La giornata dei lunghi coltelli è finita nel modo in cui era prevedibile che finisse: rottamando il sindaco — ormai ex — Marino. Ma al tempo stesso a Roma è stata rottamata la democrazia perché un’ombra scura, pesante è calata ieri sulla capitale. Con un atto politico grave, e perfino grottesco, è stata colpita e affondata l’amministrazione della città che ora sarà governata da una squadra di commissari: del Giubileo, del Comune, del Pd. Qualcuno già li chiama i nuovi podestà. Con il primo podestà d’Italia che abita a palazzo Chigi.
Possiamo esprimere i giudizi
politici che vogliamo — in parte negativi come abbiamo scritto ieri —
su Marino, ma il modo scelto per mandarlo a casa rivela l’escalation
dirigistica e centralistica che sta colpendo il paese fin dalle
sue fondamenta costituzionali.
Come diciannove piccoli indiani,
i consiglieri del Pd romano, a colpi di firme con notaio al seguito
(che pena) e con l’aiutino di Alfio Marchini e di altri consiglieri
raccattati alla spicciolata evitando gli impresentabili di
Alemanno (che disastro politico), hanno sciolto il consiglio
comunale. Così un partito che a Roma conta qualche migliaio di
iscritti ha mandato a casa un sindaco eletto da più di seicentomila
cittadini. E senza neppure l’ombra di una discussione pubblica
nell’aula solenne del Campidoglio.
È un inedito nella nostra pur
malconcia repubblica: non solo un esempio perfetto di azzeramento
della democrazia per via burocratica, ma di schizofrenia
politica con un partito che fa fuori il suo candidato per una
storia di scontrini (sui quali farà chiarezza l’indagine della
magistratura). Altro che riportare la crisi romana dentro l’aula
Giulio Cesare.
Le firme dal notaio chiudono
l’esperienza della sindacatura di Ignazio Marino come era persino
difficile immaginare, e aprono la fase della grande abbuffata
giubilare sotto il controllo del capo del governo, per interposto
commissario. Naturalmente con la supervisione dello stato
Vaticano. Non a caso, oltre all’avviso di garanzia della procura
romana, la giornata ha regalato al sindaco il benservito del capo
dei vescovi. Il cardinale Bagnasco ci informa di essere molto
preoccupato per le sorti della capitale, dice che «Roma ha bisogno
di un’amministrazione, della guida che merita specialmente in vista
del Giubileo»: Bagnasco può stare tranquillo, il governo del
commissario sarà di suo gradimento, lo stato italiano farà un
ottimo lavoro al servizio e all’ombra del cupolone, nessun «diritto
incivile» turberà la processione giubilare.
Siamo certi che Renzi sarà soddisfatto
per l’esito della vicenda visto che può manovrare le briglie come più
gli conviene con l’aiuto dei poteri che lo sostengono. Come
segretario del Pd purifica il partito fino a togliere di mezzo
i sindaci che non gli sono mai piaciuti o che non gli piacciono più.
Come presidente del consiglio li sostituisce con nuovi dream-team
prefettizi da gestire con il ministero degli interni.
I parlamentari dissidenti li ha già epurati (è arrivato
a sostituirne dieci tutti in una volta da una commissione
parlamentare), ora con le prossime elezioni amministrative tocca
ai primi cittadini. Dopo aver ricostruito un blocco sociale con
i soldi del Giubileo per tirare a lucido la città, sarà uno scherzo
chiamare al Campidoglio un candidato che nemmeno avrà bisogno
del marchio ammaccato del Pd.
Ma è proprio nel suo partito che la
vicenda romana rischia di trasformarsi in un boomerang, perché
essere riusciti a azzerare Marino mettendo da parte i suoi principi
(si chiama pur sempre partito democratico), come il rispetto delle
elementari regole per l’appunto democratiche, è una vittoria di
oggi che può contribuire domani ad affossare la sua storia, la sua
pur sbiadita identità.
Di fronte a quanto sta avvenendo,
stupisce, con qualche eccezione che conferma la regola, il
silenzio/assenso della cosiddetta minoranza del Pd. Forse perché il
virus dell’autodistruzione del partito l’ha contagiata. O forse
perché spera di poter trarre qualche minimo vantaggio futuro. Come
se Renzi e minoranza non si rendessero conto dell’emorragia di
consensi che ha già colpito il Pd (come è accaduto nelle ultime
elezioni regionali). Per tutto questo la prossima campagna
elettorale a Roma carica di responsabilità chi pensa di costruire
un fronte democratico e di sinistra largo e convincente per quei
romani che non vogliono rinunciare all’esercizio del voto.
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