martedì 2 ottobre 2012

Il film della settimana: “Il rosso e il blu” di Giuseppe Piccioni

di Giona A. Nazzaro Il rosso e il blu di Giuseppe Piccioni appartiene a quel cinema medio ossessivamente evocato dagli addetti ai lavori e sempre meno presente nelle sale della penisola il cui posto è ormai stato usurpato da commedie e film strenne. E quindi quando uno di questi film, appartenenti al cosiddetto cinema medio non solo è realizzato con tutti i crismi di un’artigianalità sapiente e umile, ma riesce anche a dialogare con il pubblico, porre all’ordine del giorno problematiche reali e urgenti, allora si può affermare che è proprio di “cinema medio” che la nostra produzione nazionale ha un bisogno drammatico per sopravvivere come industria e come dialogo con chi ancora frequenta il buio delle sale.





Il rosso e il blu, tratto dall’omonimo libro di Marco Lodoli, raccolta di riflessioni sulla situazione della scuola in Italia osservata dai margini delle periferie di Roma, è un film corale interpretato da uno stuolo di interpreti tra i quali spiccano Roberto Herlitzka e un Riccardo Scamarcio sempre più concentrato e sorprendente, senza contare una Margherita Buy asciutta e vulnerabile, che in punta di macchina da presa si cala nella trincea della scuola.

Un film serio, quello di Piccioni, che come un regista che filma sul bordo di una piscina, ma evita sino alla fine la gag di farci finire dentro qualcuno per strappare una risata, evita tutte le battute e boutade di rito cui un certo tipo di cinema ci ha abituato.

Le aule di Piccioni, scrutate con grande pudore dal regista, sono luoghi attraversati da una richiesta di dialogo. Dal desiderio di un incontro. Un dialogo e un incontro che purtroppo, a quanto pare non trova più le parole per dirsi e per darsi come possibilità.
E piuttosto che arenarsi sui soliti conflitti fra studenti e professori, Piccioni coglie con grande acume la distanza che separa le diverse generazioni dei professori. Un bilancio di una sconfitta, insomma, che il regista volge in positivo. Non la contemplazione passiva di una sconfitta, ma l’opportunità per rimettersi ancora una volta al lavoro. Come sempre.

Piccioni si cala nella scuola con grande rispetto. Sa che è tra le mura delle scuole che si gioca l’avvenire del paese. Sa che difendere la scuola pubblica è una scelta politica. E Piccioni la sua scelta la compie sino in fondo schierandosi dalla parte dei ragazzi e dei professori. E lo fa con il cinema e non con i discorsi. E a ben pensarci, in tutti questi anni di attacchi alla scuola pubblica, mentre cinema e tv ci mostravano adolescenti solo alle prese con lucchetti e sms, ci si è dimenticati che il richiamo dei lustrini (forse) non è più forte come una volta e che probabilmente era ora di tentare un’inversione di rotta. Il rosso e il blu va a coprire proprio questo spazio del dibattito pubblico con un film che appartiene al novero delle cose migliori di Piccioni.

Per avere un’idea dell’adesione del regista al progetto, basti pensare al movimento di macchina finale che coglie l’aula dopo che lo tsunami adolescenziale della classe si è precipitato incontro alle vacanze estive con tutto il fiato che ha in corpo. Un movimento malinconico e fiducioso al tempo stesso che s’interrompe come una promessa. Una promessa di qualcosa ancora da venire ma che è già lì. Basta saperlo ascoltare.

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