giovedì 22 marzo 2018

Uno stop ai diktat europei. Due proposte di legge su cui mobilitarsi.

Sabato prossimo a Bologna, la Piattaforma Eurostop discuterà intorno a due proposte di legge che possono determinare l’agenda politica dei prossimi mesi.

La prima è la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare che chiede le “Modifiche agli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione, concernenti l’equilibrio di bilancio (il principio del “pareggio di bilancio”), al fine di salvaguardare i diritti fondamentali della persona”, più nota come proposta per abrogare la formulazione dell’art.81 nella Costituzione imposta nel 2012 dal governo Monti/Fornero su diktat della lettera della Bce di Draghi e Trichet dell’agosto 2011.

La seconda è la “Proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per l’indizione di un referendum di indirizzo sull’uscita dell’Italia dall’Unione Europea”. In pratica chiede una legge che consenta un referendum sulla prosecuzione o meno dell’adesione dell’Italia ai Trattati dell’Unione Europea, inclusi i più recenti come il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla  governance nell’Unione economica e monetaria (cosiddetto Fiscal Compact) e il Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (MES).

Per entrambe le leggi servono almeno 50.000 firme per essere consegnate al Parlamento e richiederne la discussione – possibilmente anche l’approvazione – in aula. Il dato interessante è che le leggi di iniziativa popolare, una volta spesso lasciate marcire negli archivi della Camera o del Senato, adesso vanno obbligatoriamente discusse entro tre mesi.
Sulla prima proposta, già depositata in Cassazione il 4 dicembre del 2017 in occasione dell’anniversario della vittoria sul referendum controcostituzionale, si è costituita un’ampia coalizione di forze politiche, sociali, sindacali e di giuristi che ha avviato la raccolta di firme. In realtà ancora poche. In mezzo c’è stata la campagna elettorale e, da quanto sembra, solo Potere al Popolo ha avuto la sensibilità e la coerenza di raccogliere le firme nei mesi scorsi, spesso insieme alla Legge di iniziativa popolare contro la Buona Scuola. La tematica della campagna sull’art.81 è apparentemente ostica e di non facile comprensione per i non addetti ai lavori. Ma era così anche per il referendum sulla controriforma costituzionale di Renzi, solo l’aver declinato la campagna sul NO sociale, ha consentito di estendere la mobilitazione e il coinvolgimento popolare che ha sconfitto il disegno reazionario del governo il 4 dicembre del 2016.
La seconda proposta di legge, quella per il referendum sull’Unione Europea, verrà discussa sabato a Bologna e presentata nelle prossime settimane in Cassazione – al momento solo da Eurostop ma il fronte potrebbe allargarsi– e da quel momento ci saranno sei mesi per la raccolta delle 50mila firme.
Questa proposta di legge indubbiamente più chiara e diretta, per ora incontra riluttanze ed entusiasmi. Riluttanze nella “sinistra” e tra molti costituzionalisti, entusiasmi in realtà sociali/sindacali e in settori politici che hanno ormai maturato l’idea che sulla rottura con l’Unione Europea si possa seriamente costruire un movimento popolare, di classe e democratico capace declinare questa battaglia con un segno fortemente progressista e internazionalista.
Diversi costituzionalisti sostengono che questa proposta di legge abbia un obiettivo non raggiungibile. I paletti della Costituzione – l’art.75 – negano infatti che in materia di trattati internazionali e leggi di bilancio si possano fare i referendum. I promotori della legge di iniziativa popolare, tra cui Franco Russo che l’ha materialmente redatta, si fanno invece forza della mutata situazione politica, della legge esistente e del precedente del referendum del 1989 sull’affidamento di poteri costituenti al Parlamento Europeo: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1989/04/24/089A1761/sg
Probabilmente i legislatori del 1989, ritenevano che l’euroentusiasmo della società italiana potesse essere perpetuo e inamovibile e non calcolarono gli effetti futuri di quella legge. In effetti quel referendum del 1989 fu un plebiscito europeista sostenuto da tutti i partiti presenti in Parlamento, un po’ come le leggi del governo Monti su cui oggi si piange e ci si straccia i capelli dopo averle votate nel 2012.
Ma i tempi cambiano e la realtà chiarisce come stanno le cose. Di fronte a 25 anni di tagli, austerity, privatizzazioni, liquidazione dei diritti sociali e dei lavoratori imposti dal “vincolo esterno” – i trattati dell’Unione Europea – una parte crescente della società italiana ha cominciato a fare il calcolo tra costi e benefici dell’adesione all’Eurozona e all’Unione Europea, ed è arrivata alla conclusione che il costo sociale è diventato insopportabile. A favore di questa battaglia intorno alla proposta di legge che consenta il referendum sull’uscita dall’Unione Europea, giocano dunque due fattori:
1) L’aumento di tutti gli indicatori del disagio sociale (povertà, diminuzione della salute, boom dei working poors, diminuzione delle aspettative di vita e delle aspettative generali della società). E’ evidente come la principale causa di questo imbarbarimento delle condizioni sociali siano i diktat economici e di bilancio imposti dall’Unione Europea. Ma anche sul piano della sovranità democratica si assiste ormai al ricatto e all’ingerenza continua del cosiddetto “pilota automatico” europeo sulle scelte interne del paese, della sua vita democratica e sociale.
2) In secondo luogo, a meno che non si torni al voto, per i prossimi mesi e per la prima volta, alla Camera e al Senato non c’è più una maggioranza blindata “europeista”. E’ uno spazio di manovra interessante. E lo è anche, perché portare in Parlamento una legge che chiede esplicitamente che si possa fare un referendum sull’adesione all’Unione Europea, metterebbe le due forze che hanno vinto le elezioni (M5S e Lega) di fronte a se stesse e alle loro contraddizioni.
Si apre dunque una sfida interessante e a tutto campo. Di questo si discuterà sabato 24 marzo a Bologna e su questo la Piattaforma Eurostop intende discutere anche dentro Potere al Popolo, cercando di arrivare ad una azione condivisa ovunque sia possibile.

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