giovedì 29 ottobre 2015

Contratti pubblici, sindacati pronti allo sciopero.

I sin­da­cati del pub­blico impiego non accet­tano il magro stan­zia­mento per i loro con­tratti, e sono decisi a mobi­li­tarsi con­tro la legge di sta­bi­lità: si va verso lo scio­pero gene­rale, hanno annun­ciato ieri minac­ciosi. Chie­dono 150 euro di aumento, una cifra simile a diverse piat­ta­forme o accordi già siglati nel pri­vato: somma che però a loro è negata, e che allo stato attuale anzi pare quasi lunare. Il governo sarebbe inten­zio­nato infatti a elar­gire quella che Cgil, Cisl e Uil defi­ni­scono una «man­cia» — circa 8 euro al mese — addi­rit­tura per decreto, senza nean­che aprire un negoziato.
«Chie­diamo con­tratti per rimet­tere in moto ser­vizi alle fami­glie e alle imprese, accre­scendo la par­te­ci­pa­zione, e rispet­tando il senso del richiamo della Corte Costi­tu­zio­nale. Se ser­virà andare allo scio­pero gene­rale, noi siamo pronti — dichia­rano Ros­sana Det­tori, Gio­vanni Fave­rin, Gio­vanni Tor­luc­cio e Nicola Turco, segre­tari di Fp Cgil, Fp Cisl, Uil Fpl e Uil Pa — Il governo la smetta con le pro­vo­ca­zioni e apra il tavolo. Chie­diamo un rin­novo digni­toso, che dopo sei anni di para­lisi totale, per noi signi­fica 150 euro di aumento medio con pro­dut­ti­vità e rico­no­sci­mento pro­fes­sio­nale, altro che l’equivalente di una man­cia come vor­rebbe il governo».
I sin­da­cati del pub­blico impiego ieri erano mobi­li­tati in cento piazze con­tro la riforma delle pro­vince: un pro­cesso di mobi­lità «sel­vag­gia, frutto di un con­fuso pro­cesso di “can­cel­la­zione”», spie­gano. Quindi la denun­cia dei «danni che potreb­bero arri­vare dal decreto mobi­lità e dalla legge di Sta­bi­lità sui ser­vizi ai cit­ta­dini e sui lavo­ra­tori pubblici».

Le pro­messe di Poletti
Ma le sor­prese spia­ce­voli in zona Sta­bi­lità non sono certo finite qui: ieri si è saputo infatti che, nono­stante le pole­mi­che dell’ultimo anno e una sen­tenza della Corte costi­tu­zio­nale, verrà pro­ro­gato anche nei pros­simi due anni (2016 e 2017) il taglio delle indi­ciz­za­zioni per le pen­sioni sopra i 2 mila euro, così come era stato dise­gnato dal governo Letta (cor­reg­gendo in parte la più rigida for­mula Monti). Non si parla di asse­gni da poveri, come è ovvio, ma per la gran parte nean­che da ricchi.
Sulle pen­sioni c’è stato un botta e rispo­sta, sep­pure a distanza, tra i tre sin­da­cati e il mini­stro Giu­liano Poletti, che ha pro­messo la fles­si­bi­lità nel 2016. «Le rile­vanti ingiu­sti­zie ed ini­quità pre­senti nel sistema pre­vi­den­ziale non tro­vano rispo­sta nella legge di Sta­bi­lità — hanno attac­cato Cgil, Cisl e Uil in una nota con­giunta — È un grave errore non intro­durre la fles­si­bi­lità». «La pro­roga del blocco della pere­qua­zione fino al 2018 — pro­se­guono — è scon­cer­tante e non ripri­stina il diritto alla riva­lu­ta­zione già pre­vi­sto dalla recente sen­tenza della Corte Costi­tu­zio­nale. L’estensione, pur par­ziale, della no tax area per i pen­sio­nati è posi­tiva ma va attuata nel 2016 e non nel 2017 come pre­vede la legge». La set­tima sal­va­guar­dia degli eso­dati «non è riso­lu­tiva in quanto non copre tutta la pla­tea sti­mata dall’Inps e l’attuazione dell’opzione donna è limi­tata al 31 dicem­bre 2015. È grave sot­trarre risorse al Fondo lavori usu­ranti: andreb­bero uti­liz­zati invece per dare una rispo­sta a chi svolge man­sioni par­ti­co­lar­mente faticose».
Bagarre a via XX Settembre
All’indomani dello scon­tro sul fisco, con il duello ingag­giato dal sot­to­se­gre­ta­rio all’Economia Enrico Zanetti con­tro la diret­trice dell’Agenzia delle Entrate Ros­sella Orlandi, le ten­sioni al mini­stero aumen­tano. Ieri i dipen­denti del dica­stero hanno insce­nato una pro­te­sta nella sede di via XX Set­tem­bre con­tro il taglio del Fua, il Fondo unico di ammi­ni­stra­zione che viene uti­liz­zato per la con­trat­ta­zione inte­gra­tiva e il sala­rio acces­so­rio. Da gen­naio, dopo le ridu­zioni già decise nei mesi scorsi, il fondo sarà anche congelato.
Quanto alla que­relle sul fisco, il sot­to­se­gre­ta­rio Zanetti ha negato che il comu­ni­cato del mini­stero dell’Economia in soste­gno a Orlandi le desse ragione: «Non ritengo di essere stato smen­tito — ha detto — E poi non mi risulta che su que­sta vicenda ci sia una voce chiara né di Padoan né di Renzi. Esi­ste solo una nota del mini­stero». Zanetti ha quindi chie­sto una «veri­fica poli­tica» all’esecutivo. «Padoan ha par­lato per il governo, Zanetti ha espresso una legit­tima opi­nione per­so­nale. Bloc­chiamo le pole­mi­che sul nulla», ha tagliato corto Filippo Tad­dei, respon­sa­bile eco­no­mia del Pd.

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