Presentato il rapporto Isfol sul reddito dei lavoratori a tempo determinato. Divario in crescita dell'1% rispetto all'anno precedente
ROMA - Avere un posto di lavoro precario va di pari passo con l'avere un salario più leggero, in media del 28% rispetto al posto fisso. La conferma emerge dai dati dell'Isfol. In media, certifica il rapporto dell'istituto di ricerca, un dipendente a tempo determinato, con riferimento al 2011, non riesce a superare i mille euro al mese di reddito netto da lavoro, indipendentemente dalla fascia d'età."Il divario risulta in crescita rispetto all'anno precedente (27,2%)", sottolinea il direttore generale dell'Isfol, Aviana Bulgarelli. "Il carattere peculiare dei divari retributivi tra le due forme di lavoro subordinato- spiega - è la scarsa dinamica dei salari dei tempi determinati: indipendentemente dall'età il salario medio dei lavoratori temporanei rimane sotto i 1.000 euro, mentre il livello retributivo medio dei dipendenti permanenti passa da poco più di 900 euro nella classe di età 15-24 anni ai quasi 1.500 euro nella classe 55-64 anni. Il divario retributivo risulta pertanto crescente con l'età".
Per i dipendenti a tempo, infatti, il salario medio nel 2011 è di 945 euro, a fronte dei 1.313 euro degli occupati a tempo indeterminato. Basti pensare che nel 2011 l'aumento per i dipendenti precari è stato in media solo di un euro. Ovviamente, precisa l'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, aggiornando dati già contenuti nel Rapporto 2012, i contratti a tempo prevalgono soprattutto tra le nuove generazioni, anche se in valori assoluti i dipendenti precari sono numerosi pure tra i più adulti, con oltre un milione di occupati a termine tra gli chi ha almeno 35 anni.
I dipendenti senza posto fisso, spiegava già l'Isfol nel Rapporto uscito all'inizio dell'estate, "sono i più colpiti dalla crisi economica" e, aggiunge, "si tratta di un patrimonio di conoscenze e competenze che non sembra essere valorizzato, costituendo di fatto uno spreco per gli individui e per l'intero sistema economico".
Bulgarelli rileva poi come "anche se il lavoro dipendente prevede generalmente l'applicazione di salari minimi legati ai contratti collettivi nazionali, dove previsti, la componente di lavoratori a termine risulta comunque più penalizzata". Le ragioni sono diverse, evidenzia il dg dell'Isfol, "in primo luogo poiché il lavoro a termine evita, con la scadenza dei contratti, l'applicazione delle fasce di anzianità previste dai contratti collettivi; inoltre i dipendenti a termine usufruiscono in misura minore della componente retributiva legata a straordinari e ad altri emolumenti; tra i contratti a termine infine il lavoro a tempo parziale incide in misura decisamente maggiore (25,5% a fronte del 14,9% del lavoro a tempo indeterminato), contribuendo a ridurre il salario medio".
Un altro carattere distintivo tra le due forme di contratto riguarda l'età, come già noto c'è una larga prevalenza di giovani tra gli occupati a termine. A riguardo Bulgarelli osserva: "Oltre il 50% dei lavoratori temporanei ha meno di 35 anni a fronte del 24% tra gli occupati permanenti. Il rischio di subire un lavoro a termine mostra un livello elevato nella prima classe di età (poco meno del 50% degli occupati dipendenti tra 15 e 24 anni ha un contratto a termine), per poi diminuire sensibilmente fin dalla classe di età successiva".
Sicuramente quindi il lavoro 'precario' si conferma come lo strumento d'ingresso dei giovani nell'occupazione, "mostrando tuttavia - precisa il direttore generale dell'Isfol - incidenze relativamente elevate anche nelle classi di età centrali e, ciò che maggiormente lo caratterizza, un livello retributivo che, sommato al carattere precario dell'occupazione, penalizza marcatamente i lavoratori temporanei".
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