I campioni irregolari sono pochi ma aumentano i casi con
multiresiduo e i campioni contaminati da più sostanze. I principali
risultati del dossieri dicono che solo lo 0,7% dei campioni di prodotti
agricoli e derivati analizzati dal laboratori pubblici regionali
risultano fuorilegge per la presenza di determinate sostanze chimiche,
oltre il limite permesso o per tracce di sostanze vietate dalla
normativa attuale.
“In Italia l’uso della chimica in agricoltura è sempre elevato (siamo i primi consumatori europei di fitofarmaci e molecole chimiche per l’agricoltura secondo l’ultimo rapporto Eurostat) ma va rilevato – spiega Legambiente – il costante aumento della superficie coltivata con metodo biologico (+23,1% dal 2010 al 2013) e la sempre maggiore diffusione di pratiche agricole alternative e sostenibili”.
“In Italia l’uso della chimica in agricoltura è sempre elevato (siamo i primi consumatori europei di fitofarmaci e molecole chimiche per l’agricoltura secondo l’ultimo rapporto Eurostat) ma va rilevato – spiega Legambiente – il costante aumento della superficie coltivata con metodo biologico (+23,1% dal 2010 al 2013) e la sempre maggiore diffusione di pratiche agricole alternative e sostenibili”.
Il quadro però non è rassicurante perché dai dati emerge
che il 42% dei campioni analizzati (su un totale di 7132) risulta
contaminato da uno (18,8%) o più (22,4%) sostanze chimiche. Il
multiresiduo (presenza concomitante di più residui chimici in uno stesso
campione alimentare), è salito di cinque punti percentuale dal 2012 al
2014, passando dal 17,1% al 22,4%, con campioni da record:
cinque
residui nelle mele,
otto nelle fragole,
quindici nell’uva da tavola,
cioè in alimenti dalle note proprietà nutrizionali che però finiscono
sulle nostre tavole carichi di pesticidi.
La percentuale totale di campioni irregolari (ortofrutta, prodotti derivati e miele) analizzati si ferma allo 0,7% (era lo 0,6% nel 2012) ma la percentuale di campioni regolari e privi di alcun residuo di pesticida è scesa dal 64% al 58%, un ribasso che è legato al corrispondente incremento, fino al 42%, della percentuale di campioni regolari ma contenenti almeno un residuo. In particolare, il 18,8% del campione presenta un solo residuo di pesticida, il 22,4% rientra nella categoria del multiresiduo, dove soprattutto la frutta mostra le concentrazioni più rilevanti – sul totale dei campioni di frutta il 43,3% è regolare ma contiene più un residuo chimico. In generale le sostanze attive più frequentemente rilevate sono ancora oggi il Boscalid, il Captano, il Clorpirifos, il Fosmet, il Metalaxil, l’Imidacloprid, il Dimetoato, l’Iprodione.
Sostiene Legambiente: “L’esposizione ai pesticidi, assunti con il cibo è sicuramente più bassa rispetto ad altri tipi di esposizione, come ad esempio quella diretta dei lavoratori agricoli. Ma gli studi scientifici dimostrano che i pesticidi possono produrre effetti negativi sulla salute anche a basse dosi. Poiché manca ancora oggi una piena conoscenza dei loro meccanismi d’azione e interazione, la ricerca scientifica deve proseguire, sostenuta da un maggiore investimento. Nel frattempo, dovrebbe essere applicato il principio di precauzione per garantire la tutela della salute dei consumatori”.
“La normativa vigente – ha dichiarato la direttrice di Legambiente Rossella Muroni – ha portato nel tempo a controlli più stringenti sull’uso corretto dei pesticidi in agricoltura, tuttavia i piani di controllo dei residui di fitosanitari negli alimenti, predisposti a livello europeo e nazionale, non dedicano la giusta attenzione al fenomeno del multiresiduo e delle sue possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori. La normativa infatti, continua a considerare sempre un solo principio attivo, fissandone i limiti come se fosse l’unico a contaminare un prodotto. Come abbiamo visto però, i residui possono essere anche più di dieci e dunque è fondamentale che l’Efsa si attivi per valutare e definire i rischi connessi ai potenziali effetti sinergici sulla salute dei consumatori e degli operatori e quelli sull’ambiente”.
La percentuale totale di campioni irregolari (ortofrutta, prodotti derivati e miele) analizzati si ferma allo 0,7% (era lo 0,6% nel 2012) ma la percentuale di campioni regolari e privi di alcun residuo di pesticida è scesa dal 64% al 58%, un ribasso che è legato al corrispondente incremento, fino al 42%, della percentuale di campioni regolari ma contenenti almeno un residuo. In particolare, il 18,8% del campione presenta un solo residuo di pesticida, il 22,4% rientra nella categoria del multiresiduo, dove soprattutto la frutta mostra le concentrazioni più rilevanti – sul totale dei campioni di frutta il 43,3% è regolare ma contiene più un residuo chimico. In generale le sostanze attive più frequentemente rilevate sono ancora oggi il Boscalid, il Captano, il Clorpirifos, il Fosmet, il Metalaxil, l’Imidacloprid, il Dimetoato, l’Iprodione.
Sostiene Legambiente: “L’esposizione ai pesticidi, assunti con il cibo è sicuramente più bassa rispetto ad altri tipi di esposizione, come ad esempio quella diretta dei lavoratori agricoli. Ma gli studi scientifici dimostrano che i pesticidi possono produrre effetti negativi sulla salute anche a basse dosi. Poiché manca ancora oggi una piena conoscenza dei loro meccanismi d’azione e interazione, la ricerca scientifica deve proseguire, sostenuta da un maggiore investimento. Nel frattempo, dovrebbe essere applicato il principio di precauzione per garantire la tutela della salute dei consumatori”.
“La normativa vigente – ha dichiarato la direttrice di Legambiente Rossella Muroni – ha portato nel tempo a controlli più stringenti sull’uso corretto dei pesticidi in agricoltura, tuttavia i piani di controllo dei residui di fitosanitari negli alimenti, predisposti a livello europeo e nazionale, non dedicano la giusta attenzione al fenomeno del multiresiduo e delle sue possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori. La normativa infatti, continua a considerare sempre un solo principio attivo, fissandone i limiti come se fosse l’unico a contaminare un prodotto. Come abbiamo visto però, i residui possono essere anche più di dieci e dunque è fondamentale che l’Efsa si attivi per valutare e definire i rischi connessi ai potenziali effetti sinergici sulla salute dei consumatori e degli operatori e quelli sull’ambiente”.
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