giovedì 27 settembre 2018

Capitalismo e umanità: un altro mondo è possibile?

Forse è il caso - come succede negli USA, nel Regno Unito ma anche altrove - di riaprire anche in Italia il discorso sul capitalismo. Difficile altrimenti sperare che un movimento progressista di massa che ne contesti le storture e sappia modificarle, sorga anche qui.




 


Un po' come si dice talvolta dell'infinito, il capitalismo è quella cosa che tutti sanno cos'è ma, quando si tratta di definirla, si fa una grande fatica a farlo. La difficoltà deriva dalla sua continua evoluzione così, quando si pensa di averne catturato l'essenza, esso è già divenuto qualcos'altro. L'altra difficoltà è data dalla sua molteplicità: il capitalismo è molti capitalismi, a seconda del momento storico, del luogo geografico, del sistema politico e persino religioso nel quale si inserisce.
Dopo la fine dell'autoritarismo, dopo il crollo del comunismo, dopo la disfatta dei totalitarismi novecenteschi, sembrava l'ultimo "-ismo" rimasto. Quello che, secondo alcuni, con il suo trionfo avrebbe posto fine alla storia, ai conflitti, a ogni altro possibile "-ismo", passato e futuro.

Il capitalismo, coincidendo con la globalizzazione, avrebbe modernizzato il mondo, rendendolo omogeneo. Il capitalismo come globalizzazione è stato, tuttavia, anche compressione del mondo. La Terra che da tonda torna piatta, schiacciata su una sola dimensione: quella del profitto. È l'unione dell'est e dell'ovest del mondo, allontanamento del centro dalla periferia, la supremazia del nord sul sud.
Dopo l'11 settembre 2001, sulla scena della Storia si è affacciato tragicamente un altro "-ismo": il fanatismo religioso. Dopo la Grande Recessione del 2008, è venuto il populismo, come conseguenza politica diretta del dissesto economico. E ancora – per esempio, negli Stati Uniti – è tornato perfino il socialismo, come utopia.
Capitalismo è il paradosso della penuria all'interno di un mondo di ricchezza, è gran parte della ricchezza mondiale che viene generata da capitale su capitale e non da lavoro, mentre un lavoratore su tre al mondo versa in condizioni di povertà. È il paradosso dell'aumento dei poveri che lavorano e dei ricchi che non lavorano. È l'incremento esponenziale della produttività ma non sempre della soddisfazione.
Capitalismo è socializzare le perdite e privatizzare i profitti. O si potrebbe dire, come sostenevano Martin Luther King e tanti altri riferendosi all'America, "in questo paese c'è il socialismo per i ricchi e il capitalismo per i poveri". Forse, anche per questo, il capitalismo è ciò a cui i giovani non credono più: uno studio condotto da Harvard nel 2016 mostra che il 51% di coloro che hanno fra i 18 e i 29 anni non sostengono questo sistema economico. La maggior parte di loro però, alla domanda volta in positivo, non ha chiaro cosa sostenere.
Il maggior avversario del capitalismo, infatti, non sembra essere ad oggi un temibile sistema alternativo, ma, più probabilmente, proprio la natura. Natura intesa come questione ambientale e di sostenibilità: mentre l'accumulazione di profitto – soprattutto nell'epoca della finanziarizzazione – può essere infinita, le risorse della Terra sono limitate e spesso hanno bisogno di molto tempo per rigenerarsi quando vengono utilizzate. Il capitalismo sono più di duemila calorie al giorno di cibo prodotte per ciascun abitante della terra, eppure 780 milioni di persone soffrono la fame cronica.
È la piramide sociale che è divenuta clessidra. È la quantità invece della qualità. È l'accumulazione invece dello sviluppo. È vivere per produrre e non produrre per vivere. È un suo limite anche la natura stessa dell'umanità: se le aspirazioni della nostra specie sono così eterne da poter concepire il concetto di Dio, la vita degli uomini e delle donne è assai più fugace. Il Capitalismo prova ad allungarla con il progresso, la tecnologia, l'assenza di limiti morali e la volontà di spingersi sempre un po' più in là. Ma succede anche che esista, come si è visto, qualche fabbrica nella quale, per far fronte al tasso vertiginoso di suicidi, si fa firmare il divieto di commetterlo per contratto.
Il capitalismo può, quindi, essere anche disumano ma, nonostante ciò, esso rimane un sistema fatto da esseri umani per esseri umani. E, come tutte le entità economiche, sociali e politiche, può essere soggetta a cambiamenti, può sempre essere altrimenti. Anche in questa persistente possibilità di immaginare e creare qualcosa di diverso da ciò che esiste si annida la libertà umana che si distingue dalla necessità delle leggi fisiche.
Primo Levi sosteneva: "Se si escludono gli istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la miglior approssimazione concreta alla felicità sulla terra". Per tutti gli altri, se una battuta ci è consentita, il capitalismo è il lunedì mattina.
Il capitalismo è un sistema che si definisce per le sue crisi. Come recitava uno striscione degli Indignados a Madrid nel 2011: "Questa non è una crisi, è che non ti amo più". Eppure, il capitalismo rimane così potente perché fa sì che i suoi avversari si definiscano sempre in sua funzione
In una pellicola (La grande scommessa) che racconta la crisi scoppiata dieci anni fa, Mark Baum (pseudonimo usato per il personaggio che incarna l'uomo d'affari americano Steven Eisman) ne commenta così le conseguenze politiche e sociali: "Ho la sensazione che fra qualche anno le persone faranno quello che fanno sempre quando l'economia fa schifo. Se la prenderanno con i poveri e con gli immigrati".
Poiché, se si sbaglia l'analisi, si sbagliano anche le azioni che conseguono. L studio e la comprensione del capitalismo, delle sue dinamiche e delle sue ricadute permettono di porsi le giuste domande. La più importante fra tutte sembra continuare ad essere: un altro mondo è possibile?
Un estratto di questo testo è stato presentato all'inaugurazione della Stagione Capitale 2018/19 presso Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, in data 27 Settembre 2018

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