giovedì 27 settembre 2018

«Nei supermercati stiamo al gelo e sotto ansiolitici. Ho chiesto più sicurezza: licenziato».

Fabio gestiva un punto vendita della Lidl ed era rappresentante per la sicurezza dei lavoratori. Ma dopo le sue segnalazioni sono iniziate le ritorsioni. L'azienda replica: «Procedimenti disciplinari non sono collegati con la sua attività sindacale».

«Nei supermercati stiamo al gelo e sotto ansiolitici. Ho chiesto più sicurezza: licenziato» Negozi insicuri, merci e macchinari che spesso ostruiscono le uscite di sicurezza. Di più: temperature che d'inverno scendono fino ai 5 gradi e documenti di valutazione del rischio realizzati con il copia-incolla.

Sono solo una piccola parte dei rilievi fatti da Fabio L., da 18 anni capo filiale Lidl e oggi delegato della Cgil, ai suoi datori di lavoro. O meglio, ex datori, visto che Fabio si è visto recapitare una lettera di licenziamento il mese scorso.  Fabio gestiva un punto vendita a Torino, con 27 dipendenti, in una zona difficile, di periferia.
«La mia filiale è famigerata. Non si contano gli episodi di violenza, le aggressioni. Forse mi hanno trasferito lì perché avevano già intenzione di farmi fuori».


Negli ultimi mesi era diventato un rls (responsabile dei lavoratori per la sicurezza) per la Cgil, e ha compiuto sopralluoghi in altri supermercati Lidl del Piemonte e delle regioni limitrofe, prima di essere defenestrato.
«La verità è che mi hanno sempre osteggiato. Perché facevo domande, prendevo posizione, sono molto preparato in materia di sicurezza sul lavoro. Ne ho parlato col procuratore della Repubblica Guariniello, anche lui ha constatato che esiste un grosso problema».

L’attivista sindacale ci aveva già cercato parecchi mesi fa, quando ancora non era stato né sospeso né licenziato. E il racconto che fa delel condizioni di lavoro sue e dei suoi colleghi è durissimo

Insicurezza. «I punti vendita della Lidl sono insicuri, anche perché la maggior parte risale agli anni novanta e ha quindi fattezze anguste. Solo che nel frattempo il volume d’affari s’è moltiplicato. Molti di questi dovrebbero chiudere o rinnovarsi profondamente. Spesso le merci e i macchinari in esubero ostruiscono persino le uscite di sicurezza…».

Stress. «Io ho cominciato a dir loro: “Voi sottostimate il documento sullo stress correlato, obbligatorio per legge dal 2008. Alla Lidl questo studio non l’hanno mai fatto. Ho creato un gruppo WhatsApp di rls Cgil per scambiarci informazioni e notizie riservate. Ebbene, abbiamo scoperto che tutti i dvr (documenti di valutazione del rischio) sono uguali nelle “nostre” centinaia di negozi italiani. Eppure la legge prevede che siano standardizzati i processi, non certo i risultati. È come se si dovesse fare un prelievo di sangue e invece di prendere il mio si attingesse dalle vene di un mio parigrado di Verona, concludendo con un consequenziale “stanno tutti bene”. Ma non è così, naturalmente. La mia sede sorge in un quartiere borderline di Torino: non possiamo avere in corpo la stessa quantità dì stress io, i miei dipendenti e i colleghi che lavorano in borghi senza delinquenza. Il fatto di non effettuare delle autentiche valutazioni del rischio fa poi sì che la Lidl non preveda alcuna forma di prevenzione o contrasto al fenomeno».

L’orario di lavoro? Alla giornata. «Tutti i giorni ricevevo una telefonata a mezzogiorno o all’una, per sapere quale sarebbe stato il fatturato del giorno. se prevedevi di fatturare mille euro in meno, scattava l’allarme rosso. Mi intimavano: “Manda via gente”. Ma stiamo scherzando? Cosa siamo diventati, lavoratori (fissi) a chiamata? L’obiettivo è sempre quello: andare oltre, forzare le regole, abbattere, all’ennesima potenza, i costi del personale. Chiariamo bene un aspetto: non si è mai trattato di una pianificazione oraria, ma di un’imposizione. La responsabilità è dei piani alti aziendali. Se mi stimavano un incasso di mille euro l’ora, quando nel mio punto vendita si fanno piccole spese e non si guadagna mai più di 5 o 600 euro… per avvicinarsi a quei picchi irreali di produttività, dovevo correre il triplo, e magari continuare a lavorare a lungo dopo aver timbrato il badge di uscita».

Ma che freddo fa. «D’inverno si toccavano i 5 gradi di temperatura dentro il nostro magazzino. L’ho fatto presente tante volte, senza risultato».

Un lavoro usurante. «Alla Lidl Il tasso di fatica è elevatissimo. Trionfa il dogma della rapidità, specialmente per le operazioni di movimentazione delle merci sugli scaffali. Schiene rotte, ernie e placche alla schiena costituiscono la regola. E in futuro andrà sempre peggio, perché i lavoratori invecchieranno. Se l’equazione ossessiva da portare avanti è: “spendo sempre di meno, incasso sempre di più”, a rimetterci è, in primissima istanza, la salute di noi dipendenti».

Depressione e ansiolitici a go-go. «Sono ingrassato di trenta chili in tre anni per lo stress e il nervoso accumulati. Costantemente gli incubi, mi svegliavo di soprassalto. Avevo la testa piantata lì. Gli psicofarmaci, in Lidl, sono la normalità. Io sono il primo che assume regolarmente ansiolitici, e non va bene. Tutto questo si riflette sulle malattie professionali, che sono lunghe e difficili da codificare. Pensiamo all’amianto: ci sono voluti decenni, e decine di migliaia di morti, per capirne la pericolosità. La nostra generazione non andrà, magari, a morire di lavoro; ma patirà danni irreparabili all’apparato muscolo-scheletrico, e soprattutto alla psiche».

Rappresaglia? «Mi hanno preso di mira perché volevo sapere, confutavo le loro teorie. Mi attendevano al varco, pronti a impallinarmi. Tra l’altro, ho sempre conseguito ottimi risultati: il mio era tra i migliori punti vendita in Piemonte. Ho preso un negozio in perdita e nel mio primo anno di gestione abbiamo incassato un milione di euro in più. Fatturato in espansione anche negli anni a venire. Cosa gli ha dato fastidio? La presenza di un capo filiale che toccava fili e nervi scoperti, sollevando questioni eluse. La mia battaglia non è per me. È per noi tutti».

Da noi contattata, Lidl Italia ci ha risposto con le seguenti parole: «Le confermiamo che nei confronti del sig. Fabio L. è in corso un procedimento disciplinare le cui motivazioni non hanno però nulla a che vedere con l'attività sindacale svolta dal collaboratore. Le ragioni che hanno determinato l'avvio del procedimento non possono essere rivelate per ovvie ragioni di privacy. Precisiamo che, se da un lato la nomina a rappresentante sindacale non compromette in alcun modo il rapporto di lavoro, dall'altro non preclude all'Azienda di esercitare il potere disciplinare ai sensi della normativa vigente. Infine ci teniamo a sottolineare che Lidl Italia è da sempre aperta al dialogo con le organizzazioni sindacali con cui, negli anni, ha instaurato un rapporto di proficua collaborazione». 

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