“Alzi la mano, così la conosciamo…”. In aula Paolo Romani si
rivolge al senatore renziano Roberto Cociancich. Risate e sfottò tra i
banchi. Perché la battuta del capogruppo di Forza Italia dà voce allo
stupore del Senato di fronte all’ultima trovata della maggioranza sulla
riforma costituzionale.
Al Palazzo del governo la regìa sulle riforme è in mani esperte. Paolo Aquilanti, ex capo di gabinetto del ministro per le riforme Maria Elena Boschi, ex alto funzionario del Senato, ora segretario generale a Palazzo Chigi, dà una mano al governo anche sul ddl Boschi. Pare che l’emendamento firmato da Cociancich sia uscito da quelle stanze, spedito in Senato per superare gli emendamenti dell’opposizione, ingoiare i possibili voti segreti, liberare la strada all’articolo 1, intanto, sugli altri si vedrà. L’effetto è un po’ lo stesso prodotto a suo tempo dal ‘maxi-canguro’ presentato dal senatore Pd Stefano Esposito per inghiottire in un sol colpo gli emendamenti all’Italicum. Per la verità, anche Esposito ci ha riprovato oggi sul ddl riforme, ma il suo tentativo è stato respinto da Grasso. Dev’essere che, ora che è anche assessore ai Trasporti in Campidoglio, non ha più tempo per fare le cose con precisione. E’ andata invece sul Cociancich, ammesso. Lavoro sopraffino, sofisticato: insomma, da addetto ai lavori. Cociancich, invece, per quanto molto stimato nella cerchia del premier, finora si è occupato prevalentemente di questioni legate all’estero e all’Unione Europea. Le riforme non sono proprio il suo forte, diciamo così, o comunque finora non si è prodotto sull’argomento.
E’ per questo che in Senato si accaniscono contro di lui, agnello sacrificale della giornata. Tito Di Maggio, del gruppo dei fittiani ‘Conservatori e riformisti’, lo definisce addirittura il “jihadista della maggioranza” che ha fatto “esplodere un emendamento che fa saltare il dibattito”. “Questa a casa mia si chiama truffa - tuona il leghista Roberto Calderoli – una abnormità. Chiamiamolo voto di fiducia”. Una furia contro Cociancich. Tanto che il capogruppo del Pd Luigi Zanda si vede costretto a intervenire in sua difesa. Urla e si arrabbia: “Ve la prendete con lui perché non volete la riforma!”. Caos e schiamazzi, come sempre in Senato.
Dai microfoni del Tg3, intanto, il premier Matteo Renzi assicura che “la riforma andrà in porto, non la fermeranno. I cittadini sanno perfettamente chi sta bluffando, chi non dice la verità: con 70mln emendamenti ci vogliono anni. Il loro obiettivo non era discutere ma bloccare la riforma…”. Ma a sera l’ottimismo lascia spazio al nervosismo. Perché nonostante i canguri, malgrado la strategia Cociancich sia stata preparata per tempo, presentata in aula come emendamento e attivata da stamattina (quando si è deciso di agire per questa strada), l’ostruzionismo dell’opposizione riesce a far slittare il voto. A metà pomeriggio, il premier e i suoi davano per scontato che il voto sull’articolo 1 sarebbe andato in porto stasera, in modo da passare direttamente all’articolo 2 domani (qui Grasso ha aperto a modifiche al testo dell’accordo raggiunto nel Pd sull’elettività dei senatori). Ma non è andata così. La discussione si è arrotolata per ore su un voto segreto negato ad un emendamento di Calderoli. L’emendamento viene respinto ma il Dem di minoranza Vannino Chiti vota in dissenso dal partito. Domani la seduta ricomincia dall'emendamento Cociancich e poi si passa all'articolo 2 sul quale ci sono 4 voti segreti.
Il disordine regna sulla riforma, ma Renzi è convinto di uscirne. Ha tutte le cartucce pronte all’uso, come dimostra la ‘trovata Cociancich’. L’unico dubbio resta sui tempi. Il voto finale è previsto per il 13 ottobre. Mancano ancora 13 giorni ma di questo passo sarà dura, riflettono a sera nella sua cerchia. Urge vigilare anche perché i renziani continuano a non stare tranquilli sulla ‘gestione Grasso’, che farebbe troppe concessioni all’opposizione, è l’accusa. Stamane il premier ha avuto modo di parlare direttamente con il presidente del Senato al funerale di Pietro Ingrao. Erano seduti fianco a fianco in prima fila in piazza Montecitorio, insieme anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Brevissimo scambio e nessuna sostanza o rassicurazione, giusto due parole sull’appuntamento in Senato fissato per le 15 del pomeriggio.
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