Giulietto Chiesa Giornalista
Leggo e “strabilio” vedendo Scalfari definire Vladimir Putin come “leader del comunismo mondiale”. Povero presidente della Russia, che si è visto attribuire negli ultimi anni – a partire dal suo discorso di Monaco – una tale serie di crimini: dall’assassinio della Politkovskaja, a quello di Litvinenko, all’abbattimento del Boeing malaysiano nei cieli del Donbass in guerra, al tentato assassinio di Skripal e di sua figlia Julia, al sequestro della (altrimenti com’è ben noto, splendente) democrazia americana in occasione del famosissimo Russiagate, fino al risultato elettorale del 4 marzo in Italia. Crimine, quest’ultimo, evidentemente così imperdonabile da aver fatto venire le traveggole non solo a Scalfari, ma a tutto il mainstream italiano e internazionale.
Scalfari rispondeva con nonchalance all’indignata replica dell’ambasciatore russo a Roma, anch’egli evidentemente sbalordito da quest’ultima accusa. Per lui “il comunismo, pure in modi diversi, è ancora la sostanza politica della Russia”. Frase che riassume, in poche sillabe, tra l’altro, tutta intera la russofobia dei radical-liberal-globalist-integrationist contemporanei. Dalla demonizzazione del comunismo si passa senza soluzione di contiguità e di continuità, alla demonizzazione della Russia. Che è, appunto, irredimibile: con comunismo o senza comunismo, la Russia è nemica, punto e basta. Anzi, nel lucido pensiero scalfariano-repubblicano, è la Russia che ha prodotto il comunismo, che dunque è vivo come non mai, essendo la Russia particolarmente vivace negli ultimi tempi su tutti gli scacchieri internazionali.
Certo in questa preziosa riflessione Eugenio Scalfari si è dimenticato della Cina e di Xi Jinping. L’ambasciata cinese a Roma avrebbe non pochi motivi per replicare anch’essa a una tale offesa: non per essere stata definita “comunista” (che per Xi Jinping è motivo di orgoglio) ma per non essere stata collocata al suo indubbiamente meritato posto di assoluta preminenza. Certo – così chiosa ancora Eugenio Scalfari – la politica è una cosa “complessa”, visto che “Aristotele lo dimostrò più di 2000 anni fa”, ma come si fa a non considerare comunista Vladimir Putin alla luce del suo “interesse ad un’egemonia nel Mediterraneo centrale”?
Di questo passo, ovviamente, dovremmo considerare comunisti anche tutti i presidenti americani da Roosevelt in avanti, sempre e incrollabilmente interessati all’egemonia non solo nel Mediterraneo centrale ma in tutto il mondo. Verrebbe qui spontanea un’altra domanda a Scalfari: perché mai la Russia o Putin o tutti e due non avrebbero il diritto di essere interessati a estendere l’”egemonia” dove loro conviene? Lo fanno tutti. L’hanno sempre fatto tutti (quelli che potevano permettersene il lusso). Dunque, appunto leggendo anche Aristotele, oltre a Machiavelli, si dovrebbe ricordare che la politica è una cosa complessa, non una chiacchiera da bar trasferita sulle auguste pagine di Repubblica.
Uso il condizionale, perché, in realtà, non è questo il centro dell’attenzione di Scalfari. L’egemonia nel Mediterraneo centrale è qui solo la dantesca “donna dello schermo”. Il centro dell’attenzione è invece Matteo Salvini, che qui viene rappresentato come “una sorta di suo delegato (di Vladimir Putin) in tutte le delicatissime questioni che coinvolgono le immigrazioni dal litorale libico in direzione Europa attraverso l’Italia”.
La stravagante e strampalata teoria è appunto il segno della degenerazione di cui ho parlato all’inizio. Salvini “delegato di Putin”? E delegato, ancor peggio, “in tutte le delicatissime questioni” dell’immigrazione? A parte il fatto che questa definizione sembra totalmente mutuata dalla favoletta secondo cui Donald Trump sarebbe uno strumento nelle mani del Cremlino, da dove mai Scalfari ha tratto queste informazioni? Un cenno, un link, una prova, un indizio, lo vorrebbe portare a sostegno di questa cosetta da niente come l’accusa a Salvini di essere un agente del nemico (eterno) dell’Occidente? Che, nella sua attuale funzione di vice-premier e di ministro dell’Interno equivale a un’accusa di alto tradimento.
Altrimenti saremo costretti ad attribuire a Scalfari il titolo di “primo complottista emerito”. Ma non è solo colpa sua. Viviamo in un Paese dove (anche grazie a Repubblica) il senso comune è stato ormai abbandonato. Nel mondo virtuale delle fake news non ci può essere senso comune. Il senso comune , anzi il “senno”, è finito sulla Luna – questo c’è arrivato sul serio – e ci vorrà un altro Astolfo per andarlo a recuperare.
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