I neoinsediati presidenti di Camera e Senato hanno annunciato un sostanzioso taglio ai propri compensi. Ma L'Espresso ha denunciato da anni gli sprechi e le scandalose retribuzioni dei dipendenti del Parlamento. Cui sono seguiti solo proclami e dichiarazioni di buone intenzioni mai messe realmente in pratica.
l'espresso di Primo Di Nicola
Si tagliano i compensi. Lo dicono i nuovi presidenti di Camera e
Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso. Un taglio del 30 per cento,
da estendere, secondo le intenzioni dei due presidenti, anche al
resto dei parlamentari. Un buon segnale per il quale ci sarebbe da
esultare, ma quanta amarezza: la storia va avanti da troppo
tempo.
Al taglio delle indennità e degli altri compensi degli eletti si dovrebbe aggiungere anche una robusta sforbiciata delle retribuzioni dei dipendenti dei due rami del Parlamento. Lo stanno già chiedendo, sommessamente, i due presidenti, invitando le loro burocrazie interne a fare qualche sacrificio viste le ristrettezze che il Paese sta vivendo.
Ma c'è poco da sperare. Negli anni scorsi anche gli ex presidenti Fausto Bertinotti e Franco Marini provarono a fare approvare qualche riduzione delle ricche, per non dire scandalose, retribuzioni dei dipendenti del Parlamento. Senza successo. Il blocco della corporazione si è sempre rivelato invincibile.
Più volte "L'Espresso", con inchieste e copertine, a partire da quella del 1999 intitolata "Il palazzo di Bengodi", ha provato a favorire una riforma dello scandaloso andazzo. Inutilmente. Adesso ci riprovano Boldrini e Grasso, nauseati dalle prime informazioni ricevute dal Palazzo.
Eppure bastava leggere i nostri servizi per rendersi conto che il Paese non poteva sopportare simili sconcezze. Tanti cittadini hanno protestato di fronte ai dati forniti nelle nostre inchieste, l'ultima del 2011, che potete leggere sotto.
I politici si sono invece sempre voltati dall'altra parte. Anche i grillini sbarcati in Parlamento sembravano all'oscuro di tutto: solo dopo l'insediamento postelettorale hanno scoperto quello che il nostro giornale denuncia da anni. Ecco, comunque, tra stipendi da favola e trattamenti pensionistici da nababbi, cosa si nasconde nelle buste-paga dei dipendenti di Camera e Senato.
Ripubblichiamo di seguito l'inchiesta di primo Di Nicola sull'Espresso del 16 dicembre 2011:
All'ombra di Montecitorio e Palazzo Madama prosperano i ricchissimi trattamenti di cui gode il piccolo esercito di dipendenti che, tra una voce e l'altra della busta paga e i connessi sistemi previdenziali porta a casa retribuzioni e pensioni in grado di suscitare l'invidia persino del presidente della Repubblica.
Un'esagerazione? Dati alla mano, Giorgio Napolitano ha incassato nel 2010 un appannaggio complessivo di circa 239 mila euro. Un bello stipendio che impallidisce di fronte ai 259 mila euro lordi che può arrivare ad incassare ogni anno un semplice stenografo parlamentare, uno di quelli che si vedono alla tv mentre trascrivono i lavori delle assemblee o degli altri organi; e miseramente si inchina al confronto dei 370 mila euro percepiti da un consigliere parlamentare all'apice della carriera.
E non si tratta dell'unico paradosso che spunta dalle tabelle retributive di Montecitorio e Palazzo Madama. Scorrendole, si scopre pure che i commessi possono portare a casa più dei magistrati e le segretarie (8 mila netti mensili) quasi il doppio (4.500 netti) del primario di un reparto di neurochirurgia del Sistema sanitario nazionale.
Naturale che grazie a questi munifici compensi i livelli di spesa riportati nei bilanci di Camera e Senato per il personale abbiano raggiunto livelli da allarme rosso. Ed è altrettanto naturale che grazie ad essi i trattamenti pensionistici dei lavoratori parlamentari, anche a causa dei bizantinismi del regolamento e delle sorprendenti regalìe collezionate negli anni, abbiano toccato poi livelli di privilegio che pochissimo hanno da invidiare ai famigerati vitalizi riscossi da deputati e senatori.
Qualche cifra: a Palazzo Madama, per il personale di ruolo e quello in quiescenza si spendono complessivamente (dati 2011) 236 milioni di euro l'anno. Di questi, 136 se ne vanno per pagare gli stipendi dei dipendenti in servizio (in carico ne risultano 940, 120 in meno del 2006 grazie al blocco del turn-over) e più di 97 milioni per fare fronte alle pensioni degli ex. Cifre sorprendenti se confrontate con quelle relative ad altri capitoli di spesa del bilancio di Palazzo Madama.
Al taglio delle indennità e degli altri compensi degli eletti si dovrebbe aggiungere anche una robusta sforbiciata delle retribuzioni dei dipendenti dei due rami del Parlamento. Lo stanno già chiedendo, sommessamente, i due presidenti, invitando le loro burocrazie interne a fare qualche sacrificio viste le ristrettezze che il Paese sta vivendo.
Ma c'è poco da sperare. Negli anni scorsi anche gli ex presidenti Fausto Bertinotti e Franco Marini provarono a fare approvare qualche riduzione delle ricche, per non dire scandalose, retribuzioni dei dipendenti del Parlamento. Senza successo. Il blocco della corporazione si è sempre rivelato invincibile.
Più volte "L'Espresso", con inchieste e copertine, a partire da quella del 1999 intitolata "Il palazzo di Bengodi", ha provato a favorire una riforma dello scandaloso andazzo. Inutilmente. Adesso ci riprovano Boldrini e Grasso, nauseati dalle prime informazioni ricevute dal Palazzo.
Eppure bastava leggere i nostri servizi per rendersi conto che il Paese non poteva sopportare simili sconcezze. Tanti cittadini hanno protestato di fronte ai dati forniti nelle nostre inchieste, l'ultima del 2011, che potete leggere sotto.
I politici si sono invece sempre voltati dall'altra parte. Anche i grillini sbarcati in Parlamento sembravano all'oscuro di tutto: solo dopo l'insediamento postelettorale hanno scoperto quello che il nostro giornale denuncia da anni. Ecco, comunque, tra stipendi da favola e trattamenti pensionistici da nababbi, cosa si nasconde nelle buste-paga dei dipendenti di Camera e Senato.
Ripubblichiamo di seguito l'inchiesta di primo Di Nicola sull'Espresso del 16 dicembre 2011:
All'ombra di Montecitorio e Palazzo Madama prosperano i ricchissimi trattamenti di cui gode il piccolo esercito di dipendenti che, tra una voce e l'altra della busta paga e i connessi sistemi previdenziali porta a casa retribuzioni e pensioni in grado di suscitare l'invidia persino del presidente della Repubblica.
Un'esagerazione? Dati alla mano, Giorgio Napolitano ha incassato nel 2010 un appannaggio complessivo di circa 239 mila euro. Un bello stipendio che impallidisce di fronte ai 259 mila euro lordi che può arrivare ad incassare ogni anno un semplice stenografo parlamentare, uno di quelli che si vedono alla tv mentre trascrivono i lavori delle assemblee o degli altri organi; e miseramente si inchina al confronto dei 370 mila euro percepiti da un consigliere parlamentare all'apice della carriera.
E non si tratta dell'unico paradosso che spunta dalle tabelle retributive di Montecitorio e Palazzo Madama. Scorrendole, si scopre pure che i commessi possono portare a casa più dei magistrati e le segretarie (8 mila netti mensili) quasi il doppio (4.500 netti) del primario di un reparto di neurochirurgia del Sistema sanitario nazionale.
Naturale che grazie a questi munifici compensi i livelli di spesa riportati nei bilanci di Camera e Senato per il personale abbiano raggiunto livelli da allarme rosso. Ed è altrettanto naturale che grazie ad essi i trattamenti pensionistici dei lavoratori parlamentari, anche a causa dei bizantinismi del regolamento e delle sorprendenti regalìe collezionate negli anni, abbiano toccato poi livelli di privilegio che pochissimo hanno da invidiare ai famigerati vitalizi riscossi da deputati e senatori.
Qualche cifra: a Palazzo Madama, per il personale di ruolo e quello in quiescenza si spendono complessivamente (dati 2011) 236 milioni di euro l'anno. Di questi, 136 se ne vanno per pagare gli stipendi dei dipendenti in servizio (in carico ne risultano 940, 120 in meno del 2006 grazie al blocco del turn-over) e più di 97 milioni per fare fronte alle pensioni degli ex. Cifre sorprendenti se confrontate con quelle relative ad altri capitoli di spesa del bilancio di Palazzo Madama.
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