Una
conferenza su “Basta con i diktat dell’Unione Europea” – per certa
“sinistra” – può sembrare un lusso o un vezzo “ideologico”.
Guardando
invece al mondo politico reale (le mosse astute per la formazione di una
maggioranza parlamentare, i moniti quotidiani delle “istituzioni
sovranazionali”, le giaculatorie degli opinionisti mainstream, ecc) si
nota subito che questo è il problema centrale attorno a cui ruota
tutta la vita del paese. Sul piano economico, quello politico, persino
istituzionale (quella “Costituzione troppo di sinistra” di cui si
lamentano le grandi banche d’affari globali).
A
Bologna, sabato 24, Eurostop ha fatto il punto della situazione,
approfondendo sia gli aspetti costitutivi del sistema di trattati Ue,
sia le conseguenze dirette sulla vita di tutti noi. Da una parte,
infatti, vediamo la battaglia per “rafforzare la Ue” o almeno l’Eurozona
– lanciata da Macron e Merkel, che hanno fretta di “stringere” per
contenere gli sfilacciamenti euroscettici (Est europeo e “populismi”
vari) – in modo tale da ridurre al minimo i margini di manovra dei vari
governi nazionali; dall’altra le politiche di austerità hanno conformato
una catena di comando – tramite il cosiddetto “patto di stabilità” –
che va da Bruxelles all’ultimo Comune di questo paese.
Sono
per fare un esempio: ci sono ormai parecchi Comuni in “stato di
pre-dissesto”, ossia ad un passo dal commissariamento governativo. Una
situazione che affonda certamente in pessime gestioni passate
(centrodestra e centrosinistra hanno fatto a gara verso il peggio), ma
che è diventata ora irrisolvibile proprio in forza dei “vincoli esterni”
(europei) che si sono estesi fino a diventare “vincoli interni”,
impedendo di fatto ogni possibile scelta amministrativa anche solo un
poco autonoma. Stiamo parlando di grandi comuni come Napoli, o di media
rilevanza come Terni; ma la condizione “vincolata” dal patto di
stabilità vale ormai per tutti.
E’ insomma un problema politico immediato,
e dovrebbe discuterne con maggiore attenzione e passione proprio chi
sta con la testa soltanto alla prossima tornata elettorale (le
amministrative di fine maggio, in una ventina di comuni capoluogo), ma
che invece si diletta ancora con le vecchie alchimie di “alleanze”
posticce, che non si traducono più in percentuali di voti necessari ad
un seggio.
E’
un problema, dunque, che riguarda direttamente anche Potere al Popolo,
che ha giustamente inserito tra i suoi punti di programma il “rompere
l’Unione Europea dei trattati” e ora deve articolare questo obiettivo in
azione concreta, “tra le masse”, visto che non esiste in pratica nessun
problema sociale (dalla casa ai salari, dalla disoccupazione ai
diritti, ecc) che non abbia nell’Unione Europea il suo “decisore di
ultima istanza”. Tanto più che, a maggio, il nuovo governo in formazione
dovrà varare una manovra correttiva di parecchi miliardi e la “legge di
stabilità 2019” dovrà contenere misure che soddisfino l’entrata a
regime del Fiscal Compact (un taglio del debito pubblico pari al 5% ogni
anno, per venti anni); e dunque bisognerà mobilitarsi immediatamente
per far crescere la resistenza (e la capacità d’aggregazione) del nostro
“blocco sociale”.
A
questo scopo risulta particolarmente importante la campagna di raccolta
firme per l’abolizione dell’obbligo al pareggio di bilancio (un
trattato Ue) all’interno dell’art. 81 della nostra Costituzione; una
mostruosità che già ora sta portando a sentenze della Consulta in cui i
“diritti universali” garantiti dalla Carta costituzionale vengono
subordinati agli obiettivi di bilancio. In pratica, se un diritto
comporta una spesa, non è più un tuo diritto esigibile…
I
compagni di Eurostop convenuti a Bologna hanno portato contributi di
buon livello (alcuni li pubblicheremo nei prossimi giorni, uno è già disponibile),
anche e soprattutto da parte dei più giovani. E l’insieme va a
costruire un patrimonio di informazione/analisi cui possono attingere
facilmente attivisti e militanti di qualsiasi formazione politica, per
chiarirsi le idee sulla realtà effettiva della Ue e cominciare a
immaginare una via di uscita praticabile. Ossia, che non rimandi a una
lisergica “presa di coscienza” contemporanea – nello stesso preciso
momento – di tutti i popoli d’Europa.
A questo
fine, dunque, ci sembra particolarmente importante che la campagna
sull’art. 81 sia affiancata dalla raccolta firme per il referendum anche
sui Trattati europei. Conosciamo le obiezioni avanzate su questo punto,
assolutamente infondate. Vero è che la Costituzione, art. 75, esclude
dalla possibilità di sottoporre a referendum abrogativo “le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Ma non esclude affatto di poterle sottoporre a referendum consultivo – che
ha ovviamente meno potere vincolante, ma segnala con forza il “parere”
del Paese, incidendo comunque sulla sua vita politica e la
“disinvoltura” con cui i partiti obbediscono alla Ue.
Si può fare? Certamente sì! Ne è stato tenuto uno, il 18 giugno 1989, per sondare la volontà popolare in merito al conferimento o meno di un ipotetico mandato costituente al Parlamento europeo, i cui rappresentanti italiani venivano contestualmente eletti. Allora
– sia detto per inciso – l’80% disse “sì”, sperando che “l’Europa” ci
potesse aiutare a superare molti dei difetti nazionali. Dopo 30 anni la
verifica è totalmente negativa, dunque non dovrebbe far scandalo un
referendum con lo scopo opposto.
Sappiamo
bene che il confronto “a sinistra”, sul tema decisivo dell’Unione
Europea, è viziato dal “pensiero unico” dell’avversario, capace di
creare un linguaggio e un immaginario che impedisce ormai di distinguere
tra “cosmopolitismo capitalistico” (la globalizzazione, peraltro in
aperta crisi) e “internazionalismo dei lavoratori). Paradossalmente, e
l’abbiamo verificato nel corso della campagna elettorale, è più facile
discutere di Unione Europea con la gente in fila alla posta che non con
certa “compagneria” inzeppata di luoghi comuni.
Sappiamo
dunque bene che ogni confronto corre il rischio di trasformarsi in una
sterile contrapposizione tra “europeisti perché internazionalisti
astratti” e critici dell’Unione che vedono la concreta possibilità di
rompere questa gabbia creando un’area euromediterranea solidale,
socialista e democratica.
Per superare questo stallo risulta molto utile il documentario Piigs (alcune copie son state donate dagli autori: Adriano Cutraro, Federico Greco, Mirko Melchiorre),
che affronta il “dilemma Ue” facendo vedere come si sta trasformando –
in negativo – il modello sociale europeo e mettendo a confronto
intellettuali anche molto diversi tra loro (Noam Chomsky, Yanis
Varoufakis, Erri De Luca, ecc) in un racconto che mette in parallelo
l’evoluzione della crisi gestita con politiche di austerità e la
nascita-vita-morte di una cooperativa sociale.
Non
perché il documentario “rifletta” la posizione di Eurostop, ma perché
permette di visualizzare e dunque problematizzare meglio una discussione
altrimenti – e facilmente – astratta, alla lunga inconcludente.
Insomma,
quella di Bologna è stata una conferenza per nulla “di maniera”. Al
contrario, traccia una linea di confronto serio, alto, concreto, per
costruire ex novo la rappresentanza politica del nostro blocco sociale,
martoriato da crisi e politiche di austerità.
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