martedì 27 marzo 2018

Le campagne per i referendum su art. 81 e trattati europei.

Una conferenza su “Basta con i diktat dell’Unione Europea” – per certa “sinistra” – può sembrare un lusso o un vezzo “ideologico”. 

Guardando invece al mondo politico reale (le mosse astute per la formazione di una maggioranza parlamentare, i moniti quotidiani delle “istituzioni sovranazionali”, le giaculatorie degli opinionisti mainstream, ecc) si nota subito che questo è il problema centrale attorno a cui ruota tutta la vita del paese. Sul piano economico, quello politico, persino istituzionale (quella “Costituzione troppo di sinistra” di cui si lamentano le grandi banche d’affari globali).
A Bologna, sabato 24, Eurostop ha fatto il punto della situazione, approfondendo sia gli aspetti costitutivi del sistema di trattati Ue, sia le conseguenze dirette sulla vita di tutti noi. Da una parte, infatti, vediamo la battaglia per “rafforzare la Ue” o almeno l’Eurozona – lanciata da Macron e Merkel, che hanno fretta di “stringere” per contenere gli sfilacciamenti euroscettici (Est europeo e “populismi” vari) – in modo tale da ridurre al minimo i margini di manovra dei vari governi nazionali; dall’altra le politiche di austerità hanno conformato una catena di comando – tramite il cosiddetto “patto di stabilità” – che va da Bruxelles all’ultimo Comune di questo paese.

Sono per fare un esempio: ci sono ormai parecchi Comuni in “stato di pre-dissesto”, ossia ad un passo dal commissariamento governativo. Una situazione che affonda certamente in pessime gestioni passate (centrodestra e centrosinistra hanno fatto a gara verso il peggio), ma che è diventata ora irrisolvibile proprio in forza dei “vincoli esterni” (europei) che si sono estesi fino a diventare “vincoli interni”, impedendo di fatto ogni possibile scelta amministrativa anche solo un poco autonoma. Stiamo parlando di grandi comuni come Napoli, o di media rilevanza come Terni; ma la condizione “vincolata” dal patto di stabilità vale ormai per tutti.
E’ insomma un problema politico immediato, e dovrebbe discuterne con maggiore attenzione e passione proprio chi sta con la testa soltanto alla prossima tornata elettorale (le amministrative di fine maggio, in una ventina di comuni capoluogo), ma che invece si diletta ancora con le vecchie alchimie di “alleanze” posticce, che non si traducono più in percentuali di voti necessari ad un seggio.
E’ un problema, dunque, che riguarda direttamente anche Potere al Popolo, che ha giustamente inserito tra i suoi punti di programma il “rompere l’Unione Europea dei trattati” e ora deve articolare questo obiettivo in azione concreta, “tra le masse”, visto che non esiste in pratica nessun problema sociale (dalla casa ai salari, dalla disoccupazione ai diritti, ecc) che non abbia nell’Unione Europea il suo “decisore di ultima istanza”. Tanto più che, a maggio, il nuovo governo in formazione dovrà varare una manovra correttiva di parecchi miliardi e la “legge di stabilità 2019” dovrà contenere misure che soddisfino l’entrata a regime del Fiscal Compact (un taglio del debito pubblico pari al 5% ogni anno, per venti anni); e dunque bisognerà mobilitarsi immediatamente per far crescere la resistenza (e la capacità d’aggregazione) del nostro “blocco sociale”.
A questo scopo risulta particolarmente importante la campagna di raccolta firme per l’abolizione dell’obbligo al pareggio di bilancio (un trattato Ue) all’interno dell’art. 81 della nostra Costituzione; una mostruosità che già ora sta portando a sentenze della Consulta in cui i “diritti universali” garantiti dalla Carta costituzionale vengono subordinati agli obiettivi di bilancio. In pratica, se un diritto comporta una spesa, non è più un tuo diritto esigibile…
I compagni di Eurostop convenuti a Bologna hanno portato contributi di buon livello (alcuni li pubblicheremo nei prossimi giorni, uno è già disponibile), anche e soprattutto da parte dei più giovani. E l’insieme va a costruire un patrimonio di informazione/analisi cui possono attingere facilmente attivisti e militanti di qualsiasi formazione politica, per chiarirsi le idee sulla realtà effettiva della Ue e cominciare a immaginare una via di uscita praticabile. Ossia, che non rimandi a una lisergica “presa di coscienza” contemporanea – nello stesso preciso momento – di tutti i popoli d’Europa.
A questo fine, dunque, ci sembra particolarmente importante che la campagna sull’art. 81 sia affiancata dalla raccolta firme per il referendum anche sui Trattati europei. Conosciamo le obiezioni avanzate su questo punto, assolutamente infondate. Vero è che la Costituzione, art. 75, esclude dalla possibilità di sottoporre a referendum abrogativo “le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Ma non esclude affatto di poterle sottoporre a referendum consultivo che ha ovviamente meno potere vincolante, ma segnala con forza il “parere” del Paese, incidendo comunque sulla sua vita politica e la “disinvoltura” con cui i partiti obbediscono alla Ue.
Si può fare? Certamente sì! Ne è stato tenuto uno, il 18 giugno 1989, per sondare la volontà popolare in merito al conferimento o meno di un ipotetico mandato costituente al Parlamento europeo, i cui rappresentanti italiani venivano contestualmente eletti. Allora – sia detto per inciso – l’80% disse “sì”, sperando che “l’Europa” ci potesse aiutare a superare molti dei difetti nazionali. Dopo 30 anni la verifica è totalmente negativa, dunque non dovrebbe far scandalo un referendum con lo scopo opposto.
Sappiamo bene che il confronto “a sinistra”, sul tema decisivo dell’Unione Europea, è viziato dal “pensiero unico” dell’avversario, capace di creare un linguaggio e un immaginario che impedisce ormai di distinguere tra “cosmopolitismo capitalistico” (la globalizzazione, peraltro in aperta crisi) e “internazionalismo dei lavoratori). Paradossalmente, e l’abbiamo verificato nel corso della campagna elettorale, è più facile discutere di Unione Europea con la gente in fila alla posta che non con certa “compagneria” inzeppata di luoghi comuni.
Sappiamo dunque bene che ogni confronto corre il rischio di trasformarsi in una sterile contrapposizione tra “europeisti perché internazionalisti astratti” e critici dell’Unione che vedono la concreta possibilità di rompere questa gabbia creando un’area euromediterranea solidale, socialista e democratica.
Per superare questo stallo risulta molto utile il documentario Piigs (alcune copie son state donate dagli autori: Adriano Cutraro, Federico Greco, Mirko Melchiorre), che affronta il “dilemma Ue” facendo vedere come si sta trasformando – in negativo – il modello sociale europeo e mettendo a confronto intellettuali anche molto diversi tra loro (Noam Chomsky, Yanis Varoufakis, Erri De Luca, ecc) in un racconto che mette in parallelo l’evoluzione della crisi gestita con politiche di austerità e la nascita-vita-morte di una cooperativa sociale.
Non perché il documentario “rifletta” la posizione di Eurostop, ma perché permette di visualizzare e dunque problematizzare meglio una discussione altrimenti – e facilmente – astratta, alla lunga inconcludente.
Insomma, quella di Bologna è stata una conferenza per nulla “di maniera”. Al contrario, traccia una linea di confronto serio, alto, concreto, per costruire ex novo la rappresentanza politica del nostro blocco sociale, martoriato da crisi e politiche di austerità.

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