Dopo la sconfitta elettorale che ha sancito la fine dell’esperienza di governo di Renato Accorinti, uno degli attivisti della lista collegata "Cambiamo Messina dal Basso" rilancia qui il progetto neomunicipalista: “È l’inizio di una nuova sfida per cambiare il rapporto tra movimenti e palazzo”.
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I risultati elettorali delle elezioni amministrative del 10 giugno 2018, che hanno sancito la fine dell’esperienza di governo municipale di Renato Accorinti e chiuso le porte del Consiglio comunale alle tre liste collegate, tra cui quella di Cambiamo Messina dal Basso (CMdB), il soggetto neomunicipalista messinese, hanno innegabilmente segnato una battuta d’arresto molto forte per il movimento in riva allo Stretto.
Un movimento nato nel 2013 dalla convergenza di tante esperienze
politiche, sociali, associative, di impegno sul territorio. Quelle
stesse esperienze che avevano animato ed attraversato qualche anno prima
il movimento No Ponte, stagione storica di cui CMdB è in qualche modo
figlio, ritrovatesi per provare a cambiare dall’interno la politica
cittadina, portando Renato Accorinti sulla poltrona di sindaco e alcuni
suoi rappresentanti all’interno del Consiglio comunale.
Non mi interessa, in questa sede, soffermarmi a lungo sulle ragioni
di questa sconfitta elettorale, cui farò solo un breve cenno. Sono
ragioni riconducibili agli errori commessi nel corso dei cinque anni di
governo – tanto da parte della giunta Accorinti, quanto da parte di CMdB
– specialmente in termini di rapporto con il territorio e di
comunicazione. Ma anche ad un sistema elettorale molto difficile, con
uno sbarramento di lista al 5%, che ha azzerato il risultato di
coalizione del 10%; ad una forte dispersione del voto per il sindaco con
i candidati del M5S e del centrosinistra (accomunati ad Accorinti,
nella percezione dell’elettorato, ora da una dimensione “antisistema”,
ora da una dimensione legata a capacità, responsabilità e trasparenza);
ad un clima di generale ripresa delle destre, a cominciare dal tema
migranti; ad altri errori, infine, di valutazione e di strategia
commessi in campagna elettorale. Tutte ragioni che hanno portato ad un
risultato disastroso in termini di rappresentanza, nonostante i numeri
assoluti dicano che poco è cambiato rispetto alla vittoria del 2013
(solo duemila preferenze in meno per il candidato sindaco e stesso
numero di voti della tornata precedente per le liste collegate). Sono
analisi, queste, che abbiamo avviato e che continuiamo ad approfondire.
Ma, nonostante tutto ciò – o, forse, proprio a causa di tutto ciò –
quella che ci appare chiaramente come una sconfitta elettorale, non la
viviamo assolutamente come una sconfitta politica. Non è, in sostanza,
la fine del municipalismo messinese e dell’esperienza di Cambiamo
Messina dal Basso.
All’indomani di questo risultato, infatti, ci appare chiaro che
restare fuori dal palazzo non può in alcun modo rappresentare la fine di
un movimento collettivo che ha ancora tanto da dire e da fare in tema
di governo della città. E’, al contrario, la conclusione di un ciclo e
l’inizio di una nuova sfida, di un nuovo modo di interpretare il
rapporto tra movimento e governo della città.
Il cambiamento radicale del rapporto tra movimenti e palazzo è il
fulcro del nuovo municipalismo, con il tentativo dei movimenti di
diventare attori protagonisti del cambiamento delle città. In
quest’ottica, l’apertura alla possibilità di entrare nelle istituzioni è
stata senza dubbio una delle modalità più significative, al fine di
rendere reali i cambiamenti auspicati. Ma di certo non può essere
l’unica.
E’ qui che sta il nodo della questione: se si entra nell’ottica che
la dimensione istituzionale altro non è che un mezzo, per quanto
importantissimo, e che il vero quid dell’esperienza municipalista
risiede nel cambiamento dei rapporti con il palazzo, nella
consapevolezza della necessità di un movimento trasversale, non legato
ad una singola battaglia di scopo, ma molto più in generale alla
questione del diritto alla città, che l’essenza di queste piattaforme
sta nell’acquisizione di nuove prospettive e nuovi linguaggi sull’asse
istituzione-movimento-città, allora diventa possibile realizzare quello
che da qualche settimana abbiamo deciso di fare a Messina: il
municipalismo oltre il municipio.
Su queste basi si sta ricostruendo l’esperienza messinese, con una
seconda fase neomunicipalista che rivoluziona ancora una volta il nostro
modo di guardare all’istituzione ed interagire con essa.
I cinque anni di governo ci hanno consentito di lasciare tanto alla
città in termini di risultati raggiunti, dalla rivoluzione e rilancio
del trasporto pubblico alla rinascita di numerosi ed innovativi servizi
alla persona, dalle politiche di accoglienza a quelle culturali
finalizzate alla valorizzazione del tessuto locale e ad una nuova
gestione degli spazi, e ancora interventi per il diritto alla casa,
sull’edilizia scolastica, per la difesa del suolo e del territorio. E
molto altro ancora. Un’eredità che è fatta anche di nuove forme e
dinamiche di partecipazione della cittadinanza, di un rinnovato rapporto
con il Palazzo e di importanti relazioni orizzontali che attraversano
la città, ed è forse ciò che più conta.
Ma diritto alla casa, servizi pubblici – con l’avvio di una strenua resistenza al processo di privatizzazione che intende avviare la nuova Amministrazione – liberazione del fronte mare, diritti dei più piccoli, beni comuni, spazi culturali, difesa dell’ambiente e del territorio restano ancora oggi, chiusa (temporaneamente?) l’esperienza di governo e di rappresentanza, il cuore portante della nostra azione. Quel che cambia sono le modalità.
Da un lato, andando a rafforzare la relazione con la città, in
particolar modo con i territori ed i quartieri, con le realtà attive su
questi (ed altri) temi, intendendo sempre più il nostro movimento come
un soggetto che attraversa la città e come uno spazio politico da
attraversare. Il tutto con linguaggi nuovi, con un forte immaginario
simbolico, mutuato da alcune delle esperienze più significative in
termini di partecipazione nel corso dei nostri cinque anni alla guida
della città (dal Laboratorio dei Beni Comuni all’Assessorato collettivo
alle culture).
Dall’altro lato, invece, andranno trovate forme nuove di
interazione con il palazzo, senza cadere nell’errore di replicare sic et
simpliciter quanto si faceva prima: oggi ci sono competenze diverse,
rafforzate, c’è una rete di relazioni che prima mancava, c’è una
conoscenza di dinamiche e strumenti che ci lasciano in eredità i cinque
anni di governo. Non sfruttarli sarebbe un delitto imperdonabile.
Il tutto guardando, sempre, alla rete europea di cui facciamo
parte, quella delle città del cambiamento (o “ribelli”, o “senza paura”,
come vengono definite), ai rapporti che abbiamo coltivato in questi
anni con Napoli, Bologna, Barcellona, A Coruña, Madrid, Belgrado e tante
altre realtà. Anche questo è un portato della rivoluzione
municipalista: un contatto diretto, intenso e trasversale tra vari
attori delle città (movimenti, associazioni, amministrazioni, ecc.), non
solo per scambiarsi buone pratiche e criticità, ma anche e soprattutto
per creare via via un nuovo soggetto collettivo e plurale in grado, un
giorno, di interfacciarsi in maniera efficace con i governi nazionali e
con l’UE su temi cruciali, a partire dalle politiche delle migrazioni e
da quelle di bilancio. E chissà che questa nostra nuova fase non possa
servire da aiuto e da stimolo anche per altre esperienze, alle prese con
il momento difficile dell’elezione per la riconferma o, ad ogni modo,
con il bisogno di aprire nuovi percorsi politici.
Insomma, Cambiamo Messina dal Basso ed il nuovo municipalismo
messinese sono ancora lì, così come tutte le istanze di cui in questi
anni ci siamo fatti portatrici e portatori. C’è un mondo oltre il
municipio e ci apprestiamo ad esplorarlo nella sua interezza, con occhi e
capacità diverse, ma con gli stessi obiettivi e la stessa
determinazione di sempre.
* Attivista di Cambiamo Messina dal Basso ed ex Assessore alla Cultura nella Giunta Accorinti
(12 settembre 2018)
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