venerdì 28 settembre 2018

Ambiente. “Studio la nuova plastica: così la farò diventare buona".

“Riciclabile al 100% grazie alla chimica e alle nanotecnologie”. 
È la tesi di Mark Miodownik, eclettico docente e divulgatore inglese.



“Studio la nuova plastica: così la farò diventare buona""Il 100% di riciclabilità della plastica non è un sogno: è un obiettivo. Oggi abbiamo tecnologie molto promettenti, che in uno o due decenni possono portarci a sfiorare quel traguardo". 
Lo dice Mark Miodownik, docente di scienza dei materiali all’University College di Londra e autore del saggio La sostanza delle cose. Storie incredibili dei materiali di cui è fatto il mondo (Bollati Boringhieri). Miodownik, scienziato eclettico, ha condotto il radiodocumentario “Plastic Fantastic” per la Bbc.

Professor Miodownik, ma il vero sogno non era un mondo senza plastica?
«In realtà quello somiglierebbe più a un incubo. Oggi la plastica è così indispensabile a mantenere i nostri standard di vita che è difficile immaginare un futuro che ne sia privo. L’importante è riciclarne il più possibile: sotto questo aspetto siamo ancora carenti».


Perché ricicliamo molto meno di quanto potremmo?
«Se usassimo un solo tipo di plastica per tutti i prodotti di consumo, potremmo riciclarla al 100%. Oggi, però, non è così: i flaconi degli shampoo e la maggior parte degli oggetti che fanno parte della nostra vita quotidiana sono composti da più plastiche assemblate insieme per conferire all’oggetto diverse proprietà desiderabili sia dai consumatori – colore, leggerezza, forma – che dai produttori e distributori, come la resistenza alla pressione, cruciale quando si impilano i prodotti per trasportarli. Per poter riciclare queste plastiche, dovresti separarle l’una dall’altra. Ma questo è piuttosto costoso: è assai più economico, per le aziende, produrre un nuovo oggetto di plastica, anche se ciò è peggio per l’ambiente.

Dei circa 200 tipi di plastica che esistono, oggi ne ricicliamo soltanto cinque o sei».


Cosa si può fare allora?
«Una soluzione innovativa è quella del “cracking termico”. Consiste nel frantumare ed essiccare oggetti plastici di qualsiasi tipo, e poi sottoporli ad alte temperature – fino a 500 gradi – in una speciale camera senza ossigeno. 

Questo fa sì che i legami chimici dei polimeri si spezzino e la plastica si trasformi in un olio. Che poi può essere ritrasformato in plastica al posto del petrolio. 
L’azienda che ha ideato questo sistema è inglese e si chiama Recycling Technologies: produce un macchinario che può riciclare 7.000 tonnellate di plastica all’anno. 
È un sistema utile perché un altro dei problemi di oggi è che per trasportare la plastica da dove la si raccoglie agli impianti di riciclo, a volte molto lontani, soprattutto in Oriente, si emette molta CO2. . Piazzando una di queste macchine in ogni città, decentralizzeremmo il riciclo e abbatteremmo le emissioni».

Cosa possono fare le aziende per facilitare il compito di chi ricicla?
«Cercare di usare – perlomeno nei prodotti a uso singolo, quelli più problematici per l’ambiente – un solo tipo di plastica. Possibilmente incolore. 

La plastica colorata, sul mercato del riciclo, vale circa un decimo di quella incolore, perché con quest’ultima si può ottenere qualsiasi oggetto, mentre con quella colorata si può produrre solo un oggetto dello stesso colore di quello smaltito. 
 In Giappone hanno provato a usare bottiglie incolori per ogni tipo di uso e il tasso di riciclo è salito al 90%. 
Comunque c’è un’innovazione molto promettente: un sistema che, usando nanoparticelle magnetiche che si attaccano ai pigmenti di colore, li rende più pesanti delle altre particelle di plastica. Così, centrifugando, li si rimuove agevolmente, e si ottiene la preziosa plastica incolore».

Le aziende si convinceranno a usare un solo tipo di plastica?
«A oggi non sembra abbiano questa intenzione. Ma c’è un nuovo approccio, anche qui nanotecnologico, che potrebbe risolvere l’impasse. Eric Beckman dell’Università di Pittsburgh, che con questa ricerca ha vinto il Circular Materials Challenge a inizio anno, è riuscito ad alterare la nanostruttura del polietilene in modo da permettergli di imitare le proprietà di altri materiali plastici, come il PET e altri, senza cambiarne la composizione chimica. Il risultato è un oggetto che assomma in sé le caratteristiche desiderabili di diversi materiali pur essendo fatto da un materiale solo. E quindi riciclabile all’agognato 100%».

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