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A fine agosto il ministro delle finanze francese, Bruno Le Maire, ci
avvisava che, dato che la crescita del Pil sarebbe stata inferiore alle
previsioni iniziali, il deficit francese nel 2018 sarebbe stato il 2,5% e
non il 2,3% del prodotto interno lordo, come inizialmente previsto. A
quei numeri si doveva aggiungere un altro 0,1% per il consolidamento del
debito delle ferrovie francesi. Nemmeno un mese dopo, anche il deficit
previsto per il 2019 è stato “ritoccato”: dal 2,4% sale al 2,8% per
permettere un piano di stimolo fiscale. «Apriamo le scommesse sulle
possibili ulteriori revisioni che questo numero, il deficit per il 2019,
avrà nei prossimi mesi», scrive Paolo Annoni sul “Sussidiario”:
«Come nota di colore aggiungiamo che il ministro delle finanze francese
è lo stesso che in data 8 settembre dichiarava con tono minaccioso:
“Penso che tutti i leader politici italiani siano consci dei loro
impegni”. C’è da sbellicarsi». Qualcuno, aggiunge Annoni, si è già
precipitato a dire che la Francia può (e noi no) perché il nostro debito
è più alto. «Siamo al ridicolo, e chi lo dice è in malafede totale». Il
debito italiano ha fatto peggio di quello francese, negli ultimi anni
«solo perché l’Italia ha fatto l’austerity nel 2012». Grazie a Monti e
Letta, con la cortese collaborazione di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni.
E’ intuitivo: come si può, in buona fede, pensare di far scendere il
rapporto debito-Pil in una situazione di austerity perpetua, anche
quando il contesto globale rallenta? La Francia, insiste Annoni, in
questi anni è rimasta in piedi «solamente perché ha potuto disobbedire all’Europa sul deficit, salvando la sua economia».
Parigi, continua l’analista sul “Sussidiario”, nel 2017 ha festeggiato
il primo deficit sotto il mitico limite europeo del 3% degli ultimi
dieci anni. «Negli “anni di grazia” 2009 e 2010, quando l’economia
globale crollava sotto il peso del fallimento di Lehman, i francesi
spedivano il deficit al 7,2% e al 6,9%, mentre in Italia, negli stessi
anni, ci fermavano al 5,2% e al 4,2%. La differenza tra il 2,8% previsto
ieri e un numero superiore al 3%, in uno scenario globale più
“sfidante”, è così immediata che ci sentiamo di dire, senza per questo
ritenerci geni, che la probabilità di un numero nuovamente superiore al
3% sia molto elevata». Lo stimolo all’economia
– cioè il ricorso al deficit – secondo Annoni è frutto probabilmente di
un problema politico: la popolarità di Macron è scesa ai minimi
termini. «Alla prova dell’austerity, oltretutto in dosi ridicole
rispetto a quelle propinate al di qua delle Alpi, il sistema
“politico-economico-sociale” francese, chi l’avrebbe detto, non regge».
Un paio di anni così, «in un sistema in cui non si è fatto neanche un
decimo delle riforme fatte da questa parte», fanno già intravedere
«conseguenze politiche identiche a quelle che si sono viste in Italia».
Anzi, peggio: «Perché i francesi, a differenza di noi italiani, ogni
tanto le rivoluzioni le fanno davvero». Se pensiamo che Macron è stato
il baluardo contro l’onda di Marine Le Pen e che oggi con la popolarità
sottoterra deve fare politiche espansive, aggiunge Annoni, si comprende
benissimo quale sia il pericolo che si vuole scongiurare: «Il rischio
che l’onda di rigetto per i primi scampoli di politiche europee travolga
Macron e tutto quello che rappresenta e lasci il campo sgombro per
quelli che in Italia chiamiamo “sovranisti” o “fascisti”, solo che ci
sembra che questa seconda definizione si applichi un po’ peggio ai
sovranisti nostrani rispetto a quelli che si vedono in Austria, Francia o
Germania». Oggi, prosegue Annoni, discutiamo della guerra commerciale in corso e ci domandiamo (per finta, perché la risposta è ovvia) se il modello tedesco imposto al resto d’Europa sia percorribile anche in futuro: austerity, deflazione,
svalutazione interna e disoccupazione per evitare l’aumento
indesiderato del costo del lavoro. «Non è percorribile né
economicamente, perché gli altri, fuori dall’Europa, “si arrabbiano”, né politicamente, perché uno dopo l’altro, inclusa la Francia, gli Stati europei politicamente scoppiano».
E se non scoppiano è persino peggio, scrive Annoni, perché il debito
greco, e in futuro quello italiano, è destinato a non essere mai
ripagato, «neanche se i greci domani diventassero improvvisamente
bavaresi e cominciassero a mangiare wurstel e birra». Quel debito,
scrive il “Sussidiario”, è sostanzialmente la leva per la
colonizzazione. «Il problema dell’Europa
era la Grecia, poi il Portogallo, poi la Spagna, poi l’Italia e adesso
la Francia». Certo, magari «lo si dirà sottovoce», perché in Europa
tutti gli Stati sono uguali, «ma qualcuno è “più uguale” degli altri».
Se persino la Francia è sul punto di ebollizione, come non pensare se –
l’Europa
non si democratizza – anche l’Italia inevitabilmente scoppierà? Come
non capire che, che più si posticipa il redde rationem, e più ci si farà
del male? Senza un minimo di redistribuzione interna, e senza
rilanciare la domanda interna dei consumi, il progetto europeo può solo
fallire. «Non è rimasto più nessuno, fuori dall’Italia, che ancora creda
che l’austerity possa essere una risposta o che creda sia una ricetta
“neutra” o “scientifica”». Giusto da noi, soltanto, ancora in vigore
la catastrofica narrazione neoliberista, ribadita – a reti unificate –
dai mormorii dei vari Cottarelli, Visco, Matterella.
«Gli effetti economici e politici sono evidenti: basta vedere cos’ha
prodotto l’austerity del 2012 in Italia sul debito su Pil o e sulla sua politica,
osserva Annoni. «Oggi assistiamo al piano espansivo francese,
giustamente, quando fino a ieri tutti dicevano che violare anche di uno
0,1% gli impegni con l’Europa
avrebbe aperto le porte dell’apocalisse finanziaria ed europea. In
questo modo – aggiunge – nessuno discuteva su come spendere
l’extra-deficit per rilanciare un’economia
morta da almeno dieci anni». Conclude Annoni: «Non si capisce a chi
giovi rifiutare a prescindere questa discussione. Sicuramente non giova
all’Italia». E ora accade che «il più sovranista dei sovranisti», cioè
Macron, «che già chiudeva le frontiere» all’ultima nave Ong carica di
migranti, mette tutti – come al solito – di fronte al fatto compiuto:
disobbedisce apertamente all’Ue sul deficit. Eppure, chiosa Annoni, la
Bce «continua a comprare titoli di Stato francesi», anche se il deficit
“spaventa i mercati”, in un’economia
– quella transalpina – che è strutturalmente «messa peggio di quella
italiana, almeno per quanto riguarda saldo primario e ricchezza delle
famiglie». Ed è la stessa Bce che smette di sostenere il debito
italiano: Parigi può sforare, Roma no? E allora «smettiamo di dire che
“ce lo chiede l’Europa” e facciamo direttamente nomi e cognomi della guerra civile europea».
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mercoledì 26 settembre 2018
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