L'8 luglio, servendosi di due pullman, si è tenuto un convegno nomade sul tema dell'emergenza abitativa a Roma. "R/home tour"
aveva per scopo quello di fare incontrare urbanisti, architetti,
sociologi, antropologi, artisti, con le dure realtà della lotta per la
casa e per l'integrazione. Il tutto alla presenza di Luca Bergamo
vicesindaco e assessore alla cultura del Comune di Roma.
Tra i luoghi visitati (Porto fluviale, Provincie, Casal Boccone, Penicillina, 4stelle) anche il Maam (Museo dell'Altro e dell'Altrove-Metropoliz), il museo occupato e abitato da circa 60 nuclei familiari (anche italiani) di cui ho già parlato qui sull'Huffington Post e che un forte interesse ha suscitato in tutto il mondo. Televisioni, giornali, documentari, film-inchiesta, dibattiti, incontri, hanno registrato la singolarità di tale esperienza di convivenza e creatività. Perfino Luca Bergamo si era pronunciato a favore dell'iniziativa "promuovendo" e invitando Giorgio de Finis (suo inventore e curatore) a replicare l'esperimento di un'arte trasversale e non convenzionale proprio al Macro, il Museo d'Arte Contemporanea di Roma.
Ora però la vicenda sembra volgere al termine, e nel modo peggiore, con una sentenza definitiva che condanna lo Stato a pagare una pesantissima multa alla società che aveva acquistato l'ex-salumificio abbandonato sulla via Prenestina per trasformalo in un complesso di palazzine. Il mancato sgombero da parte delle forze dell'ordine avrebbe dunque arrecato alla proprietà una perdita calcolata in circa 28 milioni (a fronte dei circa 7 milioni spesi nel 2006) e un danno complessivo all'intero quartiere per il degrado e il disordine provocato.
A questo punto alcuni, al passo coi tempi, hanno invocato la ruspa.
Ora non voglio entrare nel dibattito tecnico, non ho la competenza per farlo, ma in quello artistico sì. O meglio vorrei introdurre nella aspra polemica in corso in merito al destino del Maam un pizzico di buonsenso al fine di non buttare via il bambino con l'acqua sporca. Anche se lo Stato deve comunque pagare non sarebbe meglio evitare la distruzione totale e salvare il salvabile? Non sarebbe più saggio (cercando partner, sponsor illuminati, mecenati) mettere tutto a norma, museo e abitazioni, e rilevare l'intero progetto abitativo/espositivo per trasformarlo in un insediamento "legale", in un arricchimento culturale non solo del quartiere ma dell'intera città e della comunità dell'arte?
Il Maam in questi anni si è proposto come un'anomalia, una deriva, un imprevisto, una concreta alternativa al cosiddetto "sistema dell'arte" fondato soprattutto sul riconoscimento del mercato (per cui una singola opera di Jeff Koons può arrivare a costare oltre 50 milioni di dollari) e sul consenso di una ristretta cerchia di addetti ai lavori.
Al Maam magari non ci saranno i picchi della genialità di Jeff Koons ma non ci sono neanche gli abissi della nullità, c'è invece l'unicità di un'opera corale, fatta da oltre 500 mani, un immenso impareggiabile "cadavre exquis" (per dirla coi surrealisti). Una macchina desiderante, un oggetto senza uguali che trasferito a New York nella zona del Meatpacking District o nei dintorni del Pier 92 & 94, otterrebbe un impatto fenomenale con folle di visitatori e ammiratori.
Se si difende la barriera corallina dal riscaldamento globale, si deve difendere anche questa concrezione artistica, questo insieme, in cui alla verticalità del "capolavoro" si contrappone l'orizzontalità, il rizoma (per usare un'espressione cara a Deleuze e Guattari), di una creatività diffusa.
Il Maam è stato una barricata di idee e di opere, una coltura spontanea di immaginazione, una evoluzione e trasgressione della "forma museo". Un luogo speciale e ospitale dove alcune espressioni artistiche si sono fuse con l'ambiente diventando, senza troppe mediazioni, vita quotidiana.
Per questo sarebbe un vero peccato se perisse.
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