Per
tanti anni i pagamenti internazionali si sono effettuati maggiormente
mediante il trasferimento di dollari tra le banche private. Nonostante
il dollaro non fosse già più ufficialmente oro, e contro l’opinione di
molti esperti, continuò ad essere la moneta internazionale di
riferimento nonostante avesse perso molto del suo valore, nei suoi
peggiori momenti della crisi.
Ci sono autori che danno conto di questo
deprezzamento verificatosi durante gli anni Settanta, nel contesto della
così detta prima crisi del petrolio, poi dell’energia e industriale, e
infine economica, con la volontà dei governi Nixon-Ford e Carter di
migliorare il saldo commerciale estero statunitense, ripetutamente in
rosso dal 1970.
Evoluzione negli ultimi 30 anni delle riserve monetarie globali.
Possiamo
vedere come il dollaro abbia lentamente perso il proprio dominio a
favore principalmente dell’euro, che dopo un periodo iniziale di
espansione ha registrato come tutte le valute una contrazione, dovuta
all’inserimento e alla rapida affermazione come moneta di riserva del
Renminbi cinese . Con la finanziarizzazione dell’economia, e quindi con
la messa a rendita dei profitti e con la compressione del monte salari
complessivo, il modello, della cosiddetta golden age, viene a cadere e
anzi si inverte il ruolo degli operatori economici. La riduzione del
monte salari complessivo nella redistribuzione del PIL ne diminuisce
ovviamente la capacità di acquisto e la propensione al risparmio,
tramutando l’operatore famiglia, quindi i lavoratori, da risparmiatori
creditori a consumatori poveri indebitati, con l’aumento delle mille
forme di ricorso al debito per sostenere i consumi anche di prima
necessità. Allo stesso tempo, la sempre più evidente redistribuzione del
valore aggiunto ai redditi da capitale, e la trasformazione dei
profitti in rendite, disincentiva di fatto la propensione
all’investimento produttivo.
Da
quest’altro grafico si evince inoltre che negli ultimi 40 anni gli
Stati Uniti, il Giappone e l’Europa 4 abbiano subito una drastica
riduzione del peso dell’industria in percentuale al PIL. Al contrario i
Bric, nonostante un punto di flesso tra il 1995 e il 2005, che è
comunque superiore alle percentuali degli altri paesi, registrano un
notevole aumento.
Possiamo notare come, in Giappone e nell’Europa
4, ovvero i 4 motori industriali dell’Europa (un gruppo di cooperazione
interregionale formato da Lombardia, Catalogna, Baden-Wurttemberg e il
Rodano Alpi,
Fonte: commissione europea), il valore aggiunto dell’industria mantenga
un andamento costante con un punto di flesso nel 2008, mentre negli
Stati Uniti sia notevolmente più elevato, ma con un punto di flesso
maggiore. I Bric invece fanno registrare una crescita esponenziale dal
1988 che risente solo lievemente della crisi (rallenta la crescita
infatti, ma non si interrompe come negli altri paesi).
A
partire dall’estate 2007, con il connesso crollo del mercato del
credito mondiale, abbiamo assistito a un rigenerato interventismo
statale in tutti i paesi a capitalismo maturo, indirizzato però non al
rilancio della produzione e dell’occupazione a pieno salario e pieni
diritti nell’economia reale, ma al salvataggio del sistema bancario e
finanziario. Tali operazioni, che puntano a ridare ossigeno al sistema
bancario, innalzano pesantemente il deficit fiscale dei paesi centrali,
sia per l’entità delle somme impiegate, sia per la diminuzione degli
introiti fiscali, dovuta alla decelerazione degli investimenti
produttivi causati dalla riduzione del credito alla produzione, che di
fatto blocca i processi di crescita dell’accumulazione capitalista.
Evoluzione della composizione totale delle riserve monetarie.
Nel
2010 le riserve mondiali erano composte per il 41,9% da dollari, il
37,4% da euro, il 9,4% da yen e il 11,3% da sterline. Come possiamo
notare nel 2015 tutte queste valute subiscono una contrazione dovuta
all’inserimento come valuta di riserva mondiale dello Yuan Cinese
(Renminbi) .
Se
infine si applica la stessa moneta a paesi in cui l’accumulazione del
capitale si fonda sull’esportazione e a paesi strutturalmente
importatori, la politica monetaria non è in grado di conciliare le
priorità di alcuni (che necessitano di una moneta stabile così da avere
accumulazione a lungo termine basata sull’esportazione) e di altri (che
hanno bisogno di svalutazioni periodiche per facilitare l’aggiustamento
interno). Quindi, la politica applicata difenderà gli interessi dei più
forti, in questo caso dei paesi esportatori dell’Europa centrale
(Germania e i suoi satelliti occidentali: Finlandia, Olanda, Austria e
Belgio), rispetto a quelli dei paesi deboli della periferia mediterranea
(Portogallo, Italia e Grecia e Spagna, PIGS
In
questo grafico possiamo notare come attualmente la maggior parte dei
paesi dell’Europa occidentale abbia un indice di produzione industriale
al di sotto della media europea. Solo la Germania si trova nettamente al
di sopra, mentre la Francia, pur avendo un valore minore, si avvicina
alla media. Spagna, Italia e Grecia si trovano rispettivamente agli
ultimi 3 posti.
La
soggezione delle economie dell’Europa meridionale e orientale è la
condizione necessaria per sviluppare questo ruolo nell’accumulazione
globale. La nuova amministrazione nordamericana, che in questo non
differisce dalle precedenti, è molto consapevole della sfida di cercare
di mantenere una posizione di dominio, che ormai non si riflette più
nelle proprie strutture produttive. Il neoliberismo è in un certo senso
una procedura per cercare di prolungare nel tempo quella posizione di
vantaggio ereditata dalla seconda fase della rivoluzione industriale,
innanzitutto attraverso il controllo globale della finanza e della
valuta mondiale, per ottenere la cattura di rendite finanziarie che
compensando diminuzione dei profitti degli Stati Uniti sotto forma di
eccedenze produttive.
La
Germania ha trasformato la crisi bancaria in una crisi del debito
pubblico, costringendo a utilizzare le tasse pubbliche per ripulire e
riossigenare il sistema finanziario privato. Si è così assicurata che le
entrate pubbliche delle tasse, in primis quelle gravanti sul fattore
lavoro, pagassero i debiti commerciali con le banche tedesche, a costo
di ridurre i servizi pubblici, le pensioni, l’occupazione e gli
investimenti nei paesi del Sud Europa .Si tratta in effetti di una
gigantesca operazione a favore di banche, sistema finanziario e imprese,
per lo più medie e grandi, per trasformare il debito privato in debito
pubblico; si porta così la crisi del capitale in una direzione più
pesante che è quella relativa alla crisi economica e politica degli
Stati sovrani sotto forma di crisi del debito pubblico.
Uno
scenario che permette al mercato di richiedere ai governi la
“socializzazione” delle perdite del sistema bancario, usando poi lo
Stato per appropriarsi del denaro ottenuto dalle imposte e dalle tasse
pagate dai lavoratori.
Si
può quindi dire che l’unificazione della politica monetaria per la
messa in marcia dell’Euro sia servita a rafforzare il modello
esportatore dei paesi centrali dell’Eurozona e a debilitare la posizione
commerciale e subordinare la dinamica d’accumulazione nei paesi
periferici del Mediterraneo alla divisione del lavoro imposta dal
centro. Ne segue che i PIGS diventano sempre più delle riserve agricole e
di servizi turistici e residenziali sottomesse a processi di
deindustrializzazione più o meno accelerati.
Si invertono, così, i comportamenti e il ruolo del ciclo espansivo keynesiano.
Paesi
come quelli dell’ALBA, perfino la Cina, subiscono gli effetti del
disordine contribuendo inavvertitamente e involontariamente ad
alimentare il Capitale Fittizio Internazionale (XenoCapitale secondo
Autori come Schmitt), fonte inesauribile di speculazione destabilizzante
nei mercati internazionali.
Nel
2008, con entrata in vigore nel 2010, è stato creato il SUCRE (Sistema
Único de Compensación Regional), che introduce una moneta di conto che
consente di realizzare gli scambi all’interno dell’area senza utilizzare
il dollaro. Si tratta di una moneta virtuale, che non è previsto
circoli in forma fisica, ma solo virtuale. Si tratta di un meccanismo
compensatorio per l’integrazione economica regionale, un sistema di
pagamento che si basa sui valori politico sociali, e non finanziari
della complementarietà, reciprocità, cooperazione e solidarietà, con
l’obiettivo di sfruttare le risorse dei diversi paesi per attenuare gli
squilibri esistenti.
Dall’introduzione
nel 2009 del sistema Bitcoin, l’uso delle criptomonete si è esteso
enormemente su scala globale anche grazie alla sicurezza delle
transazioni e alla facilità di utilizzo .
Il
PETRO si inserisce infatti in una tendenza globale che nel 2017 ha
visto Russia e Cina grandi protagoniste nella costruzione di una
architettura di pagamenti, investimenti e scambi commerciali a livello
regionale, verso un sistema multimonetario basato sulla triade
petrolio/yuan/oro. Anche l’Iran sta progettando l’adozione di una moneta
digitale realizzata con la tecnologia Blockchain . In generale, la
diffusione su scala globale di monete sganciate dal dollaro come mezzi
di scambio accelera la decadenza del dollaro come divisa egemonica per
il commercio estero e come mezzo per applicare sanzioni e blocchi
finanziari ai danni dei paesi avversari.
Ciò
che qui ci interessa è proprio la sperimentazione di progetti di
politica monetaria a chiaro connotato antimperialista e di protezionismo
solidale di classe, che si realizzano all’interno dei processi di
transizione reali perché possibili, come quello dell’ALBA. Una
transizione nell’Area Euromediterranea acquisirebbe necessariamente
caratteristiche molto differenti perché differenti sono le condizioni;
ma uguale sarebbe la necessità di adottare anche strumenti di politica
monetaria, monete di compensazione per gli scambi commerciali, per
evitare di essere “strozzati” dal grande capitale finanziario.
L’esperienza
incoraggiante dell’uso del SUCRE indica quanto accertato
dall’iniziativa e segna la strada sulla quale il piano per la creazione
dell’Ufficio Centrale Bolivariano dei Pagamenti Internazionali (in
lingua originale OCBPI ) permette di avanzare.
Un protezionismo solidale per una politica industriale di recupero delle capacità al servizio del popolo
Il
problema rappresentato dall’Euro e dall’architettura finanziaria
dell’Eurozona, impostata sul mantenimento dell’aggiustamento perenne,
viene aggravato dall’assenza di una politica di impulso espansivo
dell’economia, impensabile con i trattati comunitari vigenti, che
interpretano quasi tutta la politica espansiva come interventismo
nefasto del mercato nel paradiso idilliaco dell’assegnazione privata
delle risorse.
A
livello internazionale sempre più si affermano politiche
protezionistiche e ideologie nazionaliste insieme al generalizzato e
auspicato aumento della spesa militare.
La
“guerra dei dazi”, divenuta esplicita a inizio 2018 e che fa esplodere
il vertice G7 del Canada di giugno 2018, manifesta chiaramente questo
aumento della tensione internazionale e della tendenza al protezionismo.
I
paesi della periferia Europea hanno bisogno di un sistema monetario e
finanziario alternativo all’Euro e alla globalizzazione. Però non si può
concepire un sistema del genere in un mercato unico neoliberista come è
stato concepito nei Trattati Europei. Le regole di funzionamento di
tale mercato impediscono una soluzione che dia stabilità al processo di
accumulazione, per lo meno nel senso in cui si concepisce la “stabilità”
nel capitalismo, ossia un periodo relativamente lungo di crescita in
cui si incatenano cicli successivi di espansione e contrazione
economica.
Quindi
è la stessa pratica contro la finanza dell’impero che dimostra che
proporre una nuova moneta per paesi con strutture produttive più o meno
simili sarebbe l’unica alternativa possibile, che permetterebbe sia di
mantenere un margine di negoziazione con le istituzioni comunitarie e
con la Banca Centrale Europea, che di stabilire un blocco
politico-industriale propenso ad un modello di accumulazione favorevole
per i lavoratori. La nuova moneta comune può essere negoziata sia
all’interno che all’esterno della UE; forse, così, ci sarà una gestione
ordinata della transizione produttiva, la rottura della UE, l’uscita
monetaria con una equilibrata gestione dei flussi finanziari.
Cambiare
la moneta nei Paesi con un forte squilibrio fiscale porta
implicitamente ad una svalutazione quasi immediata. Per questo, il
cambio della moneta richiede che allo stesso tempo, su questo non ci
devono essere dilazioni, si rinomini il debito esterno ed interno con la
nuova moneta SUCRE MEDITERRANEO, al tasso di cambio che i governi
considerano più appropriato. Ovviamente questo rappresenta un’altra
fonte di tensione politica con i creditori in particolare con quelli
interni alla stessa UE, dato che gli agenti finanziari Europei sono i
proprietari della maggior parte del debito della periferia mediterranea.
La
nuova moneta comune o SUCRE MEDITERRANEO, si potrebbe negoziare sia
dentro che fuori dell’Unione Europea, cosa che di per sé permetterebbe
una gestione più ordinata della transizione produttiva.
L’uscita
dall’Euro dovrebbe svilupparsi in modo concertato perché tra i paesi
della periferia mediterranea; a nostro parere esistono quattro momenti
intimamente vincolati, senza dei quali il processo potrebbe risultare un
fallimento. Sono i seguenti:
•
stabilire un “simbolo monetario”, anche inizialmente virtuale – cripto
moneta- moneta di conto e compensativa, comune all’Area
Euromediterranea;
• ridenominazione del debito nella nuova moneta dell’area periferica al tipo di cambio ufficiale che verrà stabilito;
•
rifiuto di una parte del debito e esigenza di una rinegoziazione dello
stesso o in casi di forte dipendenza dal sistema bancario un azzeramento
totale;
• nazionalizzazione delle banche e regolamentazione stretta (compresa la proibizione temporale) della fuoriuscita dei capitali.
L’idea
di abbandonare la UE e uscire dall’Euro deve prevedere una fase di
passaggio con l’utilizzo di una “moneta della transizione nazionale”
(una sorta di ITALSUCRE Mediterraneo, richiamandosi in qualche modo
anche simbolicamente nel nome alla moneta virtuale di compensazione
SUCRE dell’Alleanza ALBA di Nuestra America); per poter essere
considerata un’alternativa per i paesi della periferia mediterranea,
bisogna evitare la debolezza di tale moneta di fronte al capitale
finanziario globale, permettendo così processi di regolazione efficaci
del ciclo e del cambio strutturale di questi paesi.
Il
cambio della moneta non porta in sé nessun tipo di avanzamento nella
correlazione delle forze a favore dei lavoratori; anzi, è il contrario.
Per tale ragione, il cambio di moneta necessita allo stesso tempo – così
non ci saranno ritardi – della ridenominazione del debito estero e
interno nella nuova moneta, con il tasso di cambio che i governi
considerano più appropriato e del ripudio di una parte sostanziale del
debito, infliggendo così un costo elevato alla classe dei rentisti.
Con
un’impostazione e con principi di classe, va rilanciato e rafforzato il
progetto che avevamo iniziato già dieci anni fa: quello dell’ALBA
Euromediterranea. Possiamo semplificarlo riferendoci a un’area di
interessi di classe e di processo rivoluzionario Euromediterraneo, che
guarda con grande simpatia politica e di alternativa economico-sociale
in chiave antimperialista all’ALBA dell’America Latina. Un processo
politico di integrazione regionale in cui, pur con tutti i limiti, si è
creata la Banca dell’ALBA, la Banca del Sur, la Banca dell’ALBA, si sono
messe in campo le Misiones, mezzi di comunicazioni alternativi come
Telesur, si è creato il SUCRE, una moneta virtuale di compensazione per
gli scambi interni, potenzialmente alternativa al dollaro.
È
evidente che l’uso di monete sganciate dai circuiti finanziari
egemonizzati dai poli imperialisti rappresenti un importante segnale di
rottura – e infatti non manca una certa isteria da parte delle grandi
potenze, che pongono in essere una forma sottile ma non meno pervasiva
di terrorismo tramite continui attacchi mediatici – nonché un passaggio
importante per rompere l’isolamento che le sanzioni favoriscono e
trovare canali alternativi, aggirare i blocchi e lavorare alla
costruzione di una nuova architettura finanziaria.
Si
tratta realmente di un passo importante in direzione della costruzione
di un nuovo paradigma per il commercio internazionale al di fuori dei
circuiti finanziari egemonizzati dalle grandi potenze imperialiste; la
sfida è grande tanto quanto la risposta che è possibile attendersi dai
“giganti” minacciati nella loro supremazia.
Riteniamo
che l’Area Euromediterranea sia una opportunità per pensare un nuovo
spazio geopolitico di influenza mondiale, con un progetto di rottura con
il capitale globale, sia per ragioni politiche che economiche.
Costruire
una area monetaria tra paesi con configurazioni produttive strutturali
più omogenee è una alternativa possibile per raggiungere l’autonomia
politica richiesta da un progetto di costruzione di democrazia
partecipativa a carattere socialista, anche in una fase di transizione
possibile.
(relazione al convegno di presentazione di “Pigs. La vendetta dei maiali”)
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