Padova, società di gestione rifiuti fallisce e in 56 Comuni scoppia il caos: il controllo pubblico è operativo solo sulla cartaControllo pubblico operativo solo sulla carta, e bloccato nella realtà dagli stessi sindaci. 
La matassa della gestione dei rifiuti nel Padovano diventa sempre più aggrovigliata. Dopo lo scandalo sul crac di Padova Tre, la srl pubblica fallita sotto il peso di almeno 30 milioni di debiti e anni di operazioni opache, i problemi non finiscono.
Mentre le indagini della Procura di Rovigo si sono concluse con 10 indagati, i nodi aumentano e, come sintetizza un sindaco rimasto per scelta fuori dai giochi, “nessuno ha interesse a risolvere tutto. È un pettine che all’ultimo strattone farebbe troppo male”.
È così che l’organo titolato per legge a controllare sul servizio di igiene urbana, il Consiglio di bacino, è nato nel 2016 ma ancora bloccato da ostruzionismi politici.
Con il risultato che la gestione dei rifiuti in 56 comuni della Bassa padovana, un servizio da svariati milioni di euro all’anno, va avanti senza un ente terzo che garantisca l’interesse pubblico.
A svolgerlo, dopo il fallimento di Padova Tre, sono le aziende che con questa avevano ottenuto l’affidamento: la srl Abaco, la società mista Sesa, al 51% del comune di Este, e l’azienda privata De Vizia Transfer. Da quando quest’ultima ha annunciato però l’intenzione di dire addio al Veneto senza aspettare la fine dei contratti e cedendo un ramo d’azienda a Sesa, i suoi 130 dipendenti si sono ritrovati in un limbo senza certezze sul futuro: la politica di nuovo prende tempo, e tutto rimane in sospeso. Una parte dei lavoratori ha saputo a metà luglio che passerà sotto Sesa, un’altra parte di loro dovrà attendere la fine dell’estate.
Controllore e controllato stessa persona

Per raccontare questo groviglio di vicende, bisogna fare un passo indietro, e tornare al 2009. In quell’anno 58 Comuni affidano il servizio di igiene urbana a un’associazione temporanea di imprese, composta appunto da Abaco, Sesa, De Vizia Transfer e, a fare da capofila, Padova Tre srl. Quest’ultima fa capo ai bacini Padova Tre e Padova Quattro e passa poi sotto il cappello del consorzio Padova Sud dopo la sua costituzione nel 2014. Affidante e affidatario, insomma, sono la stessa persona: particolare che attira poi le attenzioni di Anac, Corte dei Conti e Guardia di Finanza, ancora al lavoro. La legge regionale già nel 2012 ordinava ai Comuni di formare dei Consigli di bacino, organi territoriali per controllare la gestione dei rifiuti, ma i sindaci della Bassa se ne infischiano e formano piuttosto questo consorzio volontario. Un ente in sostanza non necessario, a cui non tutti decidono di aderire: “Ci sembrava inutile e pericoloso”, conferma a Ilfattoquotidiano.it Lucia Pizzo, vicesindaco del comune di Piove di Sacco, 20mila abitanti, e oggi presidente del nuovo Consiglio di bacino. E Francesco Peotta, primo cittadino del piccolo comune di Barbona aggiunge: “Ne siamo stati fuori, e facendo la gara per conto nostro abbiamo anche ottenuto prezzi più vantaggiosi. D’altra parte, le aggregazioni come questa essendo senza controllo più che efficientare il servizio creano diseconomie”.
Operazioni opache
Tradotto: operazioni poco chiare, come quei soldi che secondo gli inquirenti sarebbero stati distratti dalla srl Padova Tre in favore di attività lontane dal proprio business principale. Come l’accoglienza migranti della coop Ecofficina, oggi Edeco, guidata da Sara Felpati, moglie del presidente di Padova Tre Simone Borile. Quest’ultimo è tra i principali indagati per il crac della società, che avrebbe pagato secondo gli inquirenti anche dei lavori di ristrutturazione nella casa di montagna del manager. E negli anni le resistenze dei due amministratori di Piove di Sacco e Barbona hanno trovato altre conferme, come i 3,3 milioni di tributo ambientale provinciale incassata da Padova Tre ma mai versata alla Provincia, oppure le bollette gonfiate ai cittadini per milioni di euro. “Padova Sud sembra che ad oggi abbia avuto il solo scopo di scaricare su tutti i Comuni, e quindi sui cittadini, i debiti dell’azienda Padova Tre”, dice Lucia Pizzo.
Nessuno controlla la gestione dei rifiuti
In un quadro così compromesso, oggi il servizio di gestione rifiuti va avanti senza Padova Tre dichiarata fallita a ottobre 2017, ma ci sia un controllo pubblico al momento dovrà rassegnarsi. Padova Sud in passato non ha fatto da argine alla mala gestione di Padova Tre srl, di sua proprietà, e oggi è una scatola vuota senza dipendenti, che non dà servizi ai Comuni né a cittadini alle prese con le bollette pazze del passato e non presenta un bilancio da due anni. Nonostante sia un ente pubblico, la sezione “Amministrazione trasparente” del sito è vuota. E nemmeno il Consiglio di bacino riuscirà a vigilare tanto facilmente. Nella Bassa padovana – che comunque in Veneto non è l’unica area inadempiente – è stato formato solo nel 2016, ma è nato già con le mani legate: “I bacini Padova Tre e Padova Quattro, che dovrebbero confluire nel nuovo consiglio, sono in liquidazione, ma senza i piani che ne concludano l’estinzione non possiamo iniziare a operare e fare un bando per assumere personale”, denuncia a Ilfatto.it Pizzo, che presiede il Consiglio. I piani li dovrebbero fare i commissari dei due consorzi, ma se ne sono succeduti quattro per ognuno e ancora siamo al punto di partenza. “Il mio tentativo di fare una convenzione con un consiglio vicino, quello di Venezia, per iniziare a essere operativi, è stato bloccato da alcuni sindaci, senza valide motivazioni. Si è tolto ai cittadini il diritto all’organo di controllo. Questi sindaci, molti dei quali per troppo tempo non si sono fatti domande e hanno votato anche mosse di Padova Sud discutibili, ora non hanno interesse che le cose cambino”. E quindi rimane tutto com’è: “Non essendoci un controllo reale dei singoli Comuni, la situazione è in mano alle aziende che svolgono il servizio”, aggiunge Peotta. In questo quadro molti fanno rientrare anche il tentativo avviato in queste settimane dal Padova Sud, in liquidazione, di ristrutturarsi con un piano di rientro: così però, la quota delle bollette che dovrebbe far funzionare il Consiglio di bacino, e quindi assicurare ai cittadini un controllo pubblico sulla gestione della nettezza urbana, finirebbe per andare a ripianare i debiti di Padova Tre.
Il via libera dal consorzio scatola vuota
Alla mancanza di garanzie per i cittadini, si aggiunge anche la situazione di limbo che hanno vissuto 130 lavoratori dall’inizio dell’anno, quando la De Vizia Transfer ha annunciato l’intenzione di smettere di lavorare in Veneto e passare le attività a Sesa, sia modificando l’associazione d’impresa per il servizio nella Bassa padovana, sia cedendo un ramo d’azienda attivo in altre aree della regione. Un centinaio di operai hanno saputo a metà luglio che passeranno a Sesa dal primo agosto, ma adesso sull’operazione serve il nulla osta delle stazioni appaltanti: in questo caso, paradossalmente, il consorzio Padova Sud rimasto scatola vuota. Mentre c’è chi vorrebbe anche chiamare in causa l’Antitrust perché dia il suo ok all’operazione, visto che Sesa dovrebbe subentrare a De Vizia anche negli appalti che quest’ultima aveva con Etra, municipalizzata attiva nell’area a nord di Padova, e acquisire Adigest, altra società veneta di igiene urbana. Il resto dei lavoratori, in tutto circa una trentina, sapranno di più sul loro futuro solo a settembre.
I sindacati lamentano scarsa sicurezza, l’azienda nega
Intanto, i dipendenti di De Vizia che tutte le mattine alle 5 vanno a svuotare i cassonetti denunciano una situazione difficile: “Negli ultimi mesi si sono susseguiti una serie di incidenti, tra cui un mezzo finito in fondo a un fossato perché non riusciva a frenare. Non ci sono stati per fortuna vittime o feriti gravi, ma non possiamo continuare ad affidarci alla buona sorte. Da quando si è iniziato a parlare dell’operazione di cessione, De Vizia sembra aver smesso di investire in manutenzione dei mezzi, dispositivi di sicurezza e personale”, spiega a Salavatore Livorno di Uil Trasporti Padova e Rovigo, che ha denunciato la situazione insieme alle altre sigle sindacali. In una comunicazione inviata all’azienda, i lavoratori parlano di “turni di lavoro con punte di 13 ore giornaliere”, “mezzi di raccolta a dir poco obsoleti e non manutenutati” e “carenza di consegna dei dispositivi di protezione e vestiario ai dipendenti”. Contattata da Ilfatto.it, l’azienda respinge ogni addebito spiegando che quanto descritto dai sindacati è “privo di ogni fondamento e distante dalla realtà dei fatti. Non corrisponde al vero che la De Vizia Transfer, dopo aver servito per 20 anni numerosi comuni nel Veneto con riconosciuta professionalità, abbia ridotto gli investimenti nella sicurezza e la qualità dei servizi resi”. La società ammette solo “un breve ritardo nella consegna del vestiario estivo, dipeso dall’inatteso slittamento della data di trasferimento dei servizi alla società subentrante”, mentre sul resto minaccia azioni legali.