mercoledì 3 ottobre 2012

Che succede al manifesto? La risposta di Vauro

0
La crisi de il manifesto sembra una caduta a vite. Se ne va Vauro e la direttrice lo indica al pubblico come "traditore". Qualcuno ci casca. Noi no.


Partiamo dai fatti che possiamo verificare come lettori. "il manifesto" sembra oramai un collage di pezzi scritti in totale indipendenza da chiunque passi lì dentro. Cose di una chiarezza ed utiità fulminante si alternano, magari nella stessa pagina, con evidenti "marchette" a questo o quel politico di centrosinistra (Vendola, Fassina, Orfini, in ordine di apparizione). Come se qualche redattore stesse preparandosi al "dopo" con la "promozione" del suo futuro datore di lavoro.
L'uscita di Vauro è solo la più clamorosa degli ultimi tempi e si aggiunge alla rarefazione progressiva di molte firme storiche.
Non essere riusciti a trattenerlo, per un giornale che vuole sopravvivere e rilanciarsi, dovrebbe essere motivo di autocritica; o almeno di autoanalisi. Buttarla sulla presunta auri sacra fames di Vauro è invece una vigliaccata di bassa lega, degna del peggior Pci anni '60-'70 (quello che espulse il gruppo storico de "il manifesto", per capirci).

Conosciamo bene il vignettista più caustico d'Italia. Lo abbiamo avuto per compagno, insieme a Stefano Chiarini ed altri compagni di quel giornale, in molte campagne a favore della causa palestinese. Doveva salire su una nave della Freedom Flotilla, un anno fa. E solo il blocco del governo greco gli ha impedito allora di partecipare a una spedizione in cui non c'era veramente nulla da ridere e tantomeno da guadagnare.
Prima ancora era andato a lavorare con Emergency. Anche lì per mettere alla prova se stesso in situazioni decisamente non salottiere, anche se portandosi dietro il suo indubbio valore di "logo".
Giù le mani da Vauro, dunque. Sulla sua moralità, sulla sua capacità militante, non esistono per noi dubbi.


Certo, sappiamo che - come si dice oggi - Vauro "ha mercato". Molto più di quanti che al manifesto ancora lavorano. Immaginiamo che alcuni vi siano rimasti resistendo a qualche lusinga (il "Pubblico" di Telese gli ha strappato soltanto il redattore sportivo e "preso in prestito" qualche collaboratore, che peraltro continua a scrivere per il quotidiano ahinoi diretto da Norma Rangeri). Sappiamo e vediamo da anni che collabora con una molteplicità di media (da Santoro al Corriere della Sera), com'è ovvio che sia per un virtuoso della matita la cui utilità, per un giornale, non si misura in ore di lavoro ma in efficacia del segno e della battuta. Sappiamo però, per esperienza, che non ha mai rifiutato una vignetta o un logo gratuito a chiunque, tra i compagni delle cento organizzazioni politiche e sindacali di questa derelitta "sinistra", glielo abbia chiesto.
Noi misuriamo le persone da queste e molte altre cose. Perciò soffriamo la sua decisione di passare a "Il Fatto" come lettori pluridecennali de "il manifesto", ma non vi troviamo nella di strano. Lì dentro, d'altro canto, lavorano o collaborano altri noti personaggi di "estrema sinistra"; addirittura un ex parlamentare in quota a "Sinistra critica"...
Perciò, giù le mani da Vauro. Interrogatevi, invece, sul perché questo "il manifesto" di oggi perde lettori, copie, incassi, autorevolezza. La nostra risposta è chiara: "non morde" più la realtà del cambiamento in atto. O, almeno, lo fanno alcuni singoli, non il giornale nella sua interezza. Nel caos del presente, non illumina granché...
flotilla 2





Vauro risponde

Un grande in bocca al lupo da «ciò che resta» del manifesto
L'ho scritto: avrei preferito andarmene zitto zitto, quatto quatto. Ho capito che non posso farlo. Va bene. Avrei voluto farlo perché non volevo che la mia uscita suscitasse letture o polemiche che potessero danneggiare ciò che resta de «Il manifesto». Ecco, in queste due parole «Ciò che resta» la spiegazione. Resta molto poco de «il manifesto» nel quale ho lavorato per più di venti anni. Troppo poco. Almeno a mio giudizio. Ma forse anche a giudizio dei troppi lettori che hanno smesso di comprare il giornale. E non mi pare che ne «Il manifesto» (mi ci metto anch'io) ci si sia interrogati sulle nostre responsabilità politiche ed editoriali riguardo a questi abbandoni. Me ne vado in un momento difficile? No. Purtroppo il momento difficile è già passato e non siamo stati in grado di farvi fronte. Entro dicembre i liquidatori scioglieranno la cooperativa di cui anch'io faccio parte. Ne nascerà un'altra? mi auguro di sì ma è ovvio che non sarà quella verso la quale sentivo un obbligo politico e morale. Scrivo queste poche righe per dare una risposta a quelle lettere di lettori che mi chiedevano un perché. Forse questo perché avrebbe dovuto (e da tempo) darlo la direzione del giornale che adesso, nemmeno tanto velatamente, mi addita come quello che se ne va solo per soldi. Pazienza. Nella vita di ogni buon comunista è scritto che prima o poi debba essere considerato un rinnegato da altri comunisti (vecchio vizio). E' vero che a «Il Fatto» il mio compenso sarà più elevato di quello che ho finora percepito da «il manifesto» e certo non me ne dispiaccio. Detto questo vorrei che qualcuno della direzione mi spiegasse come mai sarei diventato un «Vignettista squillo» dopo venti e passa anni, di cui gli ultimi sei o sette , seguiti al cambio contrattuale da me voluto quando compii la scelta di andare a lavorare per Emergency, con lo stipendio più basso di tutto «il manifesto» (un record!). In ultimo riguardo al mio essere comunista lo rivendico con orgoglio e non penso che diverrò meno comunista solo per il fatto di andare a lavorare in un giornale libero che però non si definisce comunista sotto la testata. Saluti comunisti ribaditi.

da "il manifesto"

Nessun commento:

Posta un commento