A sinistra cadono molti tabù; le politiche del prossimo governo sono l'unica discriminante. Ferrero (Prc) Che Monti resti o no, Pd e Sel restano nei binari del premier.
«Centrosinistra montista»
«Centrosinistra montista»
«Bene De Magistris, ma
facciamo presto: Subito una
sinistra per il new deal e
la democrazia partecipata»
facciamo presto: Subito una
sinistra per il new deal e
la democrazia partecipata»
di Daniela Preziosi
«Il No Monti day è la prima manifestazione dell'autunno esplicitamente contro Monti e il montismo. E cioè contro i provvedimenti del governo ma anche contro il suo indirizzo di politica economica. Che poi è l'applicazione della lettera della Bce e degli accordi europei: pareggio di bilancio in Costituzione, fiscal compact, riforma delle pensioni, abolizione dell'art.18 e spending review. Cinque pilastri che ingabbiano le politiche dei prossimi anni. Per questo Monti dice che 'può lasciare tranquillo': è come se avesse solidificato la sua politica e costruito i binari entro cui deve correre il prossimo governo». Paolo Ferrero, segretario Prc, ha appena iniziato la raccolta delle firme sul referendum per l'abolizione della legge Fornero, oltreché dell'art. 18 e l'art.8: «Se passasse, di fatto salta il fiscal compact».
Quindi a lei non importa che Bersani dica no al Monti bis?
La partita non è Monti sì o Monti no, ma se il futuro governo resta su questi binari o cambia strada.
Bersani in Francia, insieme a Hollande e a Desir, dice 'un'altra Europa è possibile'.
Il Pd, non da solo purtroppo, nella carta d'intenti ha scritto che rispetterà i trattati internazionali o li cambierà in accordo con gli altri stati. È ridicolo: basta che un paese non sia d'accordo e i trattati restano in vigore. Perché i paesi che volevano un fiscal compact ancora più duro dovrebbero cambiare idea d'emblée?
Magari perché la Germania presto cambierà governo?
Ma in Germania anche l'Spd è d'accordo sul fiscal compact. E comunque c'è sempre la Finlandia, ancora più liberista. Insomma, un'altra Europa è possibile, ma non sulla base della carta d'intenti del centrosinistra. Sono d'accordo con quello che Bernard Cassen ha scritto su Le Monde Diplomatique: «bisogna disobbedire». È la posizione che ha Syriza in Grecia. Se si sta dentro la gabbia prodotta dal quartetto Draghi, Monti, Merkel e Hollande - che in Francia vota queste misure che invece prima del voto aveva aveva promesso di cambiare - non ci sono santi: per l'Italia i margini di manovra sono bassissimi. In ogni caso non tali da permettere politiche per uscire dalla crisi. La disoccupazione aumenterà e si taglierà il welfare.
Lei dice 'disobbedire'. Ma il presidente Napolitano fa appello per un voto 'responsabile', che assicuri la prosecuzione delle politiche montiane.
E lo schieramento progressista condivide. I sacrifici imposti chiamano ulteriori stangate: una specie di marcia greca al rallentatore. Le due manovre di Berlusconi e quella di Monti hanno portato a una pesante riduzione del pil e all'aggravamento del rapporto debito-pil. Il fiscal compact vale 45 miliardi di tagli l'anno: altro che beni comuni, si svenderà tutto, aziende comprese. La gabbia costruita è pesante, e l'idea di fare la sinistra dentro quella gabbia è come quella del Pasok di fare la sinistra dentro il memorandum greco: dovrà fare lui il massacro.
A differenza di Syriza, in Italia chi la pensa come lei sembra non aumentare i consensi. Sulle primarie invece è partita una certa mobilitazione.
Le primarie sono un grande spettacolo. Fanno notizia. Ma la linea è quella fissata nella carta d'intenti. Non è un caso che la dialettica sia fra Bersani e Renzi.
In realtà sono in molti a litigare sul ruolo della sinistra e Monti.
È una discussione simbolica. Monti potrà anche non aver più alcun ruolo, ma se non si cambia quello che ha fatto è come se continuasse a governare. Il Pd ha una proposta politica: restare nei binari del rigore cercando di fare qualcosina di egualitario. È il montismo con qualche belletto.
Per lei il centrosinistra non è redimibile dal montismo?
È del tutto evidente. Quindi noi dobbiamo mettere in campo a sinistra una proposta di politiche economiche contro il rigore, un new deal, e di democrazia . La terza repubblica o sarà tecnocratica o sarà di democrazia partecipata.
Di Pietro ha chiesto di entrare nella coalizione con Pd e Sel. Con chi farà questa sinistra?
In Sicilia facciamo la campagna elettorale con Idv e Sel. Insieme raccogliamo le firme sull'art.18. La mia proposta è a tutti: Idv, Verdi, Alba, sinistra politica e sindacale. Ma faccio un appello: il tempo stringe, facciamo presto. Per un processo plurale serve tempo.
De Magistris lancia la sua fomazione 'arancione': «Possiamo andare soli o in una coalizione di centrosinistra o di sinistra».
Dice dice 'anche senza Vendola' e che non parteciperà alle primarie del centrosinistra. Benissimo. Lo considero il primo atto di questo processo dal basso. Bisogna parlarsi e partire.
Farete le primarie rosse?
Di certo i candidati non si decideranno a Roma. Ci vorrà un processo partecipato. Vedo che la domanda sociale c'è e le forze anche.
Le liste arancioni e le liste rosse possono diventare una sola?
Bisogna lavorare a una lista plurale. Un programma che mette al centro l'uscita dalle politiche del rigore e la ripresa di sovranità sull'economia oggi parla anche all'elettorato di destra e può avere la maggioranza del popolo italiano. Lo schema classico è scompaginato. Dobbiamo fare una proposta in grado di rivolgersi a 360 gradi.
Segretario, lei parla a nome del solo Prc. Nella Federazione della sinistra ci sono opinioni diverse. Salvi e Diliberto si rivolgono apertamente al centrosinistra. Vi dividerete di nuovo?
Parlo a nome del Prc perché per ora ne abbiamo discusso solo noi. In una federazione è normale che ci siano opinioni diverse. Il 3 novembre ci riuniremo. E se non si trova una quadra proporremo il referendum, come fa Izquierda unida. Se ci sono opinioni diverse nel gruppo dirigente, la parola va agli iscritti: quelli ai partiti e non.
Poi applicherete il centralismo democratico o vi separerete?
Noi proponiamo il referendum come modalità per tenere insieme comunque la federazione.
da "il manifesto"
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