Comparazione del funzionamento delle assemblee territoriali di Potere al popolo secondo i due statuti redatti dal Coordinamento nazionale provvisorio.
Credits: poterealpopolo.org
In questo secondo articolo proverò a descrivere le
regole organizzative delle assemblee territoriali i cui principi
ispiratori sono in ambedue i casi richiamati a conclusione della prima
parte. Questa sulle assemblee territoriali è, a mio modo di vedere, la
parte migliore in entrambi gli statuti.
Nel primo documento, Pap si basa “sul principio
democratico ‘una persona, un’idea, un voto’”; nel secondo sulla
“democrazia partecipativa e proporzionale tra le/i singole/i aderenti”.
La diversa formulazione adottata, tuttavia, risponde ad una diversa
concezione di ciò che Pap deve essere. Per gli estensori del
primo documento un vero e proprio partito cui si aderisce
individualmente, per gli altri un movimento cui si aderisce
individualmente ma che lavora come una coalizione, salvaguardando le
soggettività politiche esistenti.
Peccato che, come vedremo nell’articolo dedicato all’organizzazione nazionale di Pap,
in entrambi i casi la proporzionalità tra eletti ed elettori - su cui
tante battaglie costituzionali sono state fatte e debbono ancora essere
fatte nel nostro paese - è negata dalla legge elettorale adottata e dal
“rispetto della parità tra i sessi in tutti i ruoli”. In entrambi i
casi, poi, si parla di “revocabilità delle cariche” (“tutte”, per il
primo documento) che però, come vedremo, è resa impraticabile dalle
regole elettive adottate.
Per quanto riguarda l’organizzazione, in entrambe le proposte le “assemblee territoriali insediate nelle aree metropolitane e nelle province” rappresentano la struttura di base.
In entrambe, per essere riconosciuta “un’assemblea territoriale deve
avere un minimo di 30 aderenti”; serve “a promuovere il conflitto
sociale, il mutualismo” e i “gruppi di azione tematici”. In entrambi i
casi i territori vengono subordinati nell’elaborazione di programmi e
della linea politica alle decisioni nazionali.
Per entrambi i documenti si può (ma forse intendevano
“deve”) essere iscritti ad una sola assemblea territoriale; bisogna
tenere almeno un’assemblea mensile che sia aperta ai non iscritti e
trasmessa in diretta streaming; vi è l’obbligo di pubblicare un report sulla piattaforma informatica ufficiale di Pap con l'eventuale esito di tutte le votazioni; si può votare - dal vivo oppure elettronicamente da casa - solo se si è in regola con l’iscrizione e si è pagata la quota; ci si può dotare di un coordinamento e di portavoce
(ma per il primo documento “sempre rispettando il criterio di parità di
genere”); per convocare un’assemblea straordinaria servono almeno le
firme del 30% degli iscritti o dei coordinatori; i componenti degli
organi nazionali eletti dai territori vengono eletti/revocati dalle
assemblee territoriali convocate su base regionale. In entrambi i casi è possibile partecipare e votare per via telematica.
Per quanto riguarda le analogie, personalmente ravviso solamente tre criticità. La prima è la presenza di un relativamente alto numero di iscritti
(trenta) necessario per formare un’assemblea territoriale che, unita
alla votazione elettronica da casa e all’assenza di un numero minimo di
partecipanti per renderne le deliberazioni valide, potrebbe rendere
difficoltoso il lavoro di radicamento, incentivare il cammellaggio ed il
disimpegno militante. Problema che potrebbe non essere solo dei piccoli
centri ma anche delle grandi metropoli dove spostarsi non è facile e
già sono nate, ad es. a Roma, numerose assemblee di quartiere (alcuni
dei quali figurerebbero tra i più grandi comuni d’Italia).
La seconda è relativa alla modalità di elezione e revoca dei componenti degli organismi nazionali
che avviene su base nazionale e regionale ma non provinciale, il che
potrebbe favorire la formazione di delegati che per la propria
appartenenza o disponibilità possono permettersi di raccogliere consenso
su un bacino relativamente molto ampio.
La terza criticità, infine, è relativa
all’assenza di una qualunque disciplina relativa al ruolo, le modalità
di elezione, la durata del mandato, la revocabilità, ecc, dei
coordinatori/portavoce delle assemblee territoriali.
Coordinamento e portavoce che ripropongono il meccanismo della delega la
cui sola parola fa rabbrividire molti dei sostenitori del primo
documento ma che entrambe le bozze di statuto non possono non
accogliere, essendo già presente nei fatti. Oltre all’esistenza di
delegati nazionali (per ora provvisori in quanto non eletti da nessuno),
già oggi, durante le plenarie nazionali, ad aver diritto prioritario di
parola non sono i singoli ma i rappresentanti delle assemblee
territoriali (e delle organizzazioni). Dunque la delega esiste in
entrambi gli statuti e sta a noi far sì che l’unico strumento a
disposizione per far funzionare un’associazione più grande di un
collettivo non venga piegato a visioni organicistiche (come nel primo
documento) o burocratiche (come nel secondo documento).
Per quanto riguarda invece la possibilità di istituire “gruppi tematici”,
siamo di fronte ad un’importante intuizione che avrebbe meritato
maggior coraggio. Con essi, infatti, non siamo ancora ad una vera organizzazione dei lavoratori e articolazione sui luoghi di lavoro.
I gruppi tematici, infatti, potrebbero rappresentare un buon inizio se
fossero messi in grado di promuovere la partecipazione dei lavoratori
interessati a quel tema per affiancare al confronto democratico
interclassista che avviene durante il tempo libero (le assemblee
territoriali) un confronto democratico intra-classista che
progressivamente sappia svolgersi anche sui luoghi di lavoro e durante
l’orario di servizio (organizzazione per cellule). Perché non è solo
della politica dei massimi sistemi di cui bisogna tornare a parlare tra
lavoratori - e questo i mutualisti lo sanno bene - ma anche di quella
relativa al governo del proprio posto di lavoro, questione propedeutica
per governare il soddisfacimento dei propri bisogni. Questo, beninteso,
se si vuole davvero far sì che i lavoratori imparino a porsi come classe
dominante e dirigente - e non semplicemente che diversi cittadini
sostituiscano il ceto politico esistente - e dunque diventino maturi per
conquistare e gestire il potere di reindirizzare l’apparato produttivo
verso la soddisfazione dei bisogni sociali (e non semplicemente in
favore di diverse cordate padronali).
Per quanto riguarda le differenze,
il secondo documento prevede esplicitamente che “l’assemblea
territoriale, con maggioranza qualificata e motivandolo per iscritto,
può rifiutare l’adesione ad una persona” (decisione “ricorribile alla
sola Commissione di garanzia”). Nulla viene detto, invece, nel primo
documento. Nessuna parola, in entrambe le proposte, per quanto riguarda
la perdita dei diritti degli associati (alias le espulsioni).
Ma forse la più grande differenza sta nella
maggioranza necessaria per prendere le decisioni. Pur essendo sempre
favorita la ricerca del consenso, infatti, se si deve votare, per il
primo documento le decisioni delle assemblee territoriali vengono prese a
maggioranza semplice dei presenti (50% +1), per il secondo a
maggioranza dei ⅔ (66%). Nel secondo documento, inoltre, “le assemblee
territoriali avanzano in piattaforma proposte che – in base al consenso
ricevuto – devono essere discusse in assemblea nazionale” mentre nel
primo ciò non è possibile dal momento che, come si vedrà nel terzo articolo, tutti i militanti sono anche componenti dell’assemblea nazionale.
Le differenze tra i due documenti,
dunque, al di là delle parole utilizzate, anche in questo caso non sono
molte né sono tali da giustificare la presenza di due documenti
contrapposti se non per la soglia di validità delle deliberazioni (50% +
1 vs 66%). Una differenza che con un po’ di buonsenso potrebbe essere
facilmente ricomposta.
Continua a leggere Gli statuti di Potere al popolo: gli organi nazionali
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