collettivo militant
La manifestazione di domani per ricordare Fabrizio Ceruso, il suo assassinio a distanza di 44 anni, potrebbe ricadere nella ritualità degli anniversari, nelle date che necessariamente si ricordano per storia, per onorare la memoria di una grande stagione di lotte ormai lontana nel tempo, ma così non è.
Questo appuntamento si situa in un momento particolare, in cui si vanno addensando segnali non certo positivi anzi in netta continuità con la gestione politica e amministrativa passata. La circolare del Viminale del 1 settembre che ratifica la linea della tolleranza zero verso il movimento del diritto ad abitare, la linea consenziente di fatto della giunta Raggi sul tema non fanno ben sperare per le prossime settimane. Nulla di nuovo.
Non scopriamo oggi che l’alleanza giallo verde, pur se percepita da fasce ampie della popolazione ancora come una novità, come il governo del “cambiamento”, nei suoi cento giorni di potere, ha messo in scena una sostanziale continuità in molti campi della politica sociale e un’evidente difformità rispetto ai proclami battaglieri tinti di retorica antisistema post 4 marzo.
Ci sembra anche troppo scontato rimarcare ancora una volta la linea propagandisticamente razzista della gestione salviniana del tema migranti, l’esaltazione dell’operato delle forze di polizia, della linea securitaria e repressiva che si intende attuare per gestire le problematiche sociali, del clima invelenito che si va respirando nel paese. Ma è proprio sul tema delle periferie , però, che questo governo del “cambiamento” segna tutta la sua continuità con la classe politica che l’ha preceduta, se è vero che il governo si appresta a congelare i fondi del bando per le periferie previsto nel decreto Milleproroghe, tagliando circa due miliardi di euro alle aree metropolitane.
La carne al fuoco è tanta, la questione sociale nelle nostre periferie si fa sempre sempre più calda e delicata sul piano della sofferenza e delle diseguaglianze, dobbiamo lavorare costantemente a ricucire le relazioni di solidarietà, ascoltando e cercando di organizzare dove è possibile le aspettative e la voglia di emancipazione che vivono anche nella condizione più difficile, cercando di frenare e respingere le continue sirene del propagandismo razzistoide. Consci, però, del fatto che in mezzo al nostro popolo, fatto di lavoratori e lavoratrici, occupati, semioccupati, disoccupati , del popolo delle periferie, alberga molta rabbia e questa rabbia sociale non si risolve con un ragionamento buonista o vagamente solidarista di stampo umanitario.
Ci sono buoni motivi per scendere in piazza domani non solo, per ricordare il passato ma soprattutto per stringerci in un rinnovato spirito unitario nella difesa resistente di quello che si è sedimentato in tanti anni nella nostra città, ma certo questo non basta per uscire dalle secche politiche e dal deserto sociale in cui sembra siamo ancora totalmente immersi.
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