“Quest’Europa
è una vergogna” gridano in questi giorni le strade e le piazze
catalane. A Barcellona decine di migliaia di persone hanno manifestato
marciando dagli uffici della Commissione Europea al Consolato Tedesco
per denunciare l’ennesimo atto di complicità dell’establishment
continentale nei confronti della repressione spagnola dopo che domenica
mattina la polizia tedesca, su segnalazione dei servizi segreti di
Madrid, ha arrestato l’ex presidente catalano in esilio, Carles
Puigdemont, mentre a bordo di un’automobile attraversava la frontiera
tra la Danimarca e la Repubblica Federale Tedesca, diretto in Belgio.
Puigdemont
era arrivato in Finlandia venerdì per realizzare incontri politici e
delle conferenze sulla vicenda catalana, come aveva già fatto nelle
settimane precedenti prima in Danimarca e poi in Svizzera, dove si sono
nel frattempo rifugiate l’ex portavoce della CUP Anna Gabriel e la
segretaria generale di ERC, Marta Rovira, sulle quali grava un ordine
d’arresto emesso della magistratura spagnola.
Ma
sabato Puigdemont aveva dovuto lasciare il paese dopo che Madrid ha
chiesto l’arresto e l’estradizione del dirigente catalano riattivando
l’ordine di cattura europeo spiccato mesi fa e poi sospeso per timore
che la giustizia belga lo respingesse vista la sproporzione delle accuse
contestate al dirigente politico.
Il
governo finlandese non si era dimostrato particolarmente sollecito nei
confronti delle richieste del governo Rajoy e finora neanche la
magistratura belga ha inteso arrestare né Puigdemont né gli altri ex
ministri rifugiatisi a Bruxelles.
Al
contrario le autorità tedesche non solo hanno bloccato l’ex presidente
catalano in esilio, ma il magistrato incaricato del suo caso ha
addirittura deciso di confermare la carcerazione preventiva in attesa
che Berlino si pronunci sull’estradizione. D’altronde l’esecutivo Merkel
era stato all’interno dell’Unione Europea, insieme a quelli di Parigi e
Roma, tra i più strenui sostenitori di Madrid quando Rajoy aveva
mandato diecimila poliziotti a picchiare milioni di elettori che il 1
ottobre scorso intendevano pronunciarsi sull’autodeterminazione. In nome
della “legalità” l’UE continua a sostenere uno stato reazionario e
corrotto, retto da una monarchia e da un sistema politico-legale
ereditato dal franchismo.
«La
Spagna è uno Stato costituzionale democratico. Negli ultimi mesi
abbiamo sostenuto con chiarezza la posizione del suo governo per
garantire l’ordine giuridico», ha ribadito ieri Angela Merkel, dopo
che giovedì scorso il Consiglio europeo ha affidato la vicepresidenza
della Banca Centrale Europea all’ex ministro delle Finanze spagnolo,
Luis de Guindos.
Ma
la Spagna è uno stato in cui nelle ultime settimane i tre partiti del
‘regime del 78’ hanno votato in parlamento la riconferma dell’impunità per i crimini commessi dai franchisti e del reato di ingiuria alla Corona, che ha già portato all’arresto e alla condanna di centinaia di artisti, giornalisti, internauti e attivisti politici.
La
memoria non può non correre a quando, nel 1940, i fascisti spagnoli
fucilarono Lluis Companys, il presidente della Generalitat catalana in
esilio, arrestato in Francia con la collaborazione della Gestapo tedesca
e della polizia del regime di Vichy, e consegnato ai suoi carnefici.
La
vicenda catalana evidenzia una volta in più l’incompatibilità tra la
democrazia e l’Unione Europea, tra il primato dei diritti e delle
libertà e la gabbia dei diktat dell’oligarchia continentale.
Se
i catalani pensavano di essere cittadini europei si stanno accorgendo
di non essere altro, per l’establishment europeo, che sudditi della
Corona di Spagna.
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