1938-Diversi (al cinema dall’11 ottobre, su Sky Arte il 23 ottobre) non racconta solo come i 180 decreti razzisti – giorno dopo giorno – annullarono la cittadinanza degli ebrei. Ma fa un passo indietro, si fa una domanda in più: com’è stato possibile? Gli ebrei erano integrati da decenni nella società italiana. E’ stato un Savoia, Carlo Alberto, il bisnonno di Vittorio Emanuele III, a spalancare le porte dei ghetti, nel 1848, con lo statuto: tutti uguali davanti alla legge, c’era scritto. Da anni c’erano ebrei in Parlamento, al governo, nell’esercito. C’erano ebrei nel Partito nazionale fascista. Eppure gli italiani, in larghissima parte, non fiatarono.
Treves, attraverso la testimonianza privata di chi ancora può raccontare e alla narrazione più tecnica degli storici, sposta l’obiettivo all’opera lenta, subdola, venefica e studiata di progressiva emarginazione degli ebrei con la quale Mussolini “prepara” gli italiani. E’ un giornalista, conosce i meccanismi della comunicazione, è capace di utilizzare al meglio i nuovi media, il cinegiornale, la radio. “Sa come farsi ascoltare dall’opinione pubblica. Sa come farsi ubbidire senza diktat” dice dopo la proiezione dell’anteprima a Milano Michele Sarfatti, uno degli storici intervistati nel docu-film. Il fascismo, dopo aver annientato i giornali di opposizione, racconta la sua verità calata dall’alto: “E’ il regime, è il pensiero, è il capo che dice agli italiani: ora in Italia si pensa così” aggiunge Sarfatti. Libro e moschetto, il veleno della discriminazione viene iniettato fin da scuola: gli italiani – un popolo in larga parte analfabeta – vengono descritti come superiori.
D’altra parte Mussolini, che ha raccolto tutti i mal di pancia del primo Dopoguerra e li ha trasformati in consenso, “vede ogni devianza sociale come un pericolo” spiega nel film lo storico Alberto Cavaglion. Gli italiani, invece, sono superiori a tutto, devono esserlo: il fascismo conquista l’Etiopia soverchiando i “negri” anche con le armi chimiche. Poi, un anno dopo, sarà la guerra di Spagna al fianco di Franco e contro socialisti e comunisti. “Quando finirà la Spagna, inventerò qualcosa d’altro – disse Mussolini al ministro-genero Galeazzo Ciano – Il carattere degli italiani si deve creare nel combattimento”.
Si inventerà gli ebrei. La trasformazione dell’ebreo in bersaglio perfetto, in è progressiva. Ben prima delle leggi anti-ebraiche i giornali – controllati dal regime fino alle virgole – cominciano a riempirsi di episodi di cronaca nera che hanno come protagonisti gli ebrei e di vignette in cui vengono stilizzati i presunti caratteri fisici comuni, il naso aquilino e tutto il resto. Nell’agosto 1938 viene avviato il censimento degli ebrei, al Viminale nasce l’istituto della Demorazza. “Il razzismo era un ingrediente costitutivo del fascismo proprio perché il fascismo era ideologia della sopraffazione dell’uomo sull’uomo” dice lo storico Sergio Luzzatto nel film. Secondo alcuni storici, Mussolini trova terreno fertile nell’antisemitismo di parte degli italiani (analogo a quello degli europei, in quel periodo). Ma, puntualizza Luzzatto, è l’incessante azione della macchina di propaganda a far diventare quello degli ebrei il problema da affrontare, l’emergenza.
1938 Diversi_Clip 3 from Tangram Film on Vimeo.
Finché gli ebrei diventano i nemici della patria. Le spie. I traditori. Il capro espiatorio. La reazione degli ebrei è lo sgomento, “proporzionale – aggiunge Luzzatto – a quanto erano stati fascisti”. E tutto intorno, silenzio: i bambini venivano allontanati dalle scuole, i grandi sbattuti fuori dagli istituti pubblici e privati, licenziati, scacciati, lasciati lontani perfino dalle spiagge. Gli altri italiani, semmai, corsero a prendere le cattedre lasciate vuote dagli ebrei espulsi o approfittarono in modo bieco del fatto che gli ebrei dovessero svendere le proprie attività, che non potevano tenere per legge. Le voci di dissenso furono isolate: Benedetto Croce, Arturo Toscanini, Ernesta Bittanti, la moglie di Cesare Battisti. Per il resto tutto quello che successe è che “l’indifferenza diventò complicità” sottolinea Luzzatto.
Saper usare la comunicazione, additare il diverso, indicare una minoranza come causa dei mali, l’indifferenza intorno. Suona già così sentito, familiare, quotidiano. Eppure – racconta Carolina Levi (produttrice con la Tangram Film) – l’idea di realizzare un’opera come 1938-Diversi, è nata cinque anni fa, quando la questione dell’immigrazione, l’uso strumentale che ne fa la politica, le stragi che interrogano sempre meno coscienze e le controversie per un’integrazione possibile venivano ancora dopo le urgenze della crisi economica, dei senza lavoro, della corruzione dello Stato e dei suoi rappresentanti. Ma questo film non è una profezia né un pretesto per parlare di attualità, assicura il regista, Giorgio Treves, nato negli Stati Uniti perché la famiglia (ebrea) ebbe la sorte di prendere l’ultima nave in partenza dall’Italia. “Non ho mai avuto l’intenzione di demonizzare i possibili colpevoli di oggi – spiega – Solo di trasmettere il messaggio di stare all’erta. Il film è nato quando non c’erano ancora manifestazioni di certe idee in Italia: c’erano solo in Germania o nell’Est Europa. Ma quando sento parlare dell’abrogazione della legge sulla tortura o di atteggiamenti discriminatori devo essere inquieto e vigile”. In sala, a Milano, ad assistere all’anteprima, tra gli altri c’è Aurelio Ascoli, 89 anni, che da bambino, alle elementari, come quelli nel film, fu buttato fuori dalla classe. Al termine della proiezione si alza dalla poltrona: “Oggi è il giorno più importante della mia vita. Perché questa storia non deve andare dimenticata”.
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