerebbe a +0,6%. A
frenare sono anche i consumi che scendono a +0,9% quest’anno e a +0,8%
nel 2019.
Secondo l’associazione dei commercianti, le misure preannunciate dal governo – Flat tax, reddito cittadinanza e rottamazione della legge Fornero – spingeranno il deficit al 2,8% del PIL. Il Centro Studi della Confcommercio quantifica il costo di queste misure in 5 miliardi per una “mini” flat tax, 5 miliardi per l’avvio in forma ristretta del reddito di cittadinanza, 5 miliardi per la revisione della legge sulle pensioni (quota 100), cui si aggiungerebbero altri 2,2 miliardi di spesa per interessi aggiuntiva sul maggior deficit. C’è poi da sommare il costo delle spese indifferibili, mentre non impatterebbe sul saldo strutturale la pace fiscale, stimata in 5 miliardi.Infine, da ieri sul sito istituzionale dell’Inps compare una nota in cui si afferma che “Le entrate dell’Inps nei primi sette mesi del 2018 (c.d. riscossioni della produzione, esclusi i trasferimenti dallo Stato ed altri enti) ammontano a 119.351 milioni di euro, in deciso aumento (+4,07%) rispetto al medesimo periodo del 2017, quando erano stati incassati 114.686 milioni di euro. L’incremento conferma il trend positivo che già si era registrato lo scorso anno rispetto al 2016 (+1,5%), quando nel periodo gennaio-luglio il totale delle riscossioni era stato di 112.988 milioni di euro”. Ma l’Inps precisa anche che l’aumento delle entrate nelle casse dell’istituto previdenziale, sono dovute alla fine delle agevolazioni contributive generosamente concesse alle aziende dai governi precedenti. “All’incremento delle entrate contributive concorre, oltre ad una riduzione delle agevolazioni e ad un aumento del monte salari (dovuto sia ad un aumento delle retribuzioni che ad un aumento dell’occupazione), l’attività svolta dall’Istituto allo scopo di favorire il tempestivo e puntuale accertamento dei contributi dovuti, attraverso lo sviluppo di procedure automatizzate che favoriscono le iniziative di controllo condotte dalle sedi territoriali dell’Istituto”.
Ma l’aumento dell’occupazione segnalato dall’Inps in questa nota, deve fare i conti con il dato secondo cui il livello di lavoratori e lavoratrici occupati non è aumentato ma è ritornato ai livelli dei primi sei mesi del 2008, prima della crisi. Nel Rapporto dell’Inps del 2018 è infatti scritto testualmente che “Il recupero iniziato nel 2014 ha consentito, tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, di ritornare ad un livello di occupati analogo a quello del primo semestre 2008 grazie esclusivamente alla performance dell’occupazione dipendente. Tale recupero risulta ancora parziale se consideriamo gli indicatori di quantità di input di lavoro: in termini di ore lavorate o di unità di lavoro esso è tuttora limitato a poco meno della metà di quanto perso nel quinquennio precedente”. Insomma si è tornati alla situazione di dieci anni fa, non che si sia andati avanti. E’ una bella differenza
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