L'anno scorso, la portogheseACAPOR - associazione che potremmo paragonare alla nostra SIAE - aveva portato davanti all'ufficio del Procuratore Generale del Portogallo, come segno di protesta, diversi scatoloni contenenti pieni di fogli, sui quali erano riportati circa 2.000 indirizzi IP.
Tali indirizzi, secondo l'ACAPOR, facevano capo ad altrettanti pirati, colpevoli di scaricare e diffondere via Internet materiale coperto da copyright.
Evidentemente, l'ACAPOR non si aspettava quanto poi è successo. Il Dipartimento di Indagini e Azioni Penali ha vagliato tutto il materiale e, ora, ha reso note le proprie decisioni, che si possono sintetizzare nella decisione di non procedere.
«Dal punto di vista legale,» - ha spiegato il procuratore - «pur considerando che gli utenti sono dia dei downloader che degli uploader, crediamo che la loro condotta sia legale, anche se si considera che gli utenti continuano a condividere i file una volta che il download è terminato».
Secondo il procuratore la condivisione, se personale e non a fine di lucro, allora è in regola con la legge. Il diritto all'educazione, alla cultura e alla libertà di espressione non deve essere ristretto a causa del copyright, se avviene con finalità non commerciali.
C'è di più: gli indirizzi IP portati dall'ACAPOR sarebbero in ogni caso inutilizzabili per un'azione penale, dato che un indirizzo non identifica automaticamente una persona.
Il titolare dell'abbonamento che fa capo a un determinato indirizzo, infatti, «non è necessariamente l'utente che lo sta usando nel momento in cui avviene l'infrazione, o l'utente che rende disponibile l'opera coperta dal diritto d'autore, ma è soltanto l'individuo che ha un servizio registrato a proprio nome, indipendentemente dal fatto che questa persona lo stia usando oppure no».
Tutto ciò è chiaramente risultato indigesto ai dirigenti dell'ACAPOR, che hanno accusato il procuratore di aver soltanto scelto di percorrere la via più semplice, così da non dover dar seguito a 2.000 azioni legali.
C'è di più: gli indirizzi IP portati dall'ACAPOR sarebbero in ogni caso inutilizzabili per un'azione penale, dato che un indirizzo non identifica automaticamente una persona.
Il titolare dell'abbonamento che fa capo a un determinato indirizzo, infatti, «non è necessariamente l'utente che lo sta usando nel momento in cui avviene l'infrazione, o l'utente che rende disponibile l'opera coperta dal diritto d'autore, ma è soltanto l'individuo che ha un servizio registrato a proprio nome, indipendentemente dal fatto che questa persona lo stia usando oppure no».
Tutto ciò è chiaramente risultato indigesto ai dirigenti dell'ACAPOR, che hanno accusato il procuratore di aver soltanto scelto di percorrere la via più semplice, così da non dover dar seguito a 2.000 azioni legali.
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