sabato 31 ottobre 2015

Il tempo dei podestà

 Fonte: il manifestoAutore: Norma Rangeri
La gior­nata dei lun­ghi col­telli è finita nel modo in cui era pre­ve­di­bile che finisse: rot­ta­mando il sin­daco — ormai ex — Marino. Ma al tempo stesso a Roma è stata rot­ta­mata la demo­cra­zia per­ché un’ombra scura, pesante è calata ieri sulla capi­tale. Con un atto poli­tico grave, e per­fino grot­te­sco, è stata col­pita e affon­data l’amministrazione della città che ora sarà gover­nata da una squa­dra di com­mis­sari: del Giu­bi­leo, del Comune, del Pd. Qual­cuno già li chiama i nuovi pode­stà. Con il primo pode­stà d’Italia che abita a palazzo Chigi.

Pos­siamo espri­mere i giu­dizi poli­tici che vogliamo — in parte nega­tivi come abbiamo scritto ieri — su Marino, ma il modo scelto per man­darlo a casa rivela l’escalation diri­gi­stica e cen­tra­li­stica che sta col­pendo il paese fin dalle sue fon­da­menta costituzionali.
Come dician­nove pic­coli indiani, i con­si­glieri del Pd romano, a colpi di firme con notaio al seguito (che pena) e con l’aiutino di Alfio Mar­chini e di altri con­si­glieri rac­cat­tati alla spic­cio­lata evi­tando gli impre­sen­ta­bili di Ale­manno (che disa­stro poli­tico), hanno sciolto il con­si­glio comu­nale. Così un par­tito che a Roma conta qual­che migliaio di iscritti ha man­dato a casa un sin­daco eletto da più di sei­cen­to­mila cit­ta­dini. E senza nep­pure l’ombra di una discus­sione pub­blica nell’aula solenne del Campidoglio.
È un ine­dito nella nostra pur mal­con­cia repub­blica: non solo un esem­pio per­fetto di azze­ra­mento della demo­cra­zia per via buro­cra­tica, ma di schi­zo­fre­nia poli­tica con un par­tito che fa fuori il suo can­di­dato per una sto­ria di scon­trini (sui quali farà chia­rezza l’indagine della magi­stra­tura). Altro che ripor­tare la crisi romana den­tro l’aula Giu­lio Cesare.
Le firme dal notaio chiu­dono l’esperienza della sin­da­ca­tura di Igna­zio Marino come era per­sino dif­fi­cile imma­gi­nare, e aprono la fase della grande abbuf­fata giu­bi­lare sotto il con­trollo del capo del governo, per inter­po­sto com­mis­sa­rio. Natu­ral­mente con la super­vi­sione dello stato Vati­cano. Non a caso, oltre all’avviso di garan­zia della pro­cura romana, la gior­nata ha rega­lato al sin­daco il ben­ser­vito del capo dei vescovi. Il car­di­nale Bagna­sco ci informa di essere molto pre­oc­cu­pato per le sorti della capi­tale, dice che «Roma ha biso­gno di un’amministrazione, della guida che merita spe­cial­mente in vista del Giu­bi­leo»: Bagna­sco può stare tran­quillo, il governo del com­mis­sa­rio sarà di suo gra­di­mento, lo stato ita­liano farà un ottimo lavoro al ser­vi­zio e all’ombra del cupo­lone, nes­sun «diritto inci­vile» tur­berà la pro­ces­sione giubilare.
Siamo certi che Renzi sarà sod­di­sfatto per l’esito della vicenda visto che può mano­vrare le bri­glie come più gli con­viene con l’aiuto dei poteri che lo sosten­gono. Come segre­ta­rio del Pd puri­fica il par­tito fino a togliere di mezzo i sin­daci che non gli sono mai pia­ciuti o che non gli piac­ciono più. Come pre­si­dente del con­si­glio li sosti­tui­sce con nuovi dream-team pre­fet­tizi da gestire con il mini­stero degli interni. I par­la­men­tari dis­si­denti li ha già epu­rati (è arri­vato a sosti­tuirne dieci tutti in una volta da una com­mis­sione par­la­men­tare), ora con le pros­sime ele­zioni ammi­ni­stra­tive tocca ai primi cit­ta­dini. Dopo aver rico­struito un blocco sociale con i soldi del Giu­bi­leo per tirare a lucido la città, sarà uno scherzo chia­mare al Cam­pi­do­glio un can­di­dato che nem­meno avrà biso­gno del mar­chio ammac­cato del Pd.
Ma è pro­prio nel suo par­tito che la vicenda romana rischia di tra­sfor­marsi in un boo­me­rang, per­ché essere riu­sciti a azze­rare Marino met­tendo da parte i suoi prin­cipi (si chiama pur sem­pre par­tito demo­cra­tico), come il rispetto delle ele­men­tari regole per l’appunto demo­cra­ti­che, è una vit­to­ria di oggi che può con­tri­buire domani ad affos­sare la sua sto­ria, la sua pur sbia­dita identità.
Di fronte a quanto sta avve­nendo, stu­pi­sce, con qual­che ecce­zione che con­ferma la regola, il silenzio/assenso della cosid­detta mino­ranza del Pd. Forse per­ché il virus dell’autodistruzione del par­tito l’ha con­ta­giata. O forse per­ché spera di poter trarre qual­che minimo van­tag­gio futuro. Come se Renzi e mino­ranza non si ren­des­sero conto dell’emorragia di con­sensi che ha già col­pito il Pd (come è acca­duto nelle ultime ele­zioni regio­nali). Per tutto que­sto la pros­sima cam­pa­gna elet­to­rale a Roma carica di respon­sa­bi­lità chi pensa di costruire un fronte demo­cra­tico e di sini­stra largo e con­vin­cente per quei romani che non vogliono rinun­ciare all’esercizio del voto.

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