mercoledì 24 ottobre 2012

In guerra per i semi

La varietà delle colture è un vantaggio per i contadini. E per la qualità del cibo. Bisogna favorire le sementi tradizionali aiutando i coltivatori che le crescono sul campo a commercializzarle. Se ne parlerà a Torino durante il Salone del Gusto e Terra Madre.

l'espresso di Carlo Petrini
In guerra per i semiSiamo un paese di appassionati e di - veri o presunti - intenditori di cibo, eppure l'agricoltura ci lascia un po' freddini. È come se ci dimenticassimo che il cibo viene dai campi, dalle stalle, da determinate scelte agronomiche e aziendali. E così come non riusciamo a fare questo minimo passaggio logico, non riusciamo a fare quello ulteriore per renderci conto dell'importanza fondamentale che hanno le sementi tradizionali, per la qualità della nostra alimentazione e per il nostro diritto alla sovranità alimentare.
Nel giro di qualche decennio quelle che per gli agricoltori sono sempre state l'elemento chiave della propria attività, si sono trasformate in un optional, un fattore esterno, a cui pensa qualcun altro. Le aziende sementiere sono sempre di meno e sempre più grandi, creano ibridi commerciali e varietà selezionate "in purezza" che consentono migliori performance su un versante piuttosto che su un altro, ma devono essere riacquistate ad ogni semina perché non danno buoni risultati in seconda generazione.

Le sementi tradizionali invece non hanno bisogno di essere riacquistate ogni anno, però richiedono un po' di abilità per essere selezionate dal raccolto della stagione ed essere conservate per consentire la produzione dell'anno successivo. Oggi i giovani che tornano all'agricoltura, e che ci tornano convinti e competenti, stanno re-imparando a farsi le loro sementi, e spesso si ritrovano a fare da produttori di sementi anche per agricoltori più anziani, che dopo decenni di acquisto di varietà commerciali vogliono tornare alla produzione di prodotti locali di cui le sementi non sanno più né trovare né produrre. È anche questa la biodiversità: le infinite varietà di radicchio, le tante varietà di mais, melanzane, pomodori, mele, albicocche.... che ovviamente si trovano nelle aziende agricole e non nei negozi di sementi, perché alle aziende sementiere non conviene sviluppare troppe varietà: al mercato la varietà non conviene quasi mai, la diversità rallenta i ritmi del profitto.


Per questo, circa 15 anni fa, Slow Food ha dato vita a due progetti importanti: l'Arca del Gusto, catalogo di prodotti a rischio di estinzione, e i Presidi, azioni di recupero e valorizzazione di prodotti dell'Arca. Se l'Arca poteva prescindere dal recupero effettivo delle sementi, il versante produttivo – il progetto dei Presidi - doveva avere accesso non solo alle residue sementi dei prodotti considerati, ma anche alle competenze - sempre più rare nei paesi industrializzati - per riprodurle, conservarle, diffonderle. Oggi possiamo dire che ogni Presidio, e in tutto il mondo sono centinaia, è - potenzialmente o nei fatti - una minuscola banca del germoplasma. Questo vale anche per i Presidi su prodotti di origine animale e che difficilmente possono prescindere dall'attenzione ai foraggi tradizionali, o che comunque hanno bisogno di un qualche tipo di supporto dal mondo vegetale.

Occorre iniziare a includere le sementi tra quelli che consideriamo "beni comuni" perché i semi sono informazioni, competenze, culture. Il discorso sui beni comuni, e su come il mercato vi si debba relazionare, è ancora troppo chiuso in ambiti specialistici e questo gli toglie forza ed efficacia. È più facile trovare attenzione, anche da parte dei media, quando si parla di Ogm, allo stesso modo in cui è più facile trovare attenzione quando si parla di guerra che non quando si parla di come costruire le condizioni per mantenere la pace. Gli Ogm sono stati pensati per il mercato e quindi non lo mettono in crisi, non lo obbligano a ripensarsi, anzi: le normative che riguardano gli Ogm, e più in generale le normative inerenti ai brevetti sulle sementi, costringono un elemento originariamente estraneo al mercato (un seme, una vita, un bene comune) nelle gabbie teoriche e procedurali create per altri oggetti, come i beni industriali o i beni immobili.

Ma noi tutti viviamo in un mondo che non può prescindere dal mercato e dai suoi meccanismi, e la sfida è proprio questa: creare le condizioni per far sì che, invece di costringere ogni ambito della nostra esistenza nelle ristrette logiche di un mercato rigido e unico, si trovino i modi per distinguere e proteggere, nell'ambito della legalità e del mercato, anche gli elementi che, proprio per il loro essere essenziali alla vita, non possono essere subordinati alle logiche del profitto. È questo il punto chiave del più recente dibattito sulle sementi tradizionali. Per accedere al mercato, e quindi essere vendute, coltivate e propagate, le sementi devono essere iscritte e catalogate in appositi registri.

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