mercoledì 5 settembre 2018

"La sinistra dica addio al liberismo una volta per tutte".

"Solo un cambio di rotta radicale può dar vita all’unità tra i deboli". La lettera di un economista su un possibile programma di una forza progressista unita.

La sinistra dica addio al liberismo una volta per tutte Caro Damilano,
seguo con interesse le iniziative di mobilitazione promosse dall’Espresso contro l’onda di xenofobia che qui e altrove si fa ogni giorno più minacciosa. In particolare ho apprezzato l a copertina intitolata “Uomini e no” , che questa estate ha fatto molto discutere. In quella scelta editoriale mi è parso di aver colto un tentativo di tracciare, come avrebbe detto Althusser, una “linea di demarcazione”.

Da un lato della linea potremmo collocare i professionisti della mistificazione, costruita ad arte per dividere e imperare: oggi imboniscono i lavoratori nativi con la favola nera secondo cui i loro guai deriverebbero dall’invasione degli immigrati, esattamente come ieri imbrogliavano i giovani precari sostenendo che la causa di ogni male provenisse dai cosiddetti “privilegi” dei vecchi lavoratori “protetti”. Dall’altro lato della linea, invece, dovremmo trovare coloro che non si lasciano sedurre da simili falsificazioni della realtà e che pertanto, almeno in linea di principio, potrebbero aderire all’appello di quella vostra bella copertina: “all’unità 
dei più deboli”.


“Uomini e no” ha tracciato questa linea, ed è per questo diventata un embrione di programma politico che ha attirato l’interesse di molti. Io però vi chiedo: unità per fare cosa? Questa domanda appare ancora sospesa per aria.

Da settimane tu citi gruppi, realtà associative, anche singoli nomi, più o meno convincenti. Ma il problema principale mi sembra un altro: oggi più che mai, il “chi fa” può scaturire solo da un chiarimento 
sul “che fare”.

Il motivo è che le vecchie certezze sui contenuti sono crollate. Per citare qualche esempio, la Banca Mondiale ha riconosciuto che non esistono conferme empiriche della tesi secondo cui la flessibilità del lavoro crea occupazione e sviluppo; l’Ocse ha ammesso che le imprese private non risultano necessariamente più efficienti delle imprese a partecipazione pubblica; e il Fmi si è spinto a dichiarare che i mercati finanziari, lasciati a se stessi, possono generare gravi episodi di instabilità macroeconomica e che pertanto sarebbe opportuno ragionare sul ripristino di controlli sui movimenti internazionali di capitali. Insomma, pur tra reticenze e contraddizioni, persino i più influenti e celebrati apologeti mondiali del liberismo oggi riconoscono l’esistenza di voragini tra le magnifiche sorti progressive che avevano annunciato e i reali effetti delle politiche che essi hanno lungamente propugnato.

Ti domando: siamo certi che tra i gruppi, le associazioni e i nomi che tu citi, vi sia diffusa consapevolezza e soprattutto volontà politica di confrontarsi su questi rilevantissimi cambiamenti globali di prospettiva? Esistono cioè le condizioni per avviare anche in Italia una critica di quel “liberismo di sinistra” che per oltre un ventennio ha imperversato e fatto danni, in termini economici e di consenso politico?

Per citare uno dei nodi concreti da sciogliere, sono maturi i tempi per provare a contrastare la viscerale proposta della destra reazionaria di “arrestare gli immigrati” con la proposta alternativa, razionale e progressista, 
di “arrestare i capitali” che oggi liberamente scorrazzano da un angolo all’altro del mondo a caccia di tasse risibili sui ricchi, assenza di tutele del lavoro e alti profitti?

Occorre verificare questi punti, se ci si vuol davvero situare dal lato della “unità dei più deboli”. E ho la sensazione che in materia, dalle nostre parti, ci 
si trovi ancora al tempo zero.

Beninteso, mettere simili temi nell’agenda politica non è cosa agevole. In un dibattito che tenemmo qualche tempo fa all’Università di Bologna, Romano Prodi sostenne di condividere pienamente la proposta su cui con molti altri insisto da anni, di reintrodurre forme di controllo delle scorribande internazionali dei capitali. Ne fui lieto, ma feci notare che questo consenso il professore lo manifesta solo adesso, nel ruolo di illustre ma semplice osservatore del mondo.

Il problema è questo. Certe idee illuminate restano nel pour parler delle aule universitarie, mentre nell’arena politica si contendono violentemente il campo solo due visioni del mondo: un vecchio dogmatismo liberista duro a morire e una nuova reazione oscurantista destinata a intensificarsi. Con molte probabilità 
di trovarci, in breve tempo, dinanzi a una mostruosa sintesi 
tra l’uno e l’altra.

In questo angusto scenario, senza una dirompente discussione sugli errori commessi in passato e sull’odierno “che fare”, temo non vi sarà alcuno spazio per l’agognata unità dei deboli. Da questi la sinistra sarà sempre più spesso apostrofata come “sinistra spritz”, il denigratorio epiteto elitista che ha fatto di tutto in questi anni per meritarsi. E il rischio, in prospettiva, è che quell’epiteto si tramuti in un ancor più infamante “sinistra spread”: che ormai incapace di contrastare sul terreno politico l’avanzata delle destre reazionarie, si rifugia nell’ottusa speranza che prima o poi ci pensino i mercati a spazzarle via.

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