venerdì 23 marzo 2018

Questi 17 metalli rari decideranno chi sarà il padrone del mondo.

Sono i minerali del futuro, le cosiddette terre rare, e da questi dipendono l’industria militare, aerospaziale ed elettronica. La Cina li estrae e produce in maniera quasi esclusiva e li può sfrutttare per consolidare il suo ruolo di superpotenza.

Questi 17 metalli rari decideranno chi sarà il padrone del mondoDiciassette metalli dai nomi impossibili. Fino a un centinaio di anni fa erano sconosciuti, oggi sono la chiave per le tecnologie più avanzate. Vengono chiamati “terre rare” e sono diventati decisivi negli equilibri (come nei conflitti) geopolitici, se si pensa che la Cina controlla de facto la quasi totalità della produzione mondiale. Interromperne la fornitura metterebbe in ginocchio in pochi giorni l’industria militare, aerospaziale ed elettronica dei paesi occidentali, Giappone incluso. La questione, dunque, non è solo commerciale, ma centrale per il contenimento dell’ascesa della Cina a superpotenza planetaria.
Quando nel 1787 , in una cava del villaggio di Ytterby su una delle tante isole dell’arcipelago di Stoccolma, il chimico e militare svedese Carl Axel Arrhenius scoprì un minerale nero mai visto prima, pensò di trovarsi di fronte a una sostanza rara, a cui diede il nome di itterbite, in omaggio al luogo di ritrovamento.


Una decina di anni dopo, Johan Gadolin, un professore dell’università finlandese di Turku, si rese conto che quel minerale era un miscuglio di tanti ossidi di elementi mai analizzati prima, ai quali, per spiegarne la misteriosità, iniziò a riferirsi come terre rare, sebbene a sua insaputa si trattasse di sostanze abbondantemente diffuse sulla crosta terrestre. Da quell’insolito miscuglio si riuscirono a estrarre due nuovi elementi, a cui si diede il nome di ittrio e di cerio, quest’ultimo per il suo colore chiaro simile alla cera. Correva l’anno 1803.


Da allora si dovette aspettare il 1907 quando si scoprì il lutezio, diciassettesimo e ultimo elemento di quello strano miscuglio, ovvero più di cento anni dopo, un tempo davvero lungo dettato dalla difficoltà di separare singolarmente gli elementi dagli ossidi a causa delle loro proprietà chimiche molto simili, piuttosto che dalla loro presunta rarità.

Il nome terre rare è infatti un termine improprio. Almeno sedici dei diciassette elementi costituenti il gruppo non sono così rari come suggerisce il nome. Furono denominate “terre” poiché la maggior parte fu identificata durante il XVIII e il XIX secolo, quando si soleva dare questo nome ai minerali che non potevano essere modificati dalle fonti di calore, e “rare” perché in confronto con altre terre, tipo la calce o la magnesia, erano relativamente meno abbondanti.

Oggi, le cosiddette terre rare sono un gruppo di diciassette elementi chimici nella tavola periodica, dal lantanio (La), con numero atomico 57, al lutezio (Lu), con numero atomico 71, a cui si aggiungono lo scandio (Sc), con numero atomico 21, e l’ittrio (Y), con numero atomico 39. I primi quindici elementi sono anche detti lantanoidi, a cui si aggiungono lo scandio e l’ittrio poiché questi tendono a presentarsi negli stessi giacimenti di minerali dei lantanoidi e presentano proprietà chimiche simili.

Se si pensa al solo cerio, il più abbondante dei lantanoidi, si scopre che è più comune nella crosta terrestre di quanto lo sia il rame mentre il neodimio, il lantanio, l’ittrio e lo scandio sono più abbondanti dell’altrettanto comunissimo piombo, e comunque, tutti i lantanoidi, eccetto il promezio, sono in media più abbondanti dell’argento, dell’oro e del platino, dunque le terre rare non sono rare in termini di abbondanza crostale media, quanto piuttosto per la bassa concentrazione dei loro depositi, normalmente meno del 5 per cento in peso, che rende i costi di estrazione così alti da non essere economicamente giustificati, a meno che i costi della manodopera siano estremamente bassi o siano sostenuti da sussidi statali. Intorno al 1990, la Cina è diventata il più grande produttore al mondo di elementi delle terre rare superando gli Stati Uniti. Anche India, Brasile e Malesia estraggono e perfezionano quantità significative di terre rare.

Poche persone sono consapevoli dell’enorme importanza che gli elementi delle terre rare hanno sulla loro vita quotidiana. Oggi è quasi impossibile che un qualunque componente con un certo contenuto tecnologico non abbia tra i suoi costituenti una percentuale di terre rare, normalmente nell’ordine dello 0,1-5 per cento in peso, fatta eccezione per i magneti permanenti, che contengono circa il 25 per cento di neodimio, quantità che, sebbene minime, risultano fondamentali, poiché nessuno di questi dispositivi funzionerebbe allo stesso modo, o sarebbe significativamente più pesante, se non contenesse elementi del gruppo delle terre rare.

L’utilizzo delle terre rare si estende quasi illimitatamente in industrie di primaria importanza come l’aerospazio e difesa, l’energia nucleare, i superconduttori per alte temperature, i cavi di fibre ottiche a larghissima banda, i computer e i telefoni cellulari, l’acciaio e i pigmenti per le ceramiche.

Tuttavia, la pervasività dell’uso delle terre rare è esemplificata dall’auto moderna, uno dei suoi maggiori consumatori: le dozzine di motori elettrici in una tipica automobile, così come i diffusori del suo sistema audio, usano magneti permanenti al neodimio-ferro-boro; i sensori elettrici impiegano zirconia stabilizzata con ittrio per misurare e controllare il contenuto di ossigeno del carburante; il convertitore catalitico a tre vie utilizza ossidi di cerio per ridurre gli ossidi di azoto in azoto gassoso e ossidare il monossido di carbonio e gli altri idrocarburi incombusti in anidride carbonica e acqua nei prodotti di scarico; i fosfori degli schermi ottici contengono ossidi di ittrio, europio e terbio; il parabrezza, gli specchi, le lenti e altri componenti di vetro sono lucidati usando ossidi di cerio; le batterie ricaricabili delle automobili ibride sono costituite di idruro metallico di nickel-lantanio; e perfino la benzina o il gasolio che alimentano il veicolo sono stati raffinati utilizzando catalizzatori di cracking contenenti lantanio e cerio.

Nel 1979 il governo cinese alla guida di Deng Xiaoping prende l’impegno di adottare politiche che promuovono il commercio estero e gli investimenti economici, e pochi anni dopo, precisamente nel 1985, avvia la produzione di terre rare su larga scala dal giacimento di Bayan Obo nella Mongolia Interna scoperto nel 1927, immettendo così sul mercato mondiale 8.500 tonnellate di terre rare pari al 21 per cento della produzione globale contro le 13428 tonnellate prodotte dagli Stati Uniti, allora principale produttore. L’anno successivo la Cina lancia il Programma 863 per un vasto sfruttamento dei propri giacimenti e lo sviluppo dei settori tecnologici avanzati che ne fanno largo uso. Sempre nello stesso anno la Cina supera gli Stati Uniti nella produzione di terre rare. Nel 1992, Deng Xiaoping, che conosce bene l’enorme importanza che le terre rare hanno per lo sviluppo strategico della Cina, afferma pubblicamente che se i paesi arabi hanno il petrolio, allora la Cina ha le terre rare.

Verso la fine degli anni ’90, la Cina fornisce oltre il 90 per cento dell’offerta mondiale delle terre rare. Nel frattempo, le terre rare acquistano una visibilità sempre maggiore a causa del riconoscimento delle proprietà critiche e specializzate che esse contribuiscono a fornire a migliaia di applicazioni tecnologiche combinate con la forte dipendenza del mondo da un unico produttore, la Cina, che, per ovvie ragioni legate ai costi di produzione insostenibili dal resto del mondo, ne detiene il monopolio della produzione e fornitura, portando alla chiusura molte cave di terre rare dei paesi occidentali, inclusa la storica Mountain Pass in California.

Non è una coincidenza quando nel 2010 la Cina annuncia di ridurre al 40 per cento le quote di terre rare destinate alle esportazioni che, seppure esistenti sin dal 2006, erano tuttavia sostenibili dai paesi importatori, giustificando la decisione come un atto di protezione dell’ambiente, quando con tutta probabilità si tratta di puro protezionismo per avvantaggiare le proprie imprese utilizzatrici di terre rare, e tutto accade in un momento di inasprimento della questione territoriale sino-giapponese per le isole Senkaku quando un peschereccio cinese è fermato nelle acque delle isole e posto sotto sequestro dalle autorità giapponesi. L’annuncio solleva grandi preoccupazioni tra le nazioni fortemente dipendenti da tecnologie specializzate, come il Giappone, gli Stati Uniti e i paesi membri dell’Unione europea, Francia in primis. Nei tre anni precedenti l’annuncio del bando la produzione cinese di terre rare raggiunge il picco massimo del 97 per cento della produzione mondiale. La disputa diviene presto un caso da risolvere nelle sedi dell’Organizzazione mondiale per il commercio che, dopo cinque anni di vicissitudini, riesce a imporre alla Cina la rimozione della riduzione delle esportazioni di terre rare.

Intanto i prezzi delle terre rare salgono alle stelle tanto da giustificare economicamente la ripresa della produzione nelle vecchie cave dei paesi occidentali, i cui produttori raccolgono in fretta e furia capitale sufficiente per i nuovi investimenti, ma la mossa si rivela una pura velleità, quando i produttori cinesi decidono di abbassare i prezzi di vendita.
Il caso più eclatante riguarda Molycorp Minerals LLC, società statunitense che acquista il vecchio giacimento di Mountain Pass in California, ma dopo solo un paio di anni di estrazione dichiara bancarotta per variate condizioni di mercato, ovvero per l’impossibilità di sostenere la competizione cinese.


L’unica eccezione tra le terre rare che subiscono le frenetiche oscillazione del monopolista cinese è rappresentata dall’ossido di scandio puro al 99,990 per cento materiale utilizzato nell’industria aerospaziale in leghe di alluminio per la produzione di componenti strutturali ad alte prestazioni, il prezzo passa dai 2500 dollari per chilogrammo del 2009, anno precedente al bando cinese, ai 5100 dollari per chilogrammo del 2015, anno della rimozione delle restrizioni alle esportazioni, valori medi che non tengono conto delle fluttuazioni di mercato che registrano picchi fino a 20 mila dollari per chilogrammo.

Nel 2017 la Cina produce 105.000 tonnellate di terre rare pari all’ottantuno per cento della produzione mondiale, a cui si devono aggiungere le quantità prodotte clandestinamente stimate intorno alle circa 10-15 mila tonnellate. Gli altri due principali paesi produttori di terre rare sono l’Australia e la Russia rispettivamente con 20 mila e 3 mila tonnellate.

Le riserve mondiali di terre rare sono stimate a 120 milioni di tonnellate e, seppure in diverse concentrazioni di ossidi, giacimenti si trovano in tutto il mondo, particolarmente in Cina (37 per cento), Brasile (18 per cento) e Russia (15 per cento).

Con le sue grandi riserve naturali, è presumibile che la Cina continui a dominare sia l’offerta sia la domanda globale di terre rare alle quali si aggiungono sia l’eccesso di scorte sia la sovracapacità produttiva del paese che pone limiti alla ripresa e all’espansione della produzione mineraria al di fuori della Cina, almeno nel breve e medio periodo. Si stima che i consumi interni cinesi passino dalle 90 mila tonnellate del 2014 alle 150 mila del 2020.

Negli ultimi anni, gruppi di esperti convocati da istituti di ricerca e agenzie governative come il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, la Commissione Europea e l’American physical society hanno evidenziato come gli elementi chimici del gruppo delle terre rare siano fondamentali per le nuove tecnologie utilizzate per la produzione di energia pulita e di componenti elettronici sia di largo consumo sia per specifiche applicazioni militari e aerospaziali, e come esista un alto rischio di interruzioni dell’approvvigionamento di tali materiali a causa del monopolio de facto dell’industria di un paese non democratico come la Cina, sebbene facente parte di un’organizzazione internazionale creata allo scopo di supervisionare i numerosi accordi commerciali tra gli Stati membri come l’Organizzazione mondiale del commercio, poiché singole decisioni sui prezzi possono mettere in ginocchio paesi come gli Stati Uniti, l’Unione europea e il Giappone.

Per l’intero ventunesimo secolo molte sfide sulla disponibilità delle terre rare in quantità adeguate restano aperte. Per tante delle applicazioni che utilizzano lantanoidi sono possibili materiali sostitutivi, ma nessuno di essi garantisce l’elevata efficacia dei primi.

Il monopolio permette a Pechino di utilizzare le terre rare come strumento geopolitico per far leva sui cambiamenti comportamentali nei paesi con cui ha controversie politiche ed economiche, e comunque rafforzare la sua posizione negoziale a qualsiasi tavolo diplomatico come pure di aumentare le sue capacità militari.

La crisi delle terre rare non è una semplice disputa commerciale, ma un elemento centrale della politica economica cinese per l’ascesa allo status di superpotenza planetaria, i cui squilibri geopolitici mondiali potranno essere contenuti e bilanciati solo attraverso una nuova governance internazionale sulla produzione e la commercializzazione delle materie prime che tenga conto di interessi multipli tanto quanto quella sul clima che da decenni si sta faticosamente tentando di raggiungere per frenare il surriscaldamento del pianeta, in caso contrario il collasso del sistema internazionale è assicurato.

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