Mario Draghi, Presidente della Bce, è stato l’artefice –non solo principale, ma addirittura unico, in quanto agendo anche in contrasto con la Germania ed i falchi europei- del “Quantitative easing” vale a dire l’acquisto in massa, da parte della stessa Bce, di titoli del debito pubblico degli Stati deboli, che oramai è alla fine.
...Il “Quantitative easing” è una misura contingente di rimedio, senza che si rimuovano –ed anzi senza che si tenti di rimuovere - le cause...
circolodegliscipioni.org Francesco Bochicchio
Alla luce
dell’importanza del provvedimento in esame, decisivo per le sorti
dell’Europa, e del sorgere di un dibattito acceso ed esteso sulle
conseguenze, lo stesso Draghi ha opportunamente, se non addirittura
doverosamente, ritenuto di assicurare che non vi saranno conseguenze
negative e che non vi sarà deflazione.
Draghi è una persona saggia ed accorta ed ha le buone ragioni per
affermare ciò: ma è doveroso constatare che mancano le basi per le sue
affermazioni, “rectius” manca qualsivoglia base di natura oggettiva.
A scanso di equivoci, è da precisare subito che il punto è delicato,
ma non decisivo: il “Quantitative easing”è stato uno strumento
essenziale per puntellare il debito pubblico degli Stati deboli e per
sottrarli alle speculazioni delle grandi banche d’affari internazionali,
altrimenti in grado di gestire ed anzi governare tali debiti pubblici
mediante il dominio esercitato alle aste di collocamento di tali titoli.
Venuto meno il puntello, vi devono essere altri strumenti di
salvaguardia ed altri rimedi. Qui scatta la saggezza di Draghi e
pertanto lo scrivente è al riguardo sufficientemente –il che non è una
presa di distanza, in materia economica e finanziaria una certezza,
anche solo di massima, non vi è ed impossibile andare oltre la
ragionevolezza- tranquillo.
Il vero punto è un altro: il “Quantitative easing” è una misura
caratterizzata da contingenza di mero salvataggio; non si è trasformato
in un rilancio dell’economia in quanto si è limitato al sostegno del
debito pubblico senza riqualificarlo e senza farlo diventare fattore
decisivo del’economia, vale a dire senza utilizzare la spesa pubblica
per una politica economica e per il “welfare”. Il debito pubblico è
esploso in Italia, dall’81, vale a dire dalla sciagurata separazione tra
Tesoro e Bankitalia, a fronte di una riduzione della spesa sociale,
diventata tra le più basse in Europa. La spesa pubblica si è trasformata
da spesa sociale in spesa per interessi. La politica economica è così
finita in mano alla grandi banche d’affari internazionali arbitre della
sottoscrizione dei titoli pubblici.
Il “Quantitative easing” è una misura contingente di rimedio, senza
che si rimuovano –ed anzi senza che si tenti di rimuovere- le cause.
Il problema vero non è pertanto quello che succederà con la sua
fine, visto che da un lato esso non risolve la problematica e che
dall’altro misure alternative di rimedio contingente potranno essere
individuate.
Il punto vero è che il “Quantitative easing”, nonostante le
generalizzate contrarie affermazioni, non è una forma di politica della
domanda ma lo è dell’offerta in quanto non si pone in autonomia rispetto
al mercato ed alla linea delle imprese, le quali dettano l’offerta.
Draghi sembra essere consapevole di ciò, ma evidenzia che con il
“Quantitative easing” ed anche la riforma liberista del mercato del
lavoro (“job act”) si sono creati tantissimi posti di lavoro
Si crea così un’indebita commistioni di piani tra effetti positivi
per l’economia e loro stabilità ed effettività: la riforma liberista del
mercato del lavoro (“Job act”), intrinsecamente esiziale, è stata
fallimentare e non ha creato alcun posto di lavoro se non di mera
regolarizzazione di precari e solo per ragioni contingenti di benefici
fiscali, mentre il “Quantitative easing” ha iniettato nell’economia
mezzi finanziari importanti senza finalizzazione e soprattutto senza
incisione sulla ragione dei fattori negativi, che non vengono rimossi.
E’ una misura non solo congiunturale ma anche di mera copertura di
buchi.
Il vero nodo è perché non si fa una effettiva politica della domanda
in Italia (ma stesso discorso riguarda l’Europa ed anzi l’Occidente
“tout court”: la risposta è piana ed univoca ed anzi elementare, il nodo
è non di tecnica economica, ma di economia politica, in quanto il
liberismo ed il capitale finanziario si oppongono a ciò.
Ma una politica della domanda richiede un progetto unitario e
sistematico che la sinistra riformista antiliberista ben si guarda dal
prospettare: vi sono, evidentemente, nodi tecnici non facilmente
risolvibili. Occorre gestire il debito pubblico, dagli importi abnormi
–non ci si può dondolare dolcemente sull’illusione che una politica di
sviluppo risolva il problema-, ma proprio alla luce di tali importi
abnormi occorre una strategia basata su misure eccezionali ed
espropriative a carico dei ceti ricchi, in particolare di quelli legati
al capitale finanziario e che hanno formato le loro abnormi ricchezze in
modo palesemente illecito.
Ma il capitale finanziario, che domina
economia, società e politica, non accetterà mai tali misure e pertanto
una corretta strategia basata su un insieme coordinato e sistematico di
misure, con un progetto completo, deve avere la forza di imporsi e di
basarsi su una autorità e così sulla sovranità interna piena, non
autoreferenziale come per i c.d “sovranisti”, ma incentrata
sull’emancipazione sociale e sulla democratizzazione totale a propria
volta ruotante intorno al costituzionalismo ed alla sovranità popolare.
Per inciso, si dimostra così che il problema dell’autorità non può
essere trascurato dal pensiero socialista.
M si dimostra altresì, sempre per inciso, che la critica di Lucio
Colletti a Marx di ambiguità sul piano dell’economia politica non è
fondata o meglio è del tutto parziale: la costruzione di Marx si
basava a propria volta sulla critica non tanto dell’economia politica
borghese, quanto piuttosto dell’economia politica “tout court”, in
un’ottica che Colletti valutava quale non scientifica sul piano
economico. Ebbene è da replicare che è stato proprio il capitale a
rendere l’economia politica priva di basi tecniche effettive: la
soluzione non può essere trovata pertanto esclusivamente sul piano
proprio dell’economia politica. D’altro canto aveva torto lo stesso Marx
quando pensava che con la fuoruscita dal capitale non vi sarebbe più
stata necessità di un’economia politica, in quanto vi era e vi è tuttora
la necessità di elaborare un’economia politica alternativa, senza la
quale tale fuoriuscita è meramente illusoria.
Chiusi gli incisi, Draghi è il personaggio di maggior spessore oggi
in Europa e non si discute: in molti vedono in lui l’unica persona
capace di salvare l’Italia come futuro “Premier”: ma se non mette in
discussione il liberismo ed il capitale finanziario, egli sarà
ricordato, non tanto per i grandi risultati comunque ottenuti, quanto
piuttosto solo per la geniale interpretazione, da lui offerta in uno
scenario serio, delle celebre canzone di Lucio Battisti “Io vorrei, non
vorrei, ma se vuoi”.
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