Non potevamo prevedere che all’Unione Europea sarebbe stato concesso un Nobel per la Pace: la nostra fantasia non arrivava a tanto. Ma sapevamo che tra le motivazioni c’è sicuramente quella che l’Unione Europea ha garantito la pace e la stabilità in Europa. E’ un’idea sostanzialmente ridicola, perché l’altro aspetto che evidenzia la forza dell’ideologia che ci è stata propinata negli ultimi tempi è quello che l’Unione Europea viene usata come sinonimo diEuropa. L’Unione Europea non è l’Europa. Noi abbiamo la pace in Europa, a parte il dettaglio della guerra in Kosovo – “dettaglio” ovviamente detto in modo ironico – c’era l’Unione Europea e abbiamo fatto la guerra, oltre che farla all’esterno ovunque quando gli Stati Uniti vogliono, ma all’interno dell’Europa abbiamo la pace da immediatamente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando non c’era nessuna Unione Europea.
L’Unione Europea è una struttura giuridica nata per garantire la libera circolazione di merci, servizi e capitali che esiste da vent’anni. Questo è l’Unione Europea, non è altro. Non è la pace tra le nazioni. Si può rispondere che non c’era l’Unione Europea nel dopoguerra ma si cominciava a formare la Cee, si cominciavano a gettare i primi ponti di collaborazione economica tra gli Stati. Questo è sicuramente vero, ma di qui a pensare che sia questo che abbia garantito la pace ce ne passa. Spesso, in Europa, anche nei secoli precedenti, tra gli Stati-nazione ci sono stati decenni di pace. Sembra che chi sostiene che l’Unione Europea abbia garantito la pace pensa che in Europa ci siano state solo guerre fino a che non è nata l’Unione Europea. Questo è semplicemente falso, non è storicamente così. Quindi questa è un’altra motivazione del tutto falsa e ideologica.
Purtroppo però l’ideologia è forte e Marino Badiale ed io ci siamo resi conto che è difficile discutere di euro, diEuropa, mettendo da un lato l’ideologia e discutendo in modo razionale di ciò che davvero può essere un bene per le nazioni, per il nostro popolo e per gli altri popoli europei. Così ci siamo resi conto che anche negli ambienti dove ci sarebbe maggiore interesse ad un cambiamento della politica, un cambiamento delle politiche realizzate in questo paese, si fa fatica a mettere a fuoco il fatto che l’euro e l’Unione Europea sono un po’ il primo bersaglio da colpire nel momento in cui si voglia un effettivo cambiamento. E’ fondamentale combattere contro quelle istituzioni che sono diventate la forma reale e concreta di quell’idea astratta che anche tu, giustamente, vuoi combattere. Mi riferisco a chi giustamente pone la questione della crisi ecologica, del sistema distruttivo nel quale viviamo – distruttivo dal punto di vista ecologico e ambientale – e propone quindi di lanciare un piano di conversione ecologica dell’economia, un piano di decrescita sostanzialmente, di decrescita nel senso di diminuzione della domanda di energia e così via.
Ebbene, sono tutte cose assolutamente condivisibili ma che non possono essere concretamente realizzate all’interno del sistema giuridico dell’Unione Europea e all’interno dei vincoli derivanti dall’euro. Fuori dall’Italia è un po’ più chiaro questo, devo dire che un intellettuale importante del pensiero della decrescita, come Serge Latouche, dice chiaramente queste cose in uno dei suoi ultimissimi libri, “Per un’abbondanza frugale”. Dice esplicitamente che per i Piigs, cioè i paesi in crisi dell’Eurozona, per rilanciare una politica di riconversione ecologica, di sostegno all’economia del chilometro zero e delle autoproduzioni, bisogna assolutamente liberarsi dell’euro e dei vincoli del mercato unico dell’Unione Europea. In Italia invece si ha la percezione che questa chiarezza ancora non ci sia nei movimenti che lottano, giustamente, per l’affermazione di una democrazia partecipata, per la difesa dei beni comuni.
Non c’è ancora la necessaria presa di coscienza di quanto quelle scelte contro le quali combattono, cioè le privatizzazioni piuttosto che l’oligarchizzazione della politica, dipendono anche dall’appartenenza all’euro e all’Unione Europea, proprio per la spoliazione della sovranità degli Stati e la costruzione di un governo, di un ipotetico super-governo europeo assolutamente non-democratico. Se si vuole la maggiore partecipazione politica e attiva dei cittadini e la loro maggiore capacità decisionale, quindi la democrazia partecipata, occorre che si possa decidere, quindi è necessario averla la sovranità, altrimenti di cosa si decide? Anche questo elemento fatica ad entrare nella discussione pubblica. Quanti cercano di difendere il lavoro, giustamente? Quanti cercano di difendere i ceti sociali più aggrediti da questa crisi e che oggi vedono appunto perdere il lavoro oppure perdere le condizioni di lavoro? E non si sa che cosa sia peggio, perché quando andiamo a vedere che cos’è il piano Marchionne o cosa vuol dire perdere le tutele dei contratti nazionali di lavoro, vuol dire che tu sei sostanzialmente sempre a disposizione dell’azienda e puoi fare una quantità infinita di straordinario, anzi devi farla, e lo straordinario che devi fare ti può essere comunicato anche uno, due giorni prima. Vuol dire che tutta la tua vita viene assolutamente asservita a quelle che sono le esigenze della produzione.
Ecco, chi vuole combattere contro tutto questo oggi fatica a mettere in relazione la realizzazione di quelle scelte con i vincoli dell’appartenenza all’euro e all’Unione Europea. Nonostante tutte le critiche che noi possiamo fare all’Unione Europea, una critica che non possiamo farle è quella di fare le cose di nascosto. Ce lo dicono chiaro che cosa vogliono fare. Prima lo dicevano magari in modi più difficilmente riscopribili nei documenti ufficiali dell’Europa 2020, del cosiddetto Semestre Europeo, e diciamo che uno deve andare un po’ a cercarseli per capirli. Oggi non è più così. Dalla lettera al governo Berlusconi in poi le imposizioni della Banca Centrale Europea sono perfettamente chiare. Basta prendere quei fogli e c’è scritto. Sono le richieste di oggi alla Grecia, alla Spagna: privatizzare ulteriormente, licenziare nel pubblico impiego, abbassare i salari nel privato e nel pubblico. Questo è quello che pretendono. Allora, se si vuole combattere contro tutto questo, non si può omettere da dove nasce la richiesta di tutte queste follie. E tutto questo nasce dall’adesione, dalla costruzione dell’euro e dall’Unione Europea.
Attenzione, continuano a dirci che l’euro è irreversibile, ma il motivo per cui continuano a dircelo – lo ha detto recentemente il presidente della Repubblica, lo ha detto recentemente Draghi, continuano a ripeterlo in Germania, continuano a ripeterlo dappertutto – è proprio il fatto che l’euro è reversibile, altrimenti non avrebbero nessuna ragione di continuare a dirlo, ma devono far credere che tale sia. Devono far credere che tale sia, perché essendo le criticità dell’euro così note e conosciute, ed essendo noto che soprattutto per i paesi più deboli sarebbe assolutamente conveniente un’uscita dall’euro, nel momento in cui un singolo paese dovesse abbandonare la moneta unica è molto probabile che questo sancirebbe l’immediata fine della moneta unica stessa. Perché? Perché a quel punto gli altri paesi deboli rimasti all’interno della moneta verrebbero aggrediti da attacchi speculativi molto maggiori rispetto a quelli che già abbiamo visto.
Il perché è molto semplice: finché si pensa che l’euro sia irreversibile allora può avere senso comprare titoli italiani, spagnoli, greci stessi, ma se ipotizziamo che la Grecia, piccolo paese, uscisse dall’euro, a quel punto diventa chiaro che l’euro non è più irreversibile, quindi può essere reversibile per tutti, quindi è molto probabile che alla fin fine anche il Portogallo, anche la Spagna, anche l’Italia escano dall’euro, dovendo attraversare tutto un primo periodo di problematiche effettive che questo comporterà. Quindi a questo punto l’attacco speculativo rispetto a questi paesi diventerebbe fortissimo e lo stesso attacco porterebbe molto probabilmente alla fine della moneta unica. Questo è uno degli scenari possibili ed è il motivo per cui, sostanzialmente, la Grecia non è stata fatta immediatamente uscire dall’euro. La Grecia è un paese molto piccolo, un’economia molto piccola rispetto all’Eurozona; obiettivamente non c’erano motivi di non lasciarla in pace, ma le scelte che sono state fatte sono tali proprio perché non possono permettersi di fare uscire nessuno dall’euro. L’euro è un gabbia dalla quale dobbiamo cercare di liberarci.
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