http://www.libreidee.org
Puoi chiamarli neoliberisti. Monopolisti. Privatizzatori. C’è chi li
ha definiti, anche, golpisti bianchi. Ma sono essenzialmente massoni.
Attenzione: le obbedienze nazionali non c’entrano. Si tratta di
supermassoni in quota alle Ur-Lodes, le oscure superlogge
sovranazionali. Precisamente: quelle di segno neo-aristocratico, che
detestano la democrazia e confiscano il potere
dei cittadini, rimettendolo nelle mani di un’élite pre-moderna,
pre-sindacale, ultra-padronale. E’ così che hanno costruito il nuovo
medioevo in cui viviamo, il neo-feudalesimo regolato dall’Ue e dalla sua
Commissione di non-eletti. Giochi di specchi: laddove si parla di finanza
e geopolitica, citando banche centrali e governi, si omette sempre di
scoprire chi c’è dietro. Sempre gli stessi, sempre loro: un club
ristrettissimo di padreterni, di “contro-iniziati” che si credono
onnipotenti e autorizzati, come per diritto divino, a manipolare in
eterno il popolo bue, ridotto a bestiame umano. Lo ricorda Patrizia
Scanu, segretaria del Movimento Roosevelt, sodalizio fondato dal massone
progressista Gioele Magaldi proprio con l’intento di smascherare
l’attuale governance europea finto-democratica, dopo la clamorosa
denuncia contenuta nel saggio “Massoni”, edito nel 2014 da
Chiarelettere. Una rivelazione: dietro ai principali tornanti della
nostra storia
recente ci sono sempre gli stessi personaggi, i medesimi circoli
occulti: grazie a loro, in fondo, poi in Italia crollano anche i
viadotti autostradali.
«Se l’obiettivo era il ripristino del potere
di classe delle élite, il neoliberismo era senz’altro la risposta
giusta», premette il politologo britannico David Harvey nella sua “Breve
storia del neoliberismo” (Il Saggiatore). Il neoliberismo come clava: privatizzazioni
selvagge, attraverso una martellante propaganda ideologica esplosa
negli anni ‘90: libertà d’impresa, Stato minimo, liberalizzazioni,
deregulation.
Certo, neoliberismo e democrazia non possono stare insieme: da sola, però, la “teologia” neoliberale non spiega tutto, come ricorda Patrizia Scanu sul blog del Movimento Roosevelt:
se siamo stati globalizzati “a mano armata” lo si deve, anche e
soprattutto, al «forte nesso esistente fra massoneria neoaristocratica e
neoliberismo da una parte e fra neoliberismo e monopoli privati
dall’altra». Un legame nascosto, non facile da individuare. «A prima
vista, si direbbe che la libertà del mercato predicata dalla teoria
neoliberista sia in contraddizione con i monopoli privati». Ma come si
fa a predicare il libero mercato fondato sulla concorrenza, per poi
cedere i beni pubblici come le autostrade «regalate agli amici della
Casta»? La risposta la fornisce Magaldi nel suo bestseller: la vernice
ideologica è servita essenzialmente come cosmesi, per coprire l’immane,
brutale restaurazione di potere architettata da loro, i signori delle Ur-Lodges neo-oligarchiche.
Nulla a che vedere con le massonerie ordinarie, come il Grande
Oriente e la Gran Loggia d’Italia, regolarmente registrate e
dichiaratamente fedeli alla Costituzione. Il problema è il mondo,
coperto e sovranazionale, delle Ur-Lodges, «un network di superlogge che
rappresentano l’élite massonica mondiale, alla quale aderiscono i
membri più ragguardevoli della massoneria ordinaria e persone di
prestigio (moltissimi i politici di governo) “iniziate” per particolari
doti individuali esoteriche e sapienziali, e provenienti da ogni angolo
del pianeta». Club super-esclusivi, «la cui esistenza è sconosciuta ai
più». Come agiscono, questi circuiti-ombra? Attraverso «i vari club
paramassonici, quali la Trilateral Commission o il Bilderberg Group, che
ne sono solo l’espressione più visibile e aperta». Ma la massoneria
settecentesca non era stata il motore della modernità democratica? «La democrazia
non l’ha portata in dono la cicogna», ricorda Magaldi: furono proprio
le logge massoniche a incubare, cominciando dalla Francia, lo Stato di
diritto e il suffragio universale. A qualcuno, poi, l’Ottocento e il
Novecento hanno
dato alla testa: se sai di essere l’architetto del mondo nuovo, può
succedere che tenda a considerarlo di tua proprietà, sentendoti
autorizzato a compiere qualsiasi manipolazione, dai golpe alle crisi finanziarie.
Se non si capisce questo, sottolinea Magaldi, non si riesce ad afferrare la vera natura – profondamente oligarchica – del potere
(prima occidentale, poi globale) che dagli anni ‘80 ha assunto il
dominio del pianeta, ricorrendo sistematicamente all’abuso e alla
violenza. Mai dimenticare, quindi, il ruolo decisivo delle superlogge,
«che costituiscono il back-office del potere
a livello internazionale». Magaldi ne fornisce una mappa completa: ci
sono quelle conservatrici (si chiamano “Edmund Burke”, “Joseph De
Maistre”, “Compass Star-Rose”, “Pan-Europa”,
“Three Eyes”, “White Eagle”, “Hathor Pentalpha”) ma non mancano quelle
progressiste, di stampo rooseveltiano e keynesiano, che sostennero i
leader progressisti del dopoguerra, fino ai Kennedy e alla stagione dei
diritti civili negli Usa, aiutando paesi come l’Italia a non cadere sotto le trame golpiste. Il frutto più palpabile del loro lavoro, in Europa?
Il sistema del welfare: ideato dall’inglese William Beveridge. Chi ne
effettuò la più spettacolare applicazione? La Svezia di Olof Palme,
altro supermassone progressista.
Poi, dalla fine degli anni Settanta, le Ur-Lodges democratiche
(“Thomas Paine”, “Montesquieu”, “Chistopher Columbus”, “Ioannes”, “Hiram
Rhodes Revels”, “Ghedullah”) hanno perso terreno, di fronte allo
storico attacco delle superlogge rivali, con le quali – a nostra
insaputa – stiamo tuttora facendo i conti, ogni giorno. L’obiettivo dei
neo-aristocratici? «Invertire il corso della storia,
trasformando coloro che erano cittadini in neosudditi e schiavizzando
sempre di più quelli che sudditi erano sempre rimasti». Lo stesso
Magaldi ricorda che i supermassoni oligarchici hanno voluto «aumentare a
dismisura il proprio potere
materiale, mediante colossali speculazioni ai danni di popoli e
nazioni». Il loro piano: «Assurgere essi stessi, nell’incomprensione
generale di quanto va accadendo, alla gloria di una nuova aristocrazia
iniziatico-spirituale dell’era globalizzata». Dopo gli anni del boom
economico e l’affermazione dei diritti sociali, ricorda Patrizia Scanu,
la micidiale riscossa neoaristocratica è stata meticolosamente
programmata negli anni ‘70. Le prove? «Gli economisti Friedrich Von
Hayek e Milton Friedman, principali teorici del neoliberismo, nonché
Robert Nozick, filosofo politico e teorico dello “Stato minimo”, erano
tutti massoni neoaristocratici; Von Hayek e Friedman erano affiliati
alle Ur-Lodges “Three Eyes” ed “Edmund Burke”, e dal 1978 anche alla
“White Eagle”».
Fu proprio grazie all’impulso di queste superlogge, spiega Patrizia
Scanu, che Von Hayek e Friedman ottennero, rispettivamente nel 1974 e
nel 1976, il Premio Nobel per l’Economia
(«che, detto per inciso, non viene assegnato dagli accademici di
Svezia, ma dai banchieri svedesi»). Il progetto era semplice: «Far
diventare il neoliberismo – teoria allora marginale e ininfluente – il
mainstream in economia».
Ostacoli politici, all’avanzata dei restauratori? «Il nemico apparente
era il socialismo, ma l’obiettivo vero era il keynesismo», ovvero la
teoria del massone progressista inglese John Maynard Keynes, “cervello”
del New Deal di Roosevelt che risollevò l’America dalla Grande
Depressione, fino a creare – di riflesso – il boom economico anche in Europa.
Come? Espandendo in modo formidabile il deficit, il debito pubblico
strategico, per creare lavoro, fino a realizzare la piena occupazione.
Di qui la reazione dell’élite, spaventata da tutto quel benessere
piovuto sulle masse: «Si voleva abbattere il “capitalismo dal volto
umano”, che si era consolidato specie in Europa, con l’intervento regolatore dello Stato in economia
e la diffusione del welfare», scrive Patrizia Scanu. «Fu l’ideologia
neoliberista ad ispirare la globalizzazione così come la conosciamo, con
tutti i suoi tremendi squilibri e le sue enormi disuguaglianze, che fu
programmata a tavolino dalle superlogge reazionarie».
Politica, economia
e geopolitica. Sempre “loro”, in azione. Ovunque: «Erano massoni
neoaristocratici i leader politici che applicarono le ricette
neoliberiste in economia
nei loro paesi». Per esempio Augusto Pinochet in Cile: «Il colpo di
Stato del 1973 fu promosso dalle Ur-Lodges “Three Eyes, di cui era
membro Henry Kissinger, fra le menti dell’operazione Condor, e
“Geburah”. E che dire di Margaret Thatcher (in quota alla “Edmund
Burke”), spietata madrina del neoliberismo nel Regno Unito? Ma la
contro-rivoluzione non coinvolse il solo occidente: Deng Xiao Ping, che
introdusse l’economia
di mercato in Cina, era affiliato alla “Three Eyes”. Ronald Reagan? A
sua volta membro della Ur-Lodge “White Eagle”, «di cui facevano parte
due presidenti della Federal Reserve, Paul Volcker e Alan Greenspan,
artefici delle politiche monetarie neoliberiste». Nella “White Eagle”
anche William Casey e Antony Fisher, i fondatori del Centre for Economic
Policy Studies, importante think-tank neoliberista. «Fra i consiglieri
economici di Reagan vi erano numerosi economisti neoliberisti
provenienti dalla paramassonicaMont Pelerin Society», fondata dall’austriaco Von Hayek e poi retta, a lungo, dal futuro ministro berlusconiano Antonio Martino.
Riletta così, la nostra storia
recente risulta più comprensibile: fu un’iniziativa neoaristocratica
anche la pubblicazione del celebre volume “The Crisis of Democracy”,
avvenuta nel 1975 a cura di Samuel Huntington, Michel Crozier e Joji
Watanuki («massoni reazionari tutti e tre, affiliati alla “Edmund Burke”
e alla “Three Eyes”», annota Patrizia Scanu). Il volume «concluse un
lungo periodo di attività e di elaborazione di strategie da parte di
numerose Ur-Lodges neoaristocratiche», iniziato negli anni 1967-68 con
la fondazione della potente “Three Eyes”. «Fu il manifesto pubblico e
propagandistico con il quale si voleva attirare il consenso dei massoni
moderati», raccontando che la “crisi della democrazia” era dovuta – tu guarda – a un “eccesso di democrazia”.
Troppi diritti, troppa uguaglianza, troppa partecipazione da parte dei
cittadini. Il saggio «sosteneva l’importanza dell’apatia delle masse
verso la politica,
da raggiungere mediante il consumismo e il disgusto verso la
corruzione». Al tempo stesso, «proponeva la ricetta per riportare il
governo saldamente nelle mani di un’élite, trasformando la democrazia in oligarchia». Questo era il progetto: svuotare di contenuto la democrazia, usando – come strumento – la diffusione del “credo” neoliberista.
Un’epidemia, riassume Patrizia Scanu, diffusasi a macchia d’olio
sulle due sponde dell’Atlantico: nel 1978 fu creata la super-segreta
“White Eagle” «per portare Margaret Thatcher al governo nel Regno Unito e
Ronald Reagan negli Usa».
Poi, a ruota, sempre alla “White Eagle” furono affiliati gli italiani
Carlo Azeglio Ciampi e Beniamino Andreatta, «che nel 1981 furono gli
artefici del primo clamoroso passo verso la liquidazione dell’Italia
come potenza economica, attraverso la mai abbastanza vituperata
separazione fra Banca d’Italia e Tesoro, che privò il nostro paese della
sovranità monetaria, rendendoci schiavi delle banche private». Una
svolta sciagurata, «che avviò la perversa spirale del debito». Lo
documenta in modo perfetto l’economista post-keynesiano Nino Galloni,
vicepresidente del Movimento Roosevelt: «Alla fine degli anni ‘80, la
vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia
come competitor strategico». Ciampi, Andreatta e De Mita avevano un
obiettivo preciso: «Cedere la sovranità nazionale, pur di sottrarre potere a quella che consideravano la classe politica più corrotta d’Europa». Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese si trovò in crisi finanziaria: prima, infatti, era
la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando
titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento
pubblico.
Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipitò: con
l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi
“investitori” privati) il debito pubblico esplose, letteralmente, fino a
superare il Pil. Non era un “problema”, un infortunio. Al contrario:
era esattamente l’obiettivo voluto. Cioè: «Mettere in crisi
lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a
costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione».
Degli investimenti pubblici da colpire, ricorda Galloni, «la componente
più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni
statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a
livello mondiale». Tutti d’accordo, ai vertici dell’élite neoliberale:
al piano anti-italiano, sottolinea Patrizia Scanu, partecipò anche la
grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smise di
investire nella produzione delle auto e preferì comprare titoli di
Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquistava più, i tassi erano
saliti alle stelle. Amputando lo Stato, la finanza
pubblica si era trasformata in un ghiottissimo business privato. Du
così che, di colpo, l’industria passò in secondo piano: da lì in poi,
sarebbe dovuta “costare” il meno possibile.
«In quegli anni – riassume Galloni – la Confindustria era solo presa
dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti,
che poi avrebbero prodotto la precarizzazione». Aumentare i profitti:
«Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale».
Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese
acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da
soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta ancora Galloni –
feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e
i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica,
cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive
ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i
titoli di Stato italiani rendevano tantissimo. E quindi si guadagnava di
più facendo investimenti finanziari, invece che facendo investimenti
produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».
Avevano fatto un ottimo “lavoro”, i nostri Ciampi e Andreatta,
manovrati dalla “White Eagle” reaganiana e thatchriana, avanguardia
dell’élite occulta che, in capo a undecennio,
avrebbe poi licenziato – usando Mani Pulite – i “ladri” della Prima
Repubblica, per prendersi l’Italia in blocco, lasciando lo Stato in
bolletta e i cittadini in mutande.
E’ abbastanza deprimente, scrive Patrizia Scanu, scoprire – oggi –
che i campioni delle storiche privatizzazioni degli anni ‘90 erano,
tutti, massoni neoaristocratici. Le famigerate e scandalose dismissioni e
privatizzazioni all’italiana furono supervisionate dalla regia del
massone neoaristocratico Mario Draghi, «affiliato alle Ur-Lodges “Pan-Europa”,
“Edmund Burke” e in seguito anche alla “Three Eyes”, alla “Compass
Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “White Eagle”». Draghi agiva in
qualità di direttore generale del ministero del Tesoro, carica-chiave
che rivestì dal 12 aprile 1991 al 23 novembre 2001. Quelle
privatizzazioni selvagge furono quindi inaugurate «per conto terzi»
sotto il primo governo di Giuliano Amato (1992-93), poi proseguite dal
governo Ciampi (1993-94), dal primo governo Berlusconi (1994-95), quindi
dal governo di Lamberto Dini (1995-96), dal primo esecutivo guidato da
Romano Prodi (1996-98), infine dal governo D’Alema (1998-2000) e poi dal
secondo governo Amato (2000-2001). «L’immarcescibile e granitico Mario
Draghi – scrive Magaldi – diresse le operazioni ininterrottamente per un
decennio, mentre a Palazzo Chigi si avvicendavano ministri e premier
del tutto compiacenti (da destra, centro e sinistra) al piano di doloso
smembramento e immotivata (sul piano dell’interesse pubblico) svendita a
potentati privati di beni e aziende di proprietà del popolo sovrano».
Tutto cominciò nel 1992. Vogliamo ricordare che cosa fu privatizzato? Lo illustra Francesco Amodeo su “Scenari Economici”.
Il ‘92, scrive Amodeo, «è l’anno in cui in soli 7 giorni cambia il
sistema monetario italiano, che viene sottratto dal controllo del
governo e messo nelle mani della finanza
speculativa». Per farlo «vengono privatizzati gli istituti di credito e
gli enti pubblici, compresi quelli azionisti della Banca d’Italia».
Sempre il ‘92, è l’anno in cui «viene impedito al ministero del Tesoro
di concordare con la Banca d’Italia il tasso ufficiale di sconto (il
costo del denaro alla sua emissione), che viene quindi ceduto a
privati». Non solo: «È l’anno della firma del Trattato di Maastricht e
dell’adesione ai vincoli europei. In pratica è l’anno in cui un manipolo
di uomini palesemente al servizio del Cartello finanziario
internazionale ha ceduto ogni nostra sovranità». A continuare il suo
lavoro di smembramento delle aziende di Stato «ci penserà Massimo
D’Alema, che nel 1999 favorirà la cessione, tra le altre, di Autostrade
per l’Italia e Autogrill alla famiglia Benetton, che di fatto hanno,
così, assunto il monopolio assoluto
nel settore del pedaggio e della ristorazione autostradale. Una
operazione che farà perdere allo Stato italiano miliardi di fatturato
ogni anno».
Se invece di “cartello finanziario internazionale” leggiamo, con
Magaldi, “massoneria aristocratica sovranazionale” – avverte Patrizia
Scanu – capiamo di colpo il nesso chiarissimo che tiene insieme
privatizzazioni, neoliberismo e cessione di sovranità monetaria: prima
con la separazione fra Tesoro e banca centrale e poi con il sistema
dell’euro. Non manca il legante politico: il Trattato di Maastricht è un
capolavoro neoliberista. Risultato voluto e puntualmente ottenuto:
deindustrializzazione, crisi della democrazia e del welfare. Cervello dell’operazione? Loro, le Ur-Lodges neoaristocratiche. «Soprattutto, appare chiaro che l’Europa dei tecnocrati e dell’euro, che fu realizzata da Maastricht in poi, lontanissima dall’Europa
dei popoli vagheggiata da Altiero Spinelli, era stata progettata fin
dall’immediato dopoguerra (dai massoni neoaristocratici Richard
Coudenhove-Kalergi e Jean Monnet) per portare al potere
un’élite economico-finanziaria a danno delle democrazie europee». Il
neoliberismo, sottolinea Patrizia Scanu, era un’ideologia costruita
appositamente per questo fine, «cioè per travasare ricchezza dai poveri
ai ricchi e asservire gli Stati alle banche private mediante il debito,
secondo il più tradizionale sistema imperialista, tenendo buone le masse
con la favoletta del debito pubblico, della crisi, dei vincoli europei, del rapporto deficit-Pil, dell’austerity e infine dello spread».
Micidiale, la “teologia” neoliberista: basata su dogmi di cartapesta,
ma perfettamente funzionale al piano di restaurazione oligarchica. «Fu
diffusa capillarmente finanziando università, centri di ricerche,
think-tank, per soppiantare il “capitalismo dal volto umano” e dei
diritti sociali che era stato delineato da Keynes e che vedeva come
scopo delle politiche economiche la piena occupazione e il sostegno alla
domanda interna». Mentre esalta a parole il libero mercato e lo “Stato
minimo”, l’ideologia neoliberista «lavora per costruire monopoli,
rendite di posizione, consorterie di privati che si arricchiscono a
spese della collettività e assurdi vincoli all’espansione economica,
come il pareggio di bilancio». Una sua caratteristica? «La continua
confusione di pubblico e privato, con le “sliding doors” fra cariche
istituzionali e incarichi privati e con i complessi conflitti di
interesse». Ogni paese applica la ricetta a modo suo, ma con lo stesso
risultato: «Disuguaglianze, povertà, disoccupazione, compressione dei
diritti e insicurezza». Non sono “effetti collaterali” del neoliberismo,
applicato alle politiche degli Stati: sono il
loro vero obiettivo. «Per conseguirlo, occorre comunque la complicità
dei governanti locali, che restano quindi i veri responsabili di questo
scempio criminale».
Una controrivoluzione inesorabile, catastrofica: il progetto è
continuato anno dopo anno, con lo smantellamento pezzo a pezzo del
welfare e delle tutele del lavoro, del settore pubblico, della scuola,
della classe media, «per culminare con il governo Monti nel 2011 e con
quel terribile tradimento bipartisan del popolo italiano (votato dal Pd
di Bersani e dal centrodestra di Berlusconi, sotto lo sguardo vigile di
Giorgio Napolitano, massone neoaristocratico affiliato alla “Three
Eyes”), che fu l’introduzione dell’equilibrio di bilancio (supremo dogma
neoliberista) nella Costituzione, che ci condanna per sempre al
dissanguamento economico, almeno finché non verrà rimosso». Fu allora
che Monti (anche lui, dice Magaldi, massone affiliato a una Ur-Lodge, la
“Babel Tower”) si disse soddisfatto per aver distrutto la domanda
interna. L’eterno supervisore, Mario Draghi – ormai seduto sulla
poltronissima della Bce – osservò che tutto stava andando per il meglio:
l’inaudito piano di sequestro della sovranità nazionale dei paesi
europei a beneficio delle potentissime lobby finanziarie di Bruxelles
procedeva a tappe forzate. Prima mossa: dare ossigeno alle banche ma non
alle aziende, per indebolire l’Europa
del Sud. Seconda: impedire agli Stati, attraverso il Fiscal Compact, di
spendere a deficit per i propri cittadini, rilanciando l’occupazione.
Obiettivo finale, testualmente: «Riforme strutturali per liberalizzare
il settore dei beni e dei servizi e rendere il mercato del lavoro più
flessibile».
L’unica soluzione? Privatizzazione quel che ancora c’èra da razziare.
Il declassamento dello Stato, secondo l’uomo che la Germania ha voluto
alla guida della Bce, avrebbe assicurato più «equità» al sistema,
aprendo spazi meno precari ai giovani attualmente privi di garanzie: per
Draghi, la causa della disoccupazione non è stata la crisi
mondiale della crescita, ma l’eccesso di tranquillità di chi invece il
posto fisso ce l’ha (e se lo tiene stretto). Tutto da rifare: «Il
modello sociale europeo è oggi superato», disse il super-banchiere di
Francoforte. In una intervista al “Wall Street Journal”, l’ex dirigente
strategico della Goldman Sachs gettò alle ortiche oltre mezzo secolo di
“pax europea”, cresciuta al riparo del miglior sistema mondiale di
welfare. D’ora in poi, ciascuno avrebbe dovuto lottare duramente, per
sopravvivere, perché gli Stati – in via di smantellamento, neutralizzati
con l’adozione della moneta unica da prendere in prestito a caro prezzo
dalla Bce – non avrebbero più potuto garantire protezioni sociali:
attraverso il Fiscal Compact, i bilanci sarebbero stati prima validati a
Bruxelles
e, dal 2013 in poi, nessuno Stato europeo avrebbe più potuto investire
un euro per i propri cittadini, al di là della copertura del gettito
fiscale.
«Occorre dunque andare a fondo e guardare dietro la superficie per
comprendere chi ci ha derubati della nostra ricchezza, chi ha tradito la
Costituzione e ha svenduto la nostra vita e il nostro paese per
arricchire un’élite spietata e immeritevole», conclude Patrizia Scanu.
«Sarà la storia
a giudicare questa sciagurata operazione di rapina ai danni di tutti
noi, perpetrata sotto il nostro naso e sotto tutte le bandiere
politiche, mentre i mass media compiacenti ci parlavano d’altro». Ora è
il momento di aprire gli occhi: «La tragedia di Genova è un terribile
monito per tutti noi», scrive la segretaria del Movimento Roosevelt: «O
ci riprendiamo diritti, democrazia
e sovranità, oppure saremo schiavi per sempre». Non ci credete? Seguite
i soldi: «Le incredibili concentrazioni di ricchezza e di potere
che esistono adesso, ai livelli più alti del capitalismo, non si
vedevano dagli anni Venti. Il flusso dei tributi verso i maggiori centri
finanziari del mondo è stato stupefacente». Quello che però è ancora
più stupefacente, aggiunge Scanu, è l’abitudine a trattare tutto questo
come un semplice – e magari in qualche caso deprecabile – “effetto
collaterale” della neoliberalizzazione. «La sola idea che questo aspetto
possa invece costituire proprio l’elemento sostanziale a cui puntava la
neoliberalizzazione fin dall’inizio – la sola idea che esista questa
possibilità – appare inaccettabile».
Certo, il neoliberismo «ha dato prova di molto talento presentandosi
con una maschera di benevolenza, con parole altisonanti come libertà,
indipendenza, scelte e diritti, nascondendo le amare realtà della
restaurazione del puro e semplice potere
di classe, a livello locale oltre che transnazionale, ma in particolare
nei principali centri finanziari del capitalismo globale», afferma
David Harvey. Ma, appunto, dire “neoliberismo” non basta, così come non
bastano le espressioni élite, oligarchia, vero potere.
Qui ci sono anche nomi e cognomi: quelli del gotha supermassonico
reazionario. «Leggendo il libro di Magaldi, si possono trovare i nomi di
tutti i politici italiani e stranieri coinvolti nella distruzione della
democrazia in Europa».
Così, chiosa Patrizia Scanu, «può esserci più chiaro quali
responsabilità abbiano i rappresentanti del popolo (di destra, di centro
e di sinistra) che abbiamo votato, ignari e in buona fede, per tanti
anni». Ma possibile che Magaldi non sia stato querelato da nessuno?
Assolutamente sì: lo rivela l’autore stesso. La “congiura del silenzio” è
proseguita anche in Parlamento, dove la senatrice Laura Bottrici (M5S)
ha inutilmente citato il libro di Magaldi, il 12 gennaio 2015. «La
senatrice chiedeva conto a Giorgio Napolitano della sua affiliazione
alla massoneria internazionale. Il che vorrà ben dire qualcosa…».
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venerdì 7 settembre 2018
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