Lidia Undiemi Dottore di ricerca in diritto dell'economia
Un fenomeno, questo, di cui mi occupo da più di dieci anni, sia lavorando fianco a fianco con i lavoratori che ne hanno dovuto subire le conseguenze, sia attraverso una specifica attività di ricerca scientifica. Entrambe queste esperienze mi hanno consentito di poter formulare una serie di proposte di legge in grado di limitarne l’uso abusivo, senza per questo compromettere la libertà d’impresa (quella vera).
Il primo intervento riguarda l’introduzione del diritto dei lavoratori a potersi opporre al proprio trasferimento da una società ad un’altra, cosa che oggi avviene senza il loro consenso.
Si provi ad immaginare quanto sia facile fare scempio di lavoratori a queste condizioni: si individuano consistenti gruppi di lavoratori da cedere ad un’altra società, e visto che il passaggio avviene in automatico per scelta del datore di lavoro, l’unico modo per i ceduti di potersi opporre è quello di fare causa. Il presupposto di queste lunghe battaglie legali è che la società dove vengono canalizzati i lavoratori non è in grado di potere garantire la stessa stabilità occupazionale del precedente impiego.
Il secondo intervento ha a che fare con lo sviluppo della tecnologia, che oggi consente alle imprese di ottenere una standardizzazione ed un controllo “a distanza” delle mansioni che in passato erano impensabili. Il rischio concreto è quello che talune aziende riescono a utilizzare lavoratori assunti da outsourcer come se fossero dei dipendenti propri, senza però assumersi le responsabilità tipiche del datore di lavoro. Il caso tipico, a mio avviso, è quello dei call center.
Al contrario di quello che si è tentato di fare con la cosiddetta “clausola di salvaguardia”, non è possibile interferire sulla libertà di impresa sino al punto da obbligare un imprenditore ad assumere e mantenere personale selezionato per legge. Quel che però si può invece fare è disincentivare le pratiche abusive, reintroducendo degli indici di presunzione di appalto di manodopera, qualora l’appaltatore utilizzi mezzi di lavoro, anche informatici (questo sarebbe l’elemento di novità), che vincolano e proceduralizzano l’attività dei dipendenti in appalto, tale per cui si può solo configurare un appalto di mera manodopera. Questo fenomeno l’ho definito nei miei studi come “caporalato nella new economy”.
Infine, bisognerebbe introdurre il divieto di utilizzo delle collaborazioni precarie negli appalti, specie in quelli a prevalente impiego di personale, dove il rischio è che il business si riduca a margini di profitto creati esclusivamente sulla pelle dei lavoratori a basso costo.
Nessun commento:
Posta un commento