«La globalizzazione dell’economia e l’abbattimento delle barriere commerciali ha trovato l’imprenditoria italiana impreparata e incapace di reagire alle nuove sfide del mercato», scrive il blog “Giornalettismo” presentando lo studio del Cnel: «Tutto ciò ha provocato un andamento ampiamente divergente fra le economie dell’areaeuro dei tassi di crescita del costo del lavoro per unità di prodotto, cioè quanto costa produrre un bene o un servizio». Nel primo decennio del Duemila, in Italia questo costo è salito in media del 2,7% l’anno, mentre inGermania appena dello 0,2%, in Olanda dello 0,5%, in Francia dello 0,6%. «La perdita di competitività dell’Italia rispetto alle altre economie dell’areaeuro è stata significativa, oltre il 2% all’anno», sostiene il professor Dell’Aringa nella sua ricerca. «Un tale divario, cumulato in dieci anni, comporta una perdita complessiva di oltre il 20%, difficilmente sostenibile nel medio termine».
Anche volendo ipotizzare una possibile leggera sovrastima della dinamica del costo del lavoro per unità di prodotto, come sostenuto da alcuni esperti, il differenziale rimarrebbe comunque alto, si sottolinea nel rapporto. Non si scappa: «Il nodo sta nel divario di crescita della produttività del settore manifatturiero rispetto alla Germania». Fa riflettere che la massima espansione della produttività è avvenuta negli anni Settanta, all’epoca della lira sovrana e delle grandi battaglie sindacali per migliorare le condizioni dei lavoratori. Il declino italiano, avviatosi con il neoliberismo guidato a livello mondiale da Ronald Reagan e Margaret Thatcher negli anni Ottanta – meno Stato, più mercato – assume proporzioni catastrofiche soltanto dopo il Duemila, con il fatidico avvento dell’euro che mette in crisi l’intero sistema-Italia.
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