Parlano i commercianti: "Mucca
pazza e l'aviaria furono devastanti, ma passata l'emergenza la gente
tornò alle vecchie abitudini. Oggi è diverso: il pericolo è stato
segnalato da una fonte autorevole, il mercato potrebbe risentirne a
lungo".
repubblica.it di ETTORE LIVINI
MILANO - Manzi, agnelli e maiali hanno poco da stare allegri. La sindrome della fettina-assassina ha messo ko la carne rossa sugli scaffali tricolori dove "le vendite - come racconta preoccupato Gian Paolo Angelotti, presidente di Assomacellai - sono crollate del 20%" dopo l'allarme Oms sul rischio-cancro. Il sospiro di sollievo per i diretti interessati a quattro zampe rischia però (almeno così si augurano le aziende di settore) di durare poco. Gli italiani a tavola sono abitudinari. Cancellare prosciutto e cotolette dai menu delle famiglie non sarà facile. E la débacle delle ultime 24 ore "è destinata a rimanere un fuoco di paglia", assicura incrociando le dita il numero uno dell'associazione di Confesercenti: "Tempo 15 giorni e sono convinto che questa storia verrà ridimensionata".
Sarà. Di sicuro i suoi associati hanno vissuto ieri una giornata campale. Molto simile a quelle seguite allo scoppio dell'epidemia di encefalopatia spongiforme bovina (alias "mucca pazza") e dell'aviaria quando il giro d'affari su vacche e polli è crollato rispettivamente dell'80 e del 50%. "Molti clienti sono usciti a far compere con le idee confuse", ammette Angelotti. I venditori sono corsi ai ripari ribassando i listini delle carni finite nel mirino dell'Organizzazione mondiale della sanità mentre gli acquirenti hanno cambiato in corsa la lista delle spesa, depennando i prodotti a rischio e riempiendo i carrelli di pollo e pesce, più economici e a prova di Oms. Risultato: "Il numero degli scontrini battuti ieri è uguale a quello dei giorni scorsi - ammette Angelotti - Il fatturato in controvalore invece è calato di un quinto".
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"A pancia posso dire che un primo contraccolpo c'è stato - ammette Marco Guerrieri, responsabile carne della Coop Italia - Di sicuro però è troppo presto per dire se e quanto durerà". "Ci vorrà un mese per avere dati seri" conferma François Tomei, direttore di Assocarni. A monitorare con il fiato sospeso i grafici delle vendite c'è un settore che in Italia vale 32 miliardi di euro e dà lavoro a 180mila persone. Il passato brucia: mucca pazza ha costretto a inizio millennio i ristoranti di tutta Italia a rivedere i menu, riducendo al minimo brasati e costine. La Fiorentina è stata bandita per qualche anno da Bruxelles, che ha riabilitato di recente la pajata dopo tre lustri di doloroso ostracismo. La psicosi dell'aviaria ha portato all'abbattimento di 800mila capi in Italia con un danno alla filiera quantificato in centinaia di milioni. Passata la tempesta, però, in entrambi i casi il barometro è tornato rapidamente verso il bel tempo e le vendite sono risalite ai livelli pre-crisi.Questa volta - dicono diversi esperti - è diverso. E le conseguenze per il settore rischiano di essere più profonde e durature. "Un conto è l'allarme per un rischio sanitario come la Bse - spiega Guerrieri - In quel caso, esaurito il pericolo di contagio, non ci sono controindicazioni a tornare alle proprie abitudini alimentari". Lo studio Oms è invece un'altra storia: "La fonte è autorevole anche se mette assieme paesi e filiere molto differenti tra di loro - continua - Sono sicuro che toccherà l'opinione pubblica in maniera profonda. I contraccolpi saranno più pesanti di quanto si pensi ora". I cartellini rossi delle authority contro le bevande gassate zuccherate - accusate di causare obesità e diabete - hanno ridotto in pochi anni del 25% i consumi di questi prodotti negli Usa. Le catene di fast food hanno pagato un conto salato alle campagne anti-hamburger. "Prevedo un aumento dei vegetariani", assicura Guerrieri. E un accelerazione della tendenza ad acquistare più carne bianca (i consumi di pollame sono cresciuti dai 13 chili pro capite del 2006 ai 21 di oggi) e meno di quella rossa (quelli di bovini sono scesi da 24 a 21). "L'industria italiana potrebbe addirittura guadagnarne - si consola Tomei - La stessa Oms riconosce che la carne è un elemento essenziale per l'alimentazione. E tutti sanno che un prosciutto di Parma è diverso da un insaccato low cost e gli allevamenti nel nostro paese sono tutt'altra cosa rispetto a quelli Usa". Si vedrà nelle prossime settimane, dati alla mano, se la pensano così anche i consumatori di casa nostra.
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