sabato 14 luglio 2018

Roma, sulla casa il Comune ricatta invece di trattare


 

dinamopress Sarah Gainsforth

Salta il tavolo sulla casa e la linea del Comune resta quella di fare cassa, dell’emergenza e dell’assistenzialismo. Con la minaccia di togliere la patria potestà ai nuclei familiari sgomberati che rifiutano l’assistenza alloggiativa del Comune. A Roma, inizia la guerra ai poveri.

Dopo sei mesi di incontri e rinvii che sembrano quasi studiati, ieri è saltato il tavolo sulla casa che aveva visto l’inedita e ampia partecipazione di movimenti, sindacati e costruttori nella ricerca di un accordo con l’Assessore al Patrimonio e alle Politiche Abitative Rosalba Castiglione per definire un protocollo comune sulla cosiddetta «emergenza casa». A fronte di una chiusura totale dell’Assessore le parti sociali hanno abbandonato il tavolo.
Non ci sarebbe alcuna «emergenza casa» a Roma se il Comune sbloccasse i 197 milioni di fondi ex-Gescal stanziati dalla Regione Lazio con la delibera 18 del 2014 per la casa. Di questi, 40 milioni sono già stati trasferiti al Comune di Roma. Ma, secondo Castiglione, la delibera è inapplicabile. Esisterebbe un parere dell’Avvocatura Capitolina, richiesto dal direttore del Dipartimento Barletta, secondo cui la delibera regionale è incostituzionale. Nessuno dei partecipanti al tavolo ha mai avuto modo di leggere il parere in questione, né in base a essa il Comune ha mai impugnato la delibera regionale.
Il nodo della presunta inapplicabilità, su cui l’Assessore non cede, riguarda la destinazione dei fondi. La delibera infatti individua tre categorie assegnatarie degli alloggi da reperire con i fondi disponibili: nuclei in graduatoria per una casa popolare, abitanti dei residence e abitanti di «immobili impropriamente adibiti ad abitazione», gli occupanti delle circa cento occupazioni della Capitale. Su quest’ultima categoria l’Assessore fa muro con una linea legalitaria che di legale ha ben poco, perché molti occupanti sono in graduatoria per una casa popolare. «Il risultato paradossale è che pur di escluderle questa categoria di occupanti “abusivi” il Comune blocca i fondi e lascia senza risposta tutti coloro che a Roma vivono una condizione di disagio abitativo», secondo Andrea Alzetta di Action.
La casa a Roma è un diritto negato a circa 11.600 famiglie in lista d’attesa, 30.000 in difficoltà con il pagamento dei canoni di cui 10.000 con sfratto esecutivo e 10.000 occupanti «abusivi».
Secondo Emiliano Guarnieri, segretario del SUNIA, «a fronte del tentativo delle parti sociali di proporre riforme inclusive la risposta dell’Assessore sono solo atti discriminatori e provvedimenti di legalità fittizia. Le norme – aggiunge Guarnieri ­– non rispondono più alle esigenze della popolazione e vanno cambiate, non possono servire da paravento per atti discriminatori».
Una linea legalitaria escludente che si traduce nella criminalizzazione di coloro che occupano per necessità, gli «abusivi», e che propone come unica soluzione alla categoria delle «fragilità sociali» soluzioni assistenziali ed emergenziali con cui, scrive Fabrizio Ragucci, segretario di Unione Inquilini Roma, «si rafforza inesorabilmente il fronte della speculazione vera, cioè di quella che continua a macinare milioni ogni mese sfruttando come sanguisughe le ferite aperte della città: assistenza alloggiativa, patrimonio pubblico, profughi, campi rom, eccetera».
L’unica allarmante novità emersa ieri rispetto a questo quadro sarebbe la minaccia, da parte del Comune di Roma, di togliere i figli a quei nuclei familiari sgomberati dalle occupazioni che rifiutano i posti nelle strutture di accoglienza temporanea offerti dal Comune, da molti declinati proprio perché prevedono la separazione familiare.
«Tra l’altro gli ultimi quattro bandi per i Sassat, i centri di assistenza alloggiativa temporanea, sono andati deserti. Quindi non si sa neanche dove dovrebbero andare gli sgomberati», precisa Guarnieri. «Abbiamo assistito solo ed esclusivamente a dei proclami. Manca completamente qualsiasi percorso attuativo dei provvedimenti proclamati».
Come l’abrogazione dell’articolo 50 della legge regionale 27 del 2006, nuovamente annunciato da Castiglione per sgomberare le circa 5mila famiglie che abitano in case di edilizia residenziale pubblica e che, avendo superato il limite di reddito consentito, hanno stipulato grazie all’art. 50 un contratto a canone concordato. «Ci vorrebbero 15 anni per sgomberare 5mila famiglie», nota Guarnieri, secondo cui la via più sensata sarebbero dei provvedimenti per ridefinire i criteri e i canoni per le assegnazioni.
È di pochi giorni fa lo sgombero in via Scorticabove dove 120 rifugiati sudanesi, già abbandonati dalle istituzioni, sono stati sgomberati e lasciati a dormire in strada. Chiedono uno spazio da rigenerare, non un posto in un centro di accoglienza, un passo indietro rispetto al percorso di inclusione che stanno affrontando autonomamente.
Ci sono i fondi e ci sono anche gli spazi. A Roma ci sono 114mila case sfitte secondo l’Istat e un vasto patrimonio pubblico inutilizzato che il Comune avrebbe dovuto censire e mappare per destinarlo all’emergenza abitativa anche in virtù delle norme sul riuso.
Se della mappatura non si ha notizia, la Sindaca ha annunciato oggi la fine di «affittopoli» con il piano sulle locazioni del patrimonio disponibile per la «valorizzazione e messa a reddito» di circa 570 appartamenti di proprietà del Comune, attraverso l’applicazione di canoni di mercato dopo una procedura di asta pubblica. «La Sindaca Raggi, con l’unico scopo di fare cassa, affossa l’accordo firmato con l’ex vicesindaco Nieri sui canoni che prevedeva i prezzi dell’affitto rapportati al reddito. Una misura che permetteva di salvaguardare i ceti popolari», scrive Ragucci. Una misura mai entrata in vigore con la caduta di Marino e deliberatamente affossata dall’amministrazione pentastellata, un tipico esempio delle «scelte scriteriate del Comune – secondo Guarnieri – perché le case sono attualmente occupate da inquilini con posizioni contrattuali che andranno chiarite e questo comporterà iter lunghi e complessi, per poi definitivamente consegnare il centro storico a ricchi e turisti».
A Roma esiste una precisa strategia sulla casa volta unicamente a fare profitto. Non è casuale che il tavolo sia stato rimandato di un mese «per avere le mani libere ad agosto», dice Guarnieri. È stato chiesto un incontro con l’Assessore regionale alla casa Valeriani, perché istituisca un Osservatorio sulla Casa, con cui la Regione potrebbe mettere a disposizione parte del suo patrimonio disponibile, oltre che impegnarsi in un incontro delle istituzioni in sede della Prefettura, per assicurare la «pace sociale» ad agosto. Intanto si immagina una mobilitazione per la prossima settimana, secondo Luca Fagiano del Coordinamento cittadino di lotta per la casa, perché sulla questione abitativa bisogna mantenere alta l’attenzione.
Foto: Daniele Napolitano

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