Le stime - Solo l’aumento graduale delle risorse può sciogliere il nodo coperture.
Come prevedibile si è riaccesa la polemica su quanto costa il reddito di cittadinanza
proposto dai Cinque Stelle (integrazione fino a 780 euro al mese per
una platea di beneficiari potenziali di 10 milioni di persone). Soltanto 15-17 miliardi come sostiene il neo eletto M5S Lorenzo Fioramonti? O 35-38 miliardi, secondo gli ultimi calcoli del presidente dell’Inps, Tito Boeri, resi noti ieri?
È un dibattito assurdo per una ragione semplice: che costi 15 o 38 miliardi, è impossibile costruire in pochi mesi un sussidio che raggiunga milioni di persone e, al contempo, riformare i centri per l’impiego così da renderli simili a quelli tedeschi, ripensare tutto il welfare italiano in modo da finanziare i nuovi sussidi tagliando quelli superati. I Cinque Stelle sono riusciti a imporre la lotta alla povertà in cima all’agenda della politica, missione compiuta, ora serve pragmatismo di governo.
Il reddito di cittadinanza non è altro che un potenziamento del Rei, il Reddito di inclusione costruito nei governi Letta-Renzi-Gentiloni e partito a dicembre 2017. La macchina si è messa in moto, secondo i dati diffusi ieri dall’Inps, i beneficiari di Rei e Sia (la versione precedente) sono 110.138 famiglie, 316.693 persone. Ognuna di queste famiglie dovrebbe essere seguita da assistenti sociali, servizi del Comune, se serve da medici, così da costruire percorsi personalizzati da abbinare al sostegno monetario (in media 297 euro al mese a persona).
La sfida ora è far funzionare questa misura (nessuno sa ancora, per esempio, se chi beneficia dell’aiuto riesce poi a uscire dalla povertà o si tratta solo di palliativi). In campagna elettorale i Cinque Stelle proponevano una cosa assurda: prendere i soldi del Rei e usarli per dare aiuti fiscali alle famiglie e poi ricostruire da zero il reddito di cittadinanza, buttando quattro anni di lavoro ed esperienze. Sembra che siano rinsaviti, per fortuna. Un governo che abbia come primo punto la lotta alla povertà ha davanti una traiettoria chiara e obbligata: aumentare le risorse per il Rei, assicurarsi che i controlli funzionino e che i soldi siano ben spesi e non buttati, potenziare tutti i servizi collaterali all’assegno (che è la parte facile), soprattutto quelli che riguardano la ricerca di un posto di lavoro.
Ci vorrà tempo, certo, ma chi ha contestato gli slogan vuoti di Renzi e Berlusconi non può replicarne gli errori. Bisogna individuare un percorso di rafforzamento del Rei che si basi su coperture credibili (strutturali, vere, non in deficit) e crescenti nel tempo che permettano assunzioni di personale e nuove prestazioni. Sono interventi che richiedono un paio di miliardi aggiuntivi ogni anno. Che poi ci si fermi a 15, 17 o 38 è secondario.
È un dibattito assurdo per una ragione semplice: che costi 15 o 38 miliardi, è impossibile costruire in pochi mesi un sussidio che raggiunga milioni di persone e, al contempo, riformare i centri per l’impiego così da renderli simili a quelli tedeschi, ripensare tutto il welfare italiano in modo da finanziare i nuovi sussidi tagliando quelli superati. I Cinque Stelle sono riusciti a imporre la lotta alla povertà in cima all’agenda della politica, missione compiuta, ora serve pragmatismo di governo.
Il reddito di cittadinanza non è altro che un potenziamento del Rei, il Reddito di inclusione costruito nei governi Letta-Renzi-Gentiloni e partito a dicembre 2017. La macchina si è messa in moto, secondo i dati diffusi ieri dall’Inps, i beneficiari di Rei e Sia (la versione precedente) sono 110.138 famiglie, 316.693 persone. Ognuna di queste famiglie dovrebbe essere seguita da assistenti sociali, servizi del Comune, se serve da medici, così da costruire percorsi personalizzati da abbinare al sostegno monetario (in media 297 euro al mese a persona).
La sfida ora è far funzionare questa misura (nessuno sa ancora, per esempio, se chi beneficia dell’aiuto riesce poi a uscire dalla povertà o si tratta solo di palliativi). In campagna elettorale i Cinque Stelle proponevano una cosa assurda: prendere i soldi del Rei e usarli per dare aiuti fiscali alle famiglie e poi ricostruire da zero il reddito di cittadinanza, buttando quattro anni di lavoro ed esperienze. Sembra che siano rinsaviti, per fortuna. Un governo che abbia come primo punto la lotta alla povertà ha davanti una traiettoria chiara e obbligata: aumentare le risorse per il Rei, assicurarsi che i controlli funzionino e che i soldi siano ben spesi e non buttati, potenziare tutti i servizi collaterali all’assegno (che è la parte facile), soprattutto quelli che riguardano la ricerca di un posto di lavoro.
Ci vorrà tempo, certo, ma chi ha contestato gli slogan vuoti di Renzi e Berlusconi non può replicarne gli errori. Bisogna individuare un percorso di rafforzamento del Rei che si basi su coperture credibili (strutturali, vere, non in deficit) e crescenti nel tempo che permettano assunzioni di personale e nuove prestazioni. Sono interventi che richiedono un paio di miliardi aggiuntivi ogni anno. Che poi ci si fermi a 15, 17 o 38 è secondario.
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