«I nostri
torturatori sono ai vertici della polizia, come possiamo chiedere
all’Egitto di consegnarci i loro torturatori? L’11 settembre 2001 e il
G8 hanno segnato una rottura nella tutela dei diritti internazionali.
Lo sforzo che chiediamo a un paese dittatoriale è uno sforzo che abbiamo
dimostrato di non saper far per vicende meno drammatiche». Queste
le dichiarazioni del sostituto procuratore di Genova Zucca,
nell’ambito di un dibattito sul caso Regeni. Frasi che da un paio di
giorni sono al centro dell’ennesima, faziosa, polemica sul g8 di Genova
dettata dall’intransigente rifiuto, ancora oggi dopo quasi vent’anni,
delle istituzioni di fare i conti con quella che è stata definita «la più grave sospensione dei diritti democratici in Europa dopo la seconda guerra mondiale»
Nel nostro paese, ogni volta che vengono effettuate dichiarazioni sui fatti di Genova, si solleva un polverone. Questa volta a innescare la polemica sono state due frasi pronunciate da Enrico Zucca, oggi sostituto procuratore generale di Genova, allora pubblico ministero responsabile dell’istruttoria contro le forze dell’ordine nel processo per la macelleria messicana compiuta alla Diaz. Zucca non è nuovo a prese di posizione molto dure in relazione all’atteggiamento dei vertici della Polizia nei confronti delle vicende giudiziarie riguardanti i propri funzionari. Già in passato aveva infatti duramente criticato l’operato della Polizia parlando di «totale rimozione» dei fatti di Genova e del rifiuto delle forze dell’ordine di riconoscere le proprie responsabilita’ in merito a tali eventi. Nelle frasi pronunciate qualche giorno fa, Zucca torna sull’argomento, sottolineando un altro aspetto vergognoso della gestione post G8 da parte del Ministero dell’Interno e, in particolare, del Dipartimento di Pubblica Sicurezza: le promozioni, le carriere folgoranti e, in alcuni casi il reintegro, dei funzionari condannati in via definitiva dalla Cassazione nel 2012 per la vicenda della scuola Diaz. Nel farlo, il magistrato fa un parallelismo con il brutale assassinio di Giulio Regeni, altra vicenda di torture rimaste impunite. Non è un caso. è bene infatti ricordare che, oltre all’impunita’ assicurata alla quasi totalita’ degli agenti coinvolti nelle vicende del luglio genovese, secondo la legge contro la tortura recentemente approvata dal Parlamento i fatti della Diaz e di Bolzaneto non sarebbero perseguibili («la tortura deve essere reiterata»…).
Tornando alle parole di Zucca, in uno stato di diritto in cui questo termine abbia ancora un qualche significato, le dichiarazioni del magistrato sarebbero passate quasi inosservate, in quanto considerazioni autoevidenti, lampanti, nonché supportate da sentenze definitive e da pronunciamenti molto duri da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sia per quanto riguarda gli episodi di violenza e tortura che i depistaggi e i tentativi di insabbiamento delle indagini. In questo paese, non è cosi’: non appena si rievocano le giornate di Genova, immediatamente si vede alzarsi un muro di gomma, la ragion di Stato che fa quadrato attorno ai suoi fedeli e obbedienti servitori. Subito, infatti, il Ministro della Giustizia Orlando e il Procuratore Generale della Cassazione Fuzio hanno avviato accertamenti preliminari sul sostituto procuratore, mentre il vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura si è immediatamente affrettato a esprimere “stima e fiducia ai vertici delle forze di Polizia”. Il capo della Polizia Gabrielli, chiamato in causa direttamente, si è invece spinto oltre, definendo le frasi di Zucca “accuse infamanti”, proprio lui che l’anno scorso affermo’ che “il G8 di Genova fu una catastrofe” e che evidentemente “in questi sedici anni, la riflessione non è stata sufficiente”, sottolineando come fosse necessario “voltare pagina”.
Nonostante questo muro di gomma e il cosiddetto spirito di corpo delle forze dell’ordine (degno delle peggiori dittature, poi ci si meraviglia se qualcuno ci paragona all’Egitto…) responsabile di ostacoli alle indagini piu’ volte denunciati dallo stesso Zucca e il sopraggiungere della prescrizione (grazie all’assenza, all’epoca, del reato di tortura nell’ordinamento giudiziario), nel 2012 e nel 2013, grazie alle pressioni di movimenti, opinione pubblica e media (soprattutto stranieri), sono arrivate alcune, poche, condanne per le violenze della Diaz e di Bolzaneto. Fra i condannati ci sono elementi di spicco della Polizia italiana: Giovanni Luperi, Francesco Gratteri, Gilberto Caldarozzi, Spartaco Mortola, Pietro Troiani. L’allora capo della Polizia, Gianni De Gennaro, venne invece assolto in Cassazione dall’accusa di istigazione alla falsa testimonianza (subito raggiunto da una telefonata di felicitazioni di Marco Minniti), nonostante l’ex questore di Genova Francesco Colucci venne invece condannato a due anni e otto mesi per falsa testimonianza proprio in favore di De Gennaro (altro che misteri della fede).
Alla faccia delle accuse infamanti, riportiamo qui sotto le carriere folgoranti di questi cosiddetti superpoliziotti della Diaz. Per non dimenticare chi con Genova ci ha costruito tutta una carriera.
Gilberto Caldarozzi, condannato per falso riguardo alla fabbricazione di prove fasulle per accusare ingiustamente le persone picchiate all’interno della Diaz e per non avere impedito le violenze. All’epoca vice direttore dello SCO (Servizio Centrale Operativo). Dopo Genova viene promosso a direttore dello SCO (carica che ricopre fino alla sentenza definitiva). Dopo la sentenza del 2012, interviene la sospensione, vista l’interdizione dai pubblici uffici. In questi 5 anni di sospensione viene assunto in Finmeccanica dall’allora capo della Polizia De Gennaro (vedi sotto). Terminati i 5 anni di interdizione viene reintegrato in Polizia con una promozione non da poco: vice direttore della Direzione Investigativa Antimafia…
Giovanni Luperi, condannato per gli stessi reati di Caldarozzi. All’epoca vice direttore dell’Ucigos, viene promosso a capo del dipartimento analisi dell’Aisi (servizi segreti, ex Sisde). Sospeso dalla sentenza della Cassazione, non viene reintegrato per sopraggiunti limiti d’eta’.
Francesco Gratteri, condannato per gli stessi reati di Caldarozzi. All’epoca direttore dello SCO, viene promosso a capo della Direzione Centrale Anticrimine. Dopo la sospensione, viene spesso chiamato in cattedra alla Scuola Superiore di Polizia (spesso insieme a Caldarozzi).
Dalla sentenza di Appello: Luperi e Gratteri “preso atto del fallimentare esito della perquisizione, si sono attivamente adoperati per nascondere la vergognosa condotta dei poliziotti violenti concorrendo a predisporre una serie di false rappresentazioni della realtà a costo di arrestare e accusare ingiustamente i presenti nella scuola“. Tra i falsi atti per cui sono stati condannati, quello relativo all’introduzione nella scuola da parte di poliziotti delle bottiglie Molotov, poi state utilizzate come prova del possesso di armi da parte degli occupanti.
Pietro Troiani, responsabile del miracoloso ritrovamento delle molotov all’interno della Diaz. All’epoca vice questore. Dopo i 5 anni di interdizione viene reintegrato e la sua carriera fa un notevole balzo: viene nominato dirigente del Centro operativo autostradale di Roma che ha competenza su tutto il Lazio. Il principale d’Italia.
Spartaco Mortola, sempre condannato per la vicenda delle molotov portate all’interno della Diaz. All’epoca capo della Digos di Genova, viene promosso a questore ad Alessandria e successivamente a questore vicario a Torino. Dove si distingue per le brutali cariche ai No Tav in mezzo alla neve in Val di Susa. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. In attesa di probabile reintegro.
Gianni de Gennaro, all’epoca capo della Polizia. Viene assolto, non senza ombre, dall’accusa di istigazione alla falsa testimonianza nel 2011. Fino al 2007 ricopre il ruolo di capo della Polizia, dopo cui inizia una carriera eccezionale e fulminea: promosso a capo di gabinetto del Ministero dell’Interno (2007), direttore del DIS (2008, Dipartimento Informazione e Sicurezza, servizi segreti), sottosegretario di Stato con delega alla sicurezza della Repubblica (2012). Infine (2013) viene nomincato da Letta a presidente di Finmeccanica, carica che utilizza per assumere il suo fedele braccio destro Gilberto Caldarozzi. E il cerchio si chiude.
Nel nostro paese, ogni volta che vengono effettuate dichiarazioni sui fatti di Genova, si solleva un polverone. Questa volta a innescare la polemica sono state due frasi pronunciate da Enrico Zucca, oggi sostituto procuratore generale di Genova, allora pubblico ministero responsabile dell’istruttoria contro le forze dell’ordine nel processo per la macelleria messicana compiuta alla Diaz. Zucca non è nuovo a prese di posizione molto dure in relazione all’atteggiamento dei vertici della Polizia nei confronti delle vicende giudiziarie riguardanti i propri funzionari. Già in passato aveva infatti duramente criticato l’operato della Polizia parlando di «totale rimozione» dei fatti di Genova e del rifiuto delle forze dell’ordine di riconoscere le proprie responsabilita’ in merito a tali eventi. Nelle frasi pronunciate qualche giorno fa, Zucca torna sull’argomento, sottolineando un altro aspetto vergognoso della gestione post G8 da parte del Ministero dell’Interno e, in particolare, del Dipartimento di Pubblica Sicurezza: le promozioni, le carriere folgoranti e, in alcuni casi il reintegro, dei funzionari condannati in via definitiva dalla Cassazione nel 2012 per la vicenda della scuola Diaz. Nel farlo, il magistrato fa un parallelismo con il brutale assassinio di Giulio Regeni, altra vicenda di torture rimaste impunite. Non è un caso. è bene infatti ricordare che, oltre all’impunita’ assicurata alla quasi totalita’ degli agenti coinvolti nelle vicende del luglio genovese, secondo la legge contro la tortura recentemente approvata dal Parlamento i fatti della Diaz e di Bolzaneto non sarebbero perseguibili («la tortura deve essere reiterata»…).
Tornando alle parole di Zucca, in uno stato di diritto in cui questo termine abbia ancora un qualche significato, le dichiarazioni del magistrato sarebbero passate quasi inosservate, in quanto considerazioni autoevidenti, lampanti, nonché supportate da sentenze definitive e da pronunciamenti molto duri da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sia per quanto riguarda gli episodi di violenza e tortura che i depistaggi e i tentativi di insabbiamento delle indagini. In questo paese, non è cosi’: non appena si rievocano le giornate di Genova, immediatamente si vede alzarsi un muro di gomma, la ragion di Stato che fa quadrato attorno ai suoi fedeli e obbedienti servitori. Subito, infatti, il Ministro della Giustizia Orlando e il Procuratore Generale della Cassazione Fuzio hanno avviato accertamenti preliminari sul sostituto procuratore, mentre il vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura si è immediatamente affrettato a esprimere “stima e fiducia ai vertici delle forze di Polizia”. Il capo della Polizia Gabrielli, chiamato in causa direttamente, si è invece spinto oltre, definendo le frasi di Zucca “accuse infamanti”, proprio lui che l’anno scorso affermo’ che “il G8 di Genova fu una catastrofe” e che evidentemente “in questi sedici anni, la riflessione non è stata sufficiente”, sottolineando come fosse necessario “voltare pagina”.
Nonostante questo muro di gomma e il cosiddetto spirito di corpo delle forze dell’ordine (degno delle peggiori dittature, poi ci si meraviglia se qualcuno ci paragona all’Egitto…) responsabile di ostacoli alle indagini piu’ volte denunciati dallo stesso Zucca e il sopraggiungere della prescrizione (grazie all’assenza, all’epoca, del reato di tortura nell’ordinamento giudiziario), nel 2012 e nel 2013, grazie alle pressioni di movimenti, opinione pubblica e media (soprattutto stranieri), sono arrivate alcune, poche, condanne per le violenze della Diaz e di Bolzaneto. Fra i condannati ci sono elementi di spicco della Polizia italiana: Giovanni Luperi, Francesco Gratteri, Gilberto Caldarozzi, Spartaco Mortola, Pietro Troiani. L’allora capo della Polizia, Gianni De Gennaro, venne invece assolto in Cassazione dall’accusa di istigazione alla falsa testimonianza (subito raggiunto da una telefonata di felicitazioni di Marco Minniti), nonostante l’ex questore di Genova Francesco Colucci venne invece condannato a due anni e otto mesi per falsa testimonianza proprio in favore di De Gennaro (altro che misteri della fede).
Alla faccia delle accuse infamanti, riportiamo qui sotto le carriere folgoranti di questi cosiddetti superpoliziotti della Diaz. Per non dimenticare chi con Genova ci ha costruito tutta una carriera.
Gilberto Caldarozzi, condannato per falso riguardo alla fabbricazione di prove fasulle per accusare ingiustamente le persone picchiate all’interno della Diaz e per non avere impedito le violenze. All’epoca vice direttore dello SCO (Servizio Centrale Operativo). Dopo Genova viene promosso a direttore dello SCO (carica che ricopre fino alla sentenza definitiva). Dopo la sentenza del 2012, interviene la sospensione, vista l’interdizione dai pubblici uffici. In questi 5 anni di sospensione viene assunto in Finmeccanica dall’allora capo della Polizia De Gennaro (vedi sotto). Terminati i 5 anni di interdizione viene reintegrato in Polizia con una promozione non da poco: vice direttore della Direzione Investigativa Antimafia…
Giovanni Luperi, condannato per gli stessi reati di Caldarozzi. All’epoca vice direttore dell’Ucigos, viene promosso a capo del dipartimento analisi dell’Aisi (servizi segreti, ex Sisde). Sospeso dalla sentenza della Cassazione, non viene reintegrato per sopraggiunti limiti d’eta’.
Francesco Gratteri, condannato per gli stessi reati di Caldarozzi. All’epoca direttore dello SCO, viene promosso a capo della Direzione Centrale Anticrimine. Dopo la sospensione, viene spesso chiamato in cattedra alla Scuola Superiore di Polizia (spesso insieme a Caldarozzi).
Dalla sentenza di Appello: Luperi e Gratteri “preso atto del fallimentare esito della perquisizione, si sono attivamente adoperati per nascondere la vergognosa condotta dei poliziotti violenti concorrendo a predisporre una serie di false rappresentazioni della realtà a costo di arrestare e accusare ingiustamente i presenti nella scuola“. Tra i falsi atti per cui sono stati condannati, quello relativo all’introduzione nella scuola da parte di poliziotti delle bottiglie Molotov, poi state utilizzate come prova del possesso di armi da parte degli occupanti.
Pietro Troiani, responsabile del miracoloso ritrovamento delle molotov all’interno della Diaz. All’epoca vice questore. Dopo i 5 anni di interdizione viene reintegrato e la sua carriera fa un notevole balzo: viene nominato dirigente del Centro operativo autostradale di Roma che ha competenza su tutto il Lazio. Il principale d’Italia.
Spartaco Mortola, sempre condannato per la vicenda delle molotov portate all’interno della Diaz. All’epoca capo della Digos di Genova, viene promosso a questore ad Alessandria e successivamente a questore vicario a Torino. Dove si distingue per le brutali cariche ai No Tav in mezzo alla neve in Val di Susa. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. In attesa di probabile reintegro.
Gianni de Gennaro, all’epoca capo della Polizia. Viene assolto, non senza ombre, dall’accusa di istigazione alla falsa testimonianza nel 2011. Fino al 2007 ricopre il ruolo di capo della Polizia, dopo cui inizia una carriera eccezionale e fulminea: promosso a capo di gabinetto del Ministero dell’Interno (2007), direttore del DIS (2008, Dipartimento Informazione e Sicurezza, servizi segreti), sottosegretario di Stato con delega alla sicurezza della Repubblica (2012). Infine (2013) viene nomincato da Letta a presidente di Finmeccanica, carica che utilizza per assumere il suo fedele braccio destro Gilberto Caldarozzi. E il cerchio si chiude.
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