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Il 12 settembre il Parlamento Europeo ad ampia maggioranza ha
approvato la legge sul copyright. In Italia il Movimento 5 Stelle tuona
il suo parere contrario per voce del leader Di Maio, mentre sui più
blasonati giornali online si festeggia. Ufficialmente gli articoli 11 e
13, vero cuore della riforma, sembrano indirizzati a presevare il
diritto d’autore, ma, come dice il poeta, “fatta la legge trovato
l’inganno”. Lascerei perdere l’idea che il pericolo stia dietro il
divieto di pubblicare immagini o spezzoni di contenuti altrui sotto
forma di link (chiamati “snippet”). Se fosse davvero tutto qua ci
sarebbe solo da festeggiare: basterebbe infatti evitare di richiamare le
puttanate che puntulamente scrivono le testate giornalistiche
mainstream e saremmo a cavallo. Anzi, messa giù così, l’agonia del
giornalismo prezzolato subirebbe una forte accelerazione perchè le
piattaforme più importanti del web come Google e Facebook si
troverebbero nella condizione di impedire la divulgazione tramite
modalità ipertestuale dei vari “Espresso”, “Repubblica”, “Corriere,
“Sole 24 Ore”, “Huffington Post”, ecc. Per i blog, i canali privati di
YouTube e le testate giornalistiche medio-piccole sarebbe una manna
caduta dal cielo di Strasburgo.
Siccome le lobby degli editori, invece, hanno fatto pressione proprio
nel senso opposto a quello sopra descritto, occorre allora chiedersi
che diamine nasconda questa legge.
Il trucco sta tutto negli algoritmi
che Facebook e Google News dovranno implementare
per difendere il diritto d’autore. Con ogni probabilità, Zuckerberg e
amici dovranno pagare costosissimi algoritmi allo scopo di individuare
tutti quei siti e post che non pagano gli editori per avere il diritto
di pubblicare un loro link nella forma evoluta dello “snippet”. In altri
termini, se possiedi un sito web che divulga informazioni, alla fine
dell’iter attuativo della legge, potresti trovarti bloccato da Facebook o
da qualsiasi piattaforma internet. Perché? Per il semplice fatto che
queste piattaforme si saranno dotate di un algoritmo che individua i
siti dotati di licenza, li lascia scaricare i contenuti, e al contempo
blocca tutti quelli che non hanno la licenza, cioè quelli che non si
fanno pagare, come i piccoli blog o le piccole testate giornalistiche.
Sembra non aver nulla a che fare col diritto d’autore, e infatti non ce
l’ha; quello è solo il pretesto per fermare la libera informazione col
trucchetto sorosiano della burocrazia.
Lo scenario peggiore è quello per il quale le grandi case editoriali,
tipo “L’Espresso”, pagano una licenza ridicola e l’algoritmo
facebookiano le intercetta e le accomoda sulla piattaforma con i loro
link, le immagini e tutta la compagnia cantando. Gli altri che non
pagano alcuna licenza, ma che lasciano accedere gratuitamente ai
contenuti da essi prodotti, potrebbero però trovarsi bloccati perchè un
algoritmo così elaborato da ricercare ogni singola foto, ogni musichetta
da 5 secondi, ogni citazione ipertestuale, magari da Wikipedia,
richiede un processso troppo complicato e, al più, esageratamente
costoso. Insomma, per semplificare e abbattere i costi, Facebook e
Google potrebbero bloccare tutta l’informazione non-mainstream, cioè, e
guarda caso, tutta l’informazione che ha sconfitto il clan dei Clinton
in America, che ha favorito la Brexit e ha consentito l’avanzata dei
sovranisti nell’Europa Continentale (Italia in primis). Anche qualora un sito web di news riuscisse a rivedere la propria produzione
evitando le rassegne stampa, i link e le citazioni, basterà una foto di
qualche politico o di qualche incontro pubblico, magari postato agli
albori del sito, per vedersi il blocco perenne delle piattaforme
internazionali.
Hai voglia, dopo, con l’avvocatucolo di Vergate sul Membro, a farsi
ripristinare il diritto a postare su Facebook avendo a che fare con
interlocutori che hanno sede legale a Menlo Park in California… Molti
attivisti ripongono fiducia sull’abilità delle piattaforme di adeguare
gli algoritmi in modo da rispettare solo gli “snippet”, oppure sulla
concretezza legislativa delle singole nazioni. Oppure, ancora, su un
cambio di leadership al Parlamento Europeo, visto che verrà rinnovato
nel 2019. Comunque vada a finire questa complicata vicenda, una cosa è
già appurata: non c’è nessuno di più smaccatamente illiberale dei
liberisti che hanno preso le redini di questo continente, oramai troppo
vecchio e stupido per poter pensare a qualsivoglia unificazione,
trincerato in battaglie di retroguardia e incapace di proporre un valido
modello alternativo a quello dei satrapi orientali alla Xi Jinping o al
bellafighismo hollywoodiano d’oltreoceano (ps: quello della foto sono
io. Ho già cominciato a tutelarmi, e sono anche più bello di Juncker).
(Massimo Bordin, “Ecco cosa di nasconde dietro la legge sul copyright”, dal blog “Micidial” del 13 settembre 2018).
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martedì 18 settembre 2018
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