Chissà chi è il senatore del Pd (“non voglio comparire”) che ha detto a Fabrizio Roncone del Corriere: “Sappia che a RaiTre, tra un po’, entreremo col lanciafiamme”. Parole ben scelte, comunque (complimentoni), rispetto alle quali le uscite del governatore De Luca (”camorrismo giornalistico”) sembrano un paterno rimbrotto.
Alessandro Robecchi
Sono passati ventun anni da quando (marzo 1994) Silvio Berlusconi disse “In Rai non sposterò nemmeno una pianta”, e appena un paio, anche meno, da quando Matteo Renzi twittava: “Via i partiti dalla Rai”. Forse intendeva: gli altri. Ora aspettiamo, come dice il senatore anonimo, l’irruzione col lanciafiamme, e intanto mettiamo un po’ d’ordine nella geografia del futuro confino. Iacona potrebbe finire a Ventotene, dove già andò Pertini, e per Giannini di Ballarò consiglierei Lipari. Si fidi, Giannini, Lipari non è male: Nitti, Lussu e Carlo Rosselli riuscirono a scappare in motoscafo e a raggiungere avventurosamente la Francia, e così speriamo di lei. A qualcuno toccherà Ustica, ma come si sa sono disponibili anche le Tremiti e Ponza, dove furono ospitati Nenni, Terracini e altri, che nemmeno lavoravano al Tg3, manco alla cronaca locale. E non è detto poi che ci si fermerà a una rete, perché l’attacco ai talk show (per esempio) è globale e riguarda tutte le reti tranne quelle più smaccatamente governative, cioè le reti Mediaset. Come si sa, meglio Rambo, che almeno è un tipino a modo, e in un film solo può ammazzare fino a trecento gufi.
Cosa si rimprovera al Tg3 e a tutta la Terza Rete, tradizionalmente frequentata da un pubblico di “ceto medio riflessivo” (traduco: vagamente di sinistra, presumibilmente elettore Pd) è presto detto. E anzi scolpito nel marmo dalle parole di un deputato Pd che siede in Vigilanza Rai, Michele Anzaldi: Rai Tre e il Tg3 “non hanno seguito il percorso del Partito Democratico, non si sono accorti che è stato eletto un nuovo segretario, Matteo Renzi, il quale poi è diventato anche premier”. Chiuse virgolette.
Distratti forte, eh! Dunque si certifica che “Fuori i partiti dalla Rai” era una battuta da avanspettacolo, piazzata tra i boys che scendono le scale e la gara di barzellette, e che il servizio pubblico dovrebbe seguire non solo la spartizione politica, ma addirittura quella correntizia, e mutare al mutare del segretario di un partito. Accidenti, che lavoraccio. E che del resto un simile pensiero sia condiviso nel partito renziano al governo è un dato di fatto: solo un paio di timide voci si sono alzate dal Pd per criticare l’attacco di De Luca, e per il resto silenzio di tomba. La macchina della propaganda, immobile o distratta: non una riga dai guru della comunicazione, non si pretende di condanna, ma almeno di perplessità e prudenza.
La guerra è dichiarata, insomma, e il terreno su cui si combatte è quello della “narrazione” renziana: chi la contrasta, e anche propone un’altra visione dei fatti, o semplicemente li racconta e li commenta senza ascoltare troppo gli ordini di scuderia, finisce nel mirino. Oltre al confino, urgerà ridisegnare i palinsesti, invitare nuovi ospiti preventivamente autorizzati, scegliere con cura gli argomenti. Suggeriamo qualche titolo per le future inchieste: “Abbondante vendemmia del Barolo grazie alle riforme di Matteo Renzi”, o “L’acqua su Marte! E poi dicono che le riforme di Matteo Renzi non servono!”. Lo spazio dei commenti – roba vecchia, di sinistra – potrebbe essere dedicato agli applausi, o a canti e coreografie in onore dell’Italia che riparte. Dovesse alzarsi qualcuno a protestare, le batterie di siluri contro il sindacato o la “casta” dei giornalisti sono piazzate, cariche, pronte a sparare. Tranquilli, la guerra sarà breve: tutto dovrà essere spianato in tempo per le elezioni politiche e per un eventuale ballottaggio. Il lanciafiamme è carico. Buona visione.
Alessandro Robecchi
(30 settembre 2015)
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