I progetti di Vita Indipendente prevedono di erogare le risorse direttamente ai disabili non autosufficienti, perché scelgano e retribuiscano in prima persona chi si occuperà di loro, secondo le proprie reali necessità.
di Franz Baraggino e Thomas Si tratta di costruire percorsi individuali di
autodeterminazione che favoriscano il recupero relazionale e lavorativo,
a partire proprio dal protagonismo nella gestione dei servizi di cura.
Ma i soldi non si trovano, e l’azzeramento del Fondo nazionale per la
non autosufficienza operato dal precedente governo cancella ogni
speranza. Dai quattrocento milioni di euro del 2009 si è passati
direttamente a zero. Così, chi presenta un progetto di vita indipendente
è destinato a vedersi sbattere la porta in faccia dal proprio comune di
residenza. Fatte salve le iniziative di poche regioni che hanno voluto
trovare i fondi per avviare alcuni progetti (Toscana, Friuli, Piemonte,
Marche), per tutti gli altri non rimane che pesare sulle proprie
famiglie o finire in una struttura di ricovero. Un vero paradosso,
perché l’assistenza gestita dal disabile costa meno. La metà della
classica assistenza domiciliare e fino a un terzo rispetto al ricovero
in residenza sanitaria. Si potrebbe risparmiare, invece si taglia e
basta. Elisa, una donna di 31 anni che per ottenere la Vita indipendente
ha minacciato di incatenarsi al suo municipio lo dice chiaramente:
“Tagliare i fondi alle persone disabili è come tagliargli la vita”.
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