Con la circolare del 1 settembre il Viminale di Matteo Salvini ha riaperto la stagione di sgomberi per le occupazioni che
era stata avviata dal precedente ministro Marco Minniti con il decreto
sulla sicurezza urbana. Dopo i migranti, il ministro dell’Interno ha
aspettato la fine della pausa estiva per inaugurare un nuovo capitolo
della guerra che il governo gialloverde sta combattendo contro i più
poveri: quella ai senza casa.
numeripari.org
Un capitolo dettato dall’esigenza di dare risposte alla “proprietà privata”,
portato avanti con un provvedimento spregiudicato, che ha messo in
secondo piano quell’argine del “prima le alternative poi gli sgomberi”
che era stato introdotto un anno fa con un’altra circolare intervenuta
dopo il disastro sociale e di ordine pubblico generato dagli sgomberi
romani dell’agosto del 2017.
Pensare però che questo documento abbia impresso solo il
marchio del leader leghista sarebbe un errore. La circolare porta anche
una firma a Cinque Stelle. E non solo perché, in molte delle
sue parti, sembra esser stata scritta su misura per aiutare Virginia
Raggi a uscire dall’empasse politico e pratico in cui è stata spinta
dalla circolare Minniti: costruire alternative agli illegali-occupanti o
bloccare gli sgomberi. La circolare rischia di assumere e
sistematizzare anche il cuore della mutazione genetica delle politiche
abitative dell’amministrazione a Cinque Stelle in tema di occupazioni e
sgomberi: l’impiego della ‘fragilità’ quale categoria strutturale dell’azione amministrativa in tema di assistenza alloggiativa.
Non è chiaro cosa il ministro intenda per fragilità e se sia
possibile mantenere la definizione di “famiglie in situazioni di disagio
economico e sociale”. Conosciamo già però l’uso che la Capitale
d’Italia ne ha fatto. La parola ‘fragilità’ è comparsa con la
leggerezza di una trovata dettata dall’emergenza dopo gli sgomberi
dell’agosto del 2017, quelli di via Quintavalle prima e di via Curtatone
qualche giorno dopo, che lasciarono per strada centinaia di persone.
Per quanti non hanno seguito da vicino quegli accadimenti può sembrare
un fatto marginale ma da allora la ‘fragilità’ è diventata il pilastro
dell’approccio delle istituzioni capitoline verso le occupazioni. Un
alibi per non dover sostenere la parte di chi sgombera completamente
senza alternative. Un parametro che ha da un lato progressivamente
eliminato la povertà, e tutti i diritti ad essa connessi, trascinando le
occupazioni fuori dal ragionamento sul disagio abitativo per motivi
reddituali e dentro una nuova spirale di assistenzialismo, dall’altro ha
permesso di costituire un fortissimo strumento di governance della
repressione di uno degli ultimi focolai di dissenso. Un meccanismo per
dividere e criminalizzare i movimenti.
La ‘fragilità’ è una categoria mutuata dalle politiche
nazionali sanitarie assistenziali, che assumono su di sé il compito di
farsi carico delle persone “con maggiori vulnerabilità”. Nelle
politiche sociali e abitative capitoline si riferisce a tutti coloro
che, oltre a vivere in uno stato di indigenza economica, quindi a non
avere un reddito sufficiente a provvedere autonomamente al proprio
sostentamento, sono anche soggetti ritenuti più “vulnerabili”: donne con
bambini o in gravidanza, anziani, malati, disabili. Persone che, per
capirci meglio, farebbero più fatica a sopravvivere per strada.
I primi a sperimentare la ‘politica della fragilità’ sono stati gli sgomberati di via Quintavalle e di via Curtatone. In
quell’occasione venne prospettata una soluzione solo a donne con
bambini e anziani. Non in un appartamento, ma in dormitori o in case
famiglia non accessibili a padri e mariti. Rifiutarono in massa e chi
accettò fu costretto a subire pesanti conseguenze sull’autonomia della
propria vita quotidiana. Non a caso nella circolare si legge che gli
interventi messi in campo dai comuni “non potranno essere ritenuti
negoziabili”.
Da un anno a questa parte, queste soluzioni residuali sono finite al
centro dell’operato dell’amministrazione Raggi e dal 1 settembre
sembrano essere state assimilate quale strumento utile anche dal
ministero dell’Interno. Si legge nella circolare: solo “i soggetti in
situazioni di fragilità” per i quali è stata accertata l’impossibilità
“di soddisfare, autonomamente o attraverso il sostegno dei parenti, le
prioritarie esigenze conseguenti alla loro condizione, i Servizi sociali
del Comune dovranno attivare specifici interventi. […] Per tutti gli
altri occupanti che non si trovano in condizioni di fragilità potrà
essere ritenuta sufficiente l’assunzione di forme più generali di
assistenza” come “strutture provvisorie di accoglienza” dove collocare
gli occupanti “per il tempo strettamente necessario all’individuazione
da parte loro di soluzioni alloggiative alternative”.
La ‘fragilità’ si è nei mesi rivelata una categoria
utilissima quale strumento di governance della repressione. La
‘fragilità’ è divisiva: separa gli illegali giustificabili dagli
ingiustificabili. E anche a quest’ultimi riserva ‘soluzioni’
che annichiliscono autonomia e indipendenza nelle scelte relative alla
propria vita quotidiana. La ‘fragilità’ cancella la sola povertà alla
base della necessità di occupare, criminalizza quanti, senza figli o
malattie, hanno deciso di non pesare, come scrive il Viminale, “sulla
rete parentale” per costruirsi una vita dignitosa e indipendente. Gli
sgomberati di via Quintavalle hanno resistito per sette mesi nelle tende
in piazza Santi Apostoli, al freddo, sotto l’acqua. L’amministrazione a
Cinque Stelle, in questi sette mesi, ha riproposto sempre e solo
l’assistenza alle fragilità, in un braccio di ferro in cui
mediaticamente è stato facile far ricadere la ‘colpa’ sulle famiglie.
Perché non stiamo parlando solo di ‘poveri’. Nelle occupazioni si sono formate vere e proprie comunità meticce, solidali, unite non
solo dall’impossibilità economica di un accesso a una casa ma anche da
una simile visione della città e del suo essere abitata. Le occupazioni
non solo sottraggono materialmente spazi alla rendita urbana, ma sono
anche uno dei motori principali di costruzione di un ragionamento che
mette in luce le drammatiche conseguenze delle politiche che la
favoriscono. Tra le occupazioni figurano anche una serie di spazi
sociali.
Il Viminale lo sa bene e la circolare, pur essendo uno
strumento ‘tecnico’ riservato ai prefetti, è intrisa di una forte
valenza politica. Il testo riprende le condanne a carico del
ministero per mancato sgombero avanzate dai proprietari degli immobili
occupati e fa proprio questo pensiero: “L’occupazione abusiva non lede i
soli interessi della parte proprietaria, ma lede anche il generale
interesse dei consociati alla convivenza ordinata e pacifica e assume
un’inequivoca valenza eversiva”.
In questo quadro la ‘teoria della fragilità’ è stata funzionale per costruire un preciso disegno politico. Il
motivo è semplice: l’amministrazione Raggi non ha mai riconosciuto che
le migliaia di persone che hanno occupato interi palazzi abbandonati lo
abbiano fatto per necessità di natura economica. E così non si è mai
assunta la responsabilità di dare le risposte che competono ad
un’amministrazione pubblica in questi casi.
Non va dimenticato che la linea del Campidoglio è stata assunta in un
momento in cui, dopo anni di crescente disagio abitativo aggravato
dalla crisi, una delibera regionale stava andando nella direzione
opposta stanziando circa 200 milioni di euro per reperire alloggi, anche
attraverso percorsi di autorecupero, da destinare non solo alle liste
d’attesa per l’assegnazione delle case popolari ma anche per tracciare
una via d’uscita al nodo irrisolto delle occupazioni. L’amministrazione
Raggi si è sempre opposta con forza a questa eventualità. “Le
occupazioni abusive rappresentano un grave danno per i cittadini. E chi
occupa abusivamente le case, che siano del Comune o di privati, non può
trovare alcuna giustificazione per il suo operato”, le parole
dell’assessora alle Politiche Abitative Rosalba Castiglione.
Su più fronti, non solo quello delle occupazioni, il governo
di Virginia Raggi è da mesi orientato a restringere il campo degli
aventi diritto. Esperti di comunicazione sul web quali sono i
Cinque Stelle hanno abbandonato la complessità dell’abitare in una città
come la Capitale d’Italia per assumere l’unico parametro, semplice e
chiaro, a prova di ogni post sui social, in grado di misurare i
progressi dell’azione amministrativa: la lista di assegnazione delle
case popolari. Una piaga storica per Roma, che conta oltre 11 mila
famiglie in attesa, alcune da molti anni. Così è nata la guerra
mediatica agli “scrocconi”, con l’annuncio di 9 mila sgomberi nelle case
popolari occupate, senza alcun distinguo all’interno di un patrimonio
mal gestito per anni. Così su 1200 famiglie che abitano nei residence,
600 sono state escluse dal bando per la nuova assistenza, molti dei
quali per motivi come non aver presentato il permesso di soggiorno pur
essendo cittadini italiani o non aver tracciato una ‘x’ sul modulo,
limitandosi a compilare la parte equivalente. L’assessora alle politiche
abitative non ha mai pronunciato nemmeno la parola “sfratti” (se non
come mandante) nonostante ogni settimana nel 2017 siano stati costretti a
uscire con la forza pubblica dalle proprie case 56 famiglie. Dal
Campidoglio non lo dicono mai, ma anche la maggior parte delle circa 7
mila famiglie che vivono nella sessantina di occupazioni della Capitale
sono in lista per l’assegnazione di una casa popolare. Da anni.
Virginia Raggi, in particolare grazie all’operato della sua
assessora Rosalba Castiglione, non ha costruito alcuna politica
abitativa strutturale e si è rifiutata con ostinazione, pur
avendone a sua disposizione mezzi e finanziamenti, di incardinare la
‘questione occupazioni’ all’interno dello scenario del disagio abitativo
cittadino. Prediligendo il pugno duro legalitario, ben più appagante in
termini di consenso, l’amministrazione ha costruito il fallimento della
circolare del “prima le alternative poi gli sgomberi” aprendo la strada
allo scenario odierno. Le parole di Luigi Di Maio all’indomani dello
sgombero di piazza Indipendenza, che aveva portato Roma sui giornali
internazionali, sono indimenticabili: “Allucinante che faccia più
notizia una frase infelice di un agente che i lanci dei rifugiati contro
la polizia”. E ancora, in uno slancio da prove di dialogo con la pancia
leghista: Raggi “deve pensare prima ai romani”.
Con il provvedimento, Salvini sembra aver osservato il
‘laboratorio Roma’ ma anche aver scommesso su un’amministrazione
compiacente che potrebbe trasformarsi in una vetrina per
dimostrazioni di forza sul campo dell’ordine pubblico e della legalità.
Allo stesso tempo, proprio come accadde con lo sgombero del campo rom
Camping River, la Capitale per il ministro leghista potrebbe diventare
terreno di contesa di consenso con l’alleato di governo. Con il
vantaggio, tutto a favore di Salvini, che spetterà alla sindaca Raggi,
così come a tutti gli altri primi cittadini dei comuni d’Italia, l’arduo
compito di gestire una situazione difficile, tra censimenti e
alternative.
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giovedì 6 settembre 2018
Diritto alla casa & Sgomberi. Manganelli e fragilità. Contro le occupazioni la repressione “Salvini & Raggi”
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