mercoledì 28 ottobre 2015

È giusto esportare democrazia o tecnologia?


2015-10-15-1444904868-2013734-logo.jpgDal Manifesto del Presidente americano Woodrow Wilson che all'inizio del secolo scorso ha codificato la teoria secondo cui era possibile e per certi aspetti doveroso esportare la democrazia, talora con la forza delle armi, tanta acqua è passata sotto i ponti.

Professore di Diritto dell’economia e di Diritto dell’informazione e della comunicazione

Il che ci consente di considerare, con il distacco derivante dal tempo trascorso, che l'"American dream" che ne costituiva il sostrato ideale, alla base di un modello da rivendicare con orgoglio e meritevole di essere trasferito ai paesi che non ne riconoscevano la primazia, con le buone o con le cattive maniere, ha dato complessivamente buona prova di sé. Ha infatti contribuito in modo decisivo alla vittoria contro i totalitarismi della prima metà del Novecento, legittimando poi la lotta contro il comunismo in nome dei valori fondanti della nostra civiltà: la libertà, l'uguaglianza, il rispetto della dignità umana, il confronto delle idee, la concorrenza, il pluralismo.

Ecco perché oggi, prima di considerare tale assunto ormai desueto e anacronistico, e liquidarlo sbrigativamente come parte di un mondo in cui era facile distinguere i buoni dai cattivi, il bene dal male, conviene rivolgere lo sguardo indietro nel tempo, con comprensione e riconoscenza per coloro che, con un approccio che ci pare ingenuo e semplicistico, hanno lottato per quegli ideali e che ci consentono oggi di apprezzare il valore della libertà e della uguaglianza.
Ciò detto, nessuno può allo stato ragionevolmente ritenere che la democrazia - anche ammesso che ci accordi sul significato da dare a tale concetto e alle sue varie accezioni - possa spostarsi da uno Stato all'altro come un virus benefico che illuministicamente si diffonde, dispiegando i suoi benefici effetti.
Peraltro, come rileva Norberto Bobbio, "L'unico modo di intendersi quando si parla di democrazia, in quanto contrapposta a tutte le forme di governo autocratico, è di considerarla caratterizzata da un insieme di regole, primarie o fondamentali, che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure".
Ma le regole sono espressione e forma di una determinata società, di cui disciplinano organizzazione e modalità d'azione. Il che rende evidente, di per sé, la difficoltà di esportarle in blocco, da un sistema ad un altro, essendo legate a storia, specifiche tradizioni culturali, grado di sviluppo e condizioni socio-economiche.
Tale concezione era poi legata ad un mondo in cui i sistemi non comunicavano fra loro e l'interazione reciproca, fra uomini e istituzioni, era condizionata da mezzi di comunicazione che soltanto partire dagli anni '50, con il diffondersi della televisione, hanno incominciato a mostrare la loro straordinaria forza espansiva, abilitandoci al confronto delle idee, con uno sguardo rivolto al mondo e alle sue varie espressioni, mettendoci in condizione di verificare la veridicità delle notizie e l'autorevolezza delle fonti informative.
Internet ha il merito di aver portato a compimento tutto questo.Alla sua "disruptive innovation", la rivoluzione tecnologica che ne è alla base, con i big data e l'e government, la "neutralità" della Rete e la sua portata democratica, va il riconoscimento per aver accelerato il passaggio ad una società della conoscenza basata sull'interconnessione, in cui la tecnologia dà voce a un numero sempre più ampio di soggetti ed il saperne fare uso diventa elemento fondamentale e abilitante (per usare un concetto oggi alquanto abusato) per cittadini e imprese.
Il che rende essenziale in primis colmare il digital divide, vale a dire il divario tecnologico fra le diverse generazioni e i contesti economici e sociali, incidere su una realtà composta per lo più di analfabeti digitali, per anagrafe o censo, che attualmente non consente ancora alla Rete di estendersi con la dovuta uniformità e generalità.
Internet, common global medium, rappresenta infatti sempre più lo strumento e la modalità precipua attraverso cui l'individuo si pone in relazione con i suoi simili ed i pubblici poteri ed è messo in condizione di esercitare appieno i propri diritti di cittadinanza, diventando motore e veicolo di conoscenza, trasparenza e innovazione. Ecco perché, come rileva D. Weinberger, l'architettura della Rete riflette i vecchi sogni della democrazia, tutte le persone sono uguali, tutte le idee hanno le stesse opportunità e le barriere alla partecipazione civile sono abbassate.
Internet e le nuove tecnologie diventano quindi elementi chiave del nuovo assetto sociale ed economico mondiale, in cui il network diventa la forma dominante di organizzazione e la "Netpolitik" impone ormai tempi e modalità d' azione, ridefinisce il concetto di sovranità e di giurisdizione, e la differenza fra l'essere connessi o meno delinea la linea di demarcazione fra società evolute ed arretrate. È l'ecosistema digitale a favorire l'e commerce attraverso l'interscambio di dati e la fiducia reciproca, generando sviluppo e rendendo possibile ai governanti misurare l'efficacia delle misure da adottare in base al risultato degli altri, mediante il confronto con le migliori pratiche, in un processo di ridefinizione dello stesso principio di autorità e progressiva disintermediazione dei poteri costituiti.
Appurato che la Rete serve a far funzionare meglio la democrazia, occorre altresì considerare come Internet sia efficace soprattutto laddove già sia presente un'arena democratica, in un contesto di regole e valori condivisi, un sostrato civile ed economico adeguato. Le stesse forme dell'attuale democrazia rappresentativa possono trarre dalla Rete e dal mutato scenario tecnologico, che diventa anche sociale e politico, una nuova linfa, tale da ridefinire procedure più efficaci, per il coinvolgimento dei cittadini non soltanto nel procedimento che ne precede l'adozione ma anche nel contenuto delle decisioni che li riguardano, per un più proficuo rapporto fra rappresentanti e rappresentati. In tal modo Internet si qualifica come autentico engine of change, strumento di "democrazia continua" suscettibile di incidere e migliorare i processi politici e sociali.
Internet ha infatti decentralizzato i processi informativi, infrangendo l'aura d'inaccessibilità che ammantava le autorità pubbliche e la "globalizzazione comunicativa" ha accresciuto la trasparenza delle istituzioni, favorendo la collaborazione tra i diversi organismi politico-amministrativi ed il controllo sul potere, riducendo il ruolo di interdizione degli intermediari e incoraggiando forme alternative di partecipazione, come quella stimolata dai Social Network con il loro "effetto domino" durante le primavere arabe del 2011.
In tal senso gli strumenti tecnologi hanno mostrato la capacità di operare una vera e propria rivoluzione. Tuttavia le ombre che l'evoluzione successiva ha evidenziato ci inducono anche a considerare i rischi e le ambiguità del mito di una democrazia senza intermediari, che può anche tradursi in ultima analisi nella dissoluzione e ridefinizione dello stesso concetto di cittadinanza.
Possiamo ormai convenire sul fatto che sia illusorio ritenere che la Rete costituisca di per sé lo strumento salvifico che consente la partecipazione diretta tout court del cittadino alle dinamiche sociali e politiche che lo riguardano e che automaticamente trasforma la democrazia rappresentativa. Ancora più degli altri mezzi di comunicazione di massa, date le sue caratteristiche peculiari, può infatti diventare uno straordinario amplificatore per messaggi semplificati e tesi apodittiche che sono destinate a suscitare adesione acritica più che a stimolare dibattito, riflessione e partecipazione consapevole. Ecco perché la "digitalizzazione" della democrazia e la diffusione dei suoi strumenti per risultare efficace e proficua deve tradursi in un confronto fra idee e progetti fondato su conoscenza e approfondimento, condizione necessaria per decisioni consapevoli e ponderate.
Sul punto può essere utile rilevare che non vi è libertà senza regole, nel mondo online come in quello offline. Se manca una disciplina condivisa delle modalità con cui si estrinsecano le manifestazioni dei cittadini sulla Rete e la loro declinazione all'interno dei processi deliberativi, il superamento dei meccanismi consolidati di democrazia rappresentativa (che pure può trovare in Internet gli elementi e gli stimoli per una proficua rigenerazione) si rivela illusorio e di difficile realizzazione. In proposito, Lawrence Lessig segnala che "il cyberspazio, lasciato a se stesso, difficilmente potrà mantenere le promesse di libertà e di maggiore partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Potrebbe anzi divenire un perfetto strumento di controllo".
Occorre quindi evitare di inseguire il facile mito di una democrazia senza intermediari che giunge a definitivo compimento grazie a Internet. Al riguardo devono soccorrere educazione, consapevolezza, regole e valori condivisi, per un'interazione immune da semplificazioni e distorsioni, con l'obiettivo di perseguire una effettiva "inclusione digitale".
È a tali elementi che è affidato il compito di provvedere alla tutela del diritto di informare ed essere informati, garantendo altresì la sicurezza delle persone e degli Stati.
Soltanto in tal modo ci si assicura che Internet non diventi strumento di diffusione e amplificazione delle disuguaglianze ma continui ad essere veicolo di libertà e trasparenza, affinché il potenziale creativo delle nuove tecnologie accresca le possibilità di confronto aperto fra idee, per una conoscenza libera e pluralista.
In conclusione, esportare tecnologia giova alla democrazia, ma non basta.

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