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Parliamoci chiaro: uno dei grandi problemi dei nostri tempi è che la politica
e il diritto non riescono a stare al passo con i progressi tecnologici,
specialmente a partire dall’avvento dell’era di Internet. È accaduto
infatti che, mentre alcune grandi aziende informatiche si affermavano e
diventavano rapidamente monopoli, i nostri parlamenti sono rimasti
perlopiù inermi, sia perché vittime dell’illusione che rappresenta
Internet come il regno delle libertà, il massimo terreno di
realizzazione della democrazia,
sia per semplice inadeguatezza e mancanza di preparazione in materia.
Si è dovuta attendere la totale scomparsa della privacy, prima di porsi
il problema di come tutelarla. Si son dovuti perdere miliardi di euro
in tasse, a fronte degli enormi fatturati di Google, Facebook e Amazon,
prima di iniziare a discutere sulla possibilità di una “tassa del web”,
da rimandare però in sede europea. I ceti politici invece inizialmente
non hanno compreso le potenzialità offerte dai social network, perdendo
bruscamente e a causa di ciò i loro consensi in favore di quelle nuove
forze che invece ne hanno intuito i vantaggi in termini di propaganda,
per poi farne, tutti insieme, un uso sistematico e spregiudicato,
riducendo di fatto il loro rapporto con i cittadini ad una manciata di
caratteri su Twitter (basti pensare che, a dispetto di una lunga
tradizione che vedeva i candidati alla presidenza americani fare il
proprio annuncio in discorsi tenuti nelle università, Hillary Clinton
palesò le proprie intenzioni su Twitter).
Quanto al funesto impatto che un sistema così articolato di
collezione dei dati personali avrebbe avuto sulla salute nostre
democrazie, nessuno se ne è occupato, salvo poi indignarsi in coro di
fronte non ad una questione di etica pubblica o di tutela dei
cittadini, ma all’effetto che i social network hanno direttamente o
indirettamente avuto: l’elezione di Donald Trump. Ma qui non si vuole
discutere su come le nuove reti sociali abbiano esacerbato dei problemi
più o meno latenti della civiltà occidentale, favorendo l’ascesa di
nuove élite reazionarie. Si vuole piuttosto introdurre nel dibattito
pubblico, dopo il totale silenzio dei media,
dei partiti e in generale dei principali mezzi di informazione e
formazione dell’opinione pubblica nella nostra penisola, un nuovo modo
di affrontare quella che è una delle questioni più importanti del nuovo
millennio. Di fronte a un tale quadro desolante infatti, una risposta
sembra provenire dalla Gran Bretagna. Jeremy Corbyn, il leader del
Partito Laburista, già noto per le sue proposte di nazionalizzazione dei
servizi pubblici principali, in alcune sue dichiarazioni ha avanzato
una strategia per far fronte alla realtà che si è solidamente affermata
con Internet.
E il fatto che una simile novità provenga da lui è un’indicazione
circa la lucidità e lo stato di salute dei laburisti inglesi,
attualmente una delle poche forze politiche di sinistra, in Europa,
che potrebbero affermarsi alla guida di un paese. Partendo dal
presupposto che il Regno Unito non deve sedersi e restare guardare come
poche mega aziende risucchiano diritti digitali, asset e, in definitiva,
i nostri soldi, Corbyn ha proposto di affiancare, alla già esistente
“Bbc” (British Broadcasting Corporation), una “Bdc” (British Digital
Corporation). Tale ente, rigorosamente pubblico, sarà una sorta di
grande archivio culturale, centralizzato, per offrire alla popolazione
un punto di accesso per le conoscenze, le informazioni e i contenuti
attualmente conservati negli archivi della “Bbc”, nella British Library e
nel British Museum. Un’istituzione pubblica per definizione non
persegue le finalità di un’organizzazione privata. Piattaforme come
Google e Facebook erogano sì gratuitamente i loro servizi agli utenti,
ma lo fanno solo dopo che questi ultimi hanno acconsentito – e questa è
una condizione necessaria e impossibile da contrattare – al trattamento
dei loro dati personali per fini quantomeno commerciali.
Nell’idea di Corbyn, esclusa la logica del profitto, occorrerebbe
sfruttare i big data a fin di bene. Sì, ma come? In due modi, entrambi
rivoluzionari. In primo luogo una “Bdc” potrebbe sviluppare nuove
tecnologie, e utilizzare le informazioni di cui entra in possesso, per
la creazione dei programmi in base all’orientamento del pubblico e
perfino un social network pubblico, che garantisca la privacy degli
utenti e abbia il controllo su quei dati che rendono Facebook e altri
così ricchi. Il tema della nazionalizzazione di Facebook diventa sempre
più incalzante, dal momento che la conoscenza così accurata di una
popolazione può servire a fini tutt’altro che trasparenti: al controllo
sociale, per condizionamenti di massa, a bombardamenti mediatici
mirati o ad instillare l’odio, inquietudini morali e paure striscianti
in grado di modificare i comportamenti, le abitudini, il modo di pensare
– o di votare – dei più. Non vogliamo essere apocalittici o tendere
necessariamente a scenari di orwelliana memoria, ma occorre stare
all’erta: si tratta di cose già successe e che, verosimilmente, senza le
opportune contromisure, riaccadranno.
In seconda misura un ente pubblico digitale potrebbe aprire nuovi spazi per la democrazia
diretta, a partire dalla creazione di nuove modalità di coinvolgimento,
supervisione e controllo delle leve chiave della nostra economia da
parte della popolazione. Tutto ciò si inquadra, nell’ottica di Corbyn,
in un più ampio piano di gestione della cosa pubblica. La “Bdc” lavorerà
in stretta sinergia con altre istituzioni che il prossimo governo
laburista istituirà, come la National Investment Bank, il National
Transformation Fund, lo Strategic Investment Board, la Regional
Development Banks, fornendo così un collegamento base tra di esse ai
fini di una maggiore trasparenza e democrazia.
La nuova istituzione è anche un tassello chiave per il rilancio attivo
del ruolo dello Stato che, su un piano di servizi e commerciale,
potrebbe arrivare ad essere concorrenziale con l’estero e con i privati.
Essa infatti potrebbe utilizzare tutte le nostre migliori menti, le
tecnologie più recenti e le risorse pubbliche disponibili non solo per
fornire informazioni e intrattenimento come quelli di Netflix e Amazon,
con la possibilità di competere e vendere bene anche Oltreoceano.
Le proposte del leader dei Labour, seppur ancora vaghe e poco
articolate, sembrano già molto interessanti. L’articolo apparso sul “Guardian” non ha però praticamente trovato alcuna risonanza in Italia.
Si spera che le forze comuniste e della sinistra popolare presenti
nella penisola rispondano alle idee proveniente da Oltremanica
elaborandone di nuove e più definite, studiando per esempio un sistema
di controlli e garanzie per fare in modo che l’enorme mole di dati
personali, non più in mani private, non finisca per essere a
disposizione dei governi per spiare e monitorare i comportamenti della
propria popolazione. Ovviamente questa è solo una delle tante
possibilità. Compito nostro è quello di accogliere il contributo
iniziale di Corbyn e formulare una proposta politica adatta a contribuire al dibattito e ad arricchirlo.
(Massimiliano Romanello, “Buone notizie da Oltremanica”, dal blog della Fcgi del 2 settembre 2018).
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venerdì 21 settembre 2018
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