Economia nazionale ridotta di almeno il 25%, oltre il 30% della popolazione ridotta in povertà, mezzo milione (secondo le stime più ottimistiche) di giovani greci dai 20 ai trenta anni costretti ad emigrare per provare a garantirsi un futuro. Sanità pubblica devastata, previdenza ridotta ai minimi termini. Una popolazione stremata dalle politiche di austerity imposte da Unione Europea, Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale, la cosidetta “troika” che ha portato Atene ad una condizione che sembra più da dopoguerra, che da “uscita dalla crisi”.
Due giorni fa, commentando la situazione attuale del paese ellenico, Jeroen Dijsselbloem – ex presidente dell’Eurogruppo e tra i più feroci sostenitori delle politiche di austerity – ha dichiarato quanto segue: “Sulle riforme, abbiamo chiesto molto, troppo, al popolo greco”.
Ma veramente? Ma che sorpresa…
No, non c’è posto nemmeno per l’ironia, di fronte ad una simile ipocrita e vergognosa affermazione.
Lo avevano detto alcuni economisti (Krugman e Stiglitz tra gli altri, tra il 2014 ed il 2015); lo avevano ammesso Christine Lagard, capo del FMI ed un report dello stesso FMI nel 2016.
Lo esclamavano i dati, che indicavano come l’economia greca stesse scivolando in una recessione peggiore di quella da cui le misure di austerity avrebbero voluto salvarla.
Lo urlava la situazione reale, con pensioni dimezzate nella migliore delle ipotesi, tasse innalzate esponenzialmente, servizi sociali azzerati, disoccupazione in aumento, tassi di povertà in crescita.
Lo gridava anche il popolo greco, che coraggiosamente, e a grande maggioranza, aveva espresso il suo NO a queste politiche di devastazione, in un referendum tradito e rinnegato da Alexi Tsipras.
Niente.
Dopo aver portato allo stremo una nazione, che chissà se e quando si riprenderà – alle regole del gioco attuali appare veramente difficile – ora ingenuamente e con toni empatici uno dei fautori di questo scempio ammette “abbiamo esagerato”.
La dichiarazione, riportata tra gli altri da Il Sole 24 Ore (leggi qui), è sfuggita dalla bocca di Dijsselbloem nel corso di una trasmissione televisiva olandese.
Dijsselbloem, quello che precedentemente aveva descritto i popoli dell’Europa Meridionale (quindi anche noi “itagliani”, ndr) come dissipatori dediti al vizio: “Non puoi spendere tutti i soldi in alcol e donne e poi chiedere aiuto”.
Una dichiarazione che sarebbe stata bene sulle labbra di qualche aristocratico inglese del ‘700, intento a redimere la città di Nassau dalla pirateria, non certo ad un politico socialdemocratico (fa ridere, lo so) che si stava esprimendo su politiche di uscita dalla crisi finanziaria più devastante della storia innescata dalle stesse dinamiche capitalistiche e neoliberiste di cui lui e quelli come lui sono strenui difensori.
Tra qualche giorno sarà il decimo anniversario del crack Lehman Brothers, che ha dato avvio all’apocalisse economica che viviamo quotidianamente.
Un interessante articolo su Linkiesta offre qualche spunto di riflessione (leggi qui): stipendi medi calati del 70%, aumento dell’indebitamento delle famiglie di oltre il 30%, diminuzione del reddito pro-capite che va dal 16 al 66%, a seconda delle condizioni sociali di riferimento. Sono dati riferiti agli Stati Uniti, un paese comunque attualmente messo meglio, ad esempio, dell’Italia.
In questo lasso di tempo le banche centrali hanno pompato liquidità in modo abnorme, si parla di trilioni di dollari, senza di fatto risolvere quasi nulla (anche perché la maggioranza di quel danaro è finito alle banche ed agli istituti di credito, magari per salvare situazioni disperate dovute all’utilizzo spregiudicato di titoli ad alto rischio o proprio tossici).
Una crisi di sistema, un collasso del capitalismo a cui nessuno ha voluto e saputo porre rimedio, anche perché gli interessi forti di chi di fatto governa le scelte nel mondo lo vogliono, il capitalismo. Magari con poche regole, che è esattamente lo scenario che ha portato al crack del 2008.
Ma che problema c’è, tanto a rimetterci sono quelli che contano di meno, che sono tanti, sono la maggioranza, e che essendo tanti possono statisticamente subire la devastazione sociale imposta dalle scelte miopi ed egoiste di pochi.
Questa è la storia, non c’è altro modo di leggerla. E – ingenuamente, col ditino appoggiato sul labbro e l’espressione un po’ triste – a volte lo ammettono anche quelli che hanno contribuito a tutto questo.
Come Dijsselbloem. O come fece Tony Blair, che dopo aver contribuito alla devastazione dell’Iraq (con le bombe e i carri armati, in questo caso), anni dopo ammise “Ops, ci siamo sbagliati!”.
Che importa: alla fine morti, poveri, malati, disoccupati, pensionati alla fame, giovani senza prospettiva sono solo numeri.
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