Nel documento del Fmi si segnala come ci siano molte aree nel sistema pensionistico in cui l’Italia può agire per ridurre la spesa e quindi risparmiare.
Il Fmi ovviamente sorvola sulla curva ormai discedente e non più ascendente dell’aspettativa di vita in Italia.
Ormai infatti si va in pensione più tardi, ci si cura di meno per motivi economici, aumenta il disagio sociale e quindi si muore di più e prima degli anni passati.
Senza ricorrere ancora all’eugenetica (dovete morire prima, ndr), una delle ipotesi che secondo il Fmi potrebbero essere seguite è quella dell’eliminazione della quattordicesima (in Italia appena introdotta sulle pensioni da luglio del 2017 e oscillante tra i 335 e i 655 euro) e di una riduzione della tredicesima sulle pensioni, che potrebbero essere sostituite con “interventi anti povertà”, un refrain questo che ormai sembra impazzare come unico modello di welfare per i miserabili compatibile con i brutali tagli alle spese sociali.
Un altro intervento possibile, secondo lo studio del Fmi, andrebbe portato avanti sulle pensioni di reversibilità e quindi, come nell’Ottocento, contro le vedove (e i vedovi ovviamente). Le pensioni che in Italia vengono assegnate a fronte della morte del congiunto equivalgono al 2,75% del Pil, e sono le più alte in Europa (forse perché, come dimostrato, ci sono più persone anziane? Ndr). Gli economisti del Fmi chiedono quindi di fissare un’età minima affinchè il coniuge vedovo ne benefici e di eliminare la possibilità che ne beneficino altri familiari. Alzando l’età minima, il Fmi si augura probabilmente che il coniuge superstite si affretti a raggiungere quello deceduto “prima” di poter usufruire della pensione di reversibilità. E i figli, che magari restano orfani? Si arrangino, è un problema loro e si diano da fare.
Ma il ricettario del Fmi non è finito. In fondo c’è un’altra terapia dolorosa, destinata soprattutto – e guarda caso – a quei paesi euromediterranei dove c’è un alta componente di lavoro autonomo (Italia, Spagna, Grecia). Infatti in tema di contributi previdenziali lo studio evidenza la disparità tra i contributi pagati dei lavoratori dipendenti (al 33% del salario) e quelli dei lavoratori autonomi e chiede di alzare ad almeno il 27% dall’attuale 24% l’aliquota di questi ultimi. Nessun accenno, ovviamente, in termini di ritorno pensionistico.
Anche sul terreno dei trattamenti pensionistici i tecnocrati delle elites sembrano ormai aver perso i freni inibitori e non si preoccupano di nascondere le loro soluzioni che somigliano tanto a quelle naziste, come il medico che in un dibattito televisivo con Cremaschi e la Fornero sosteneva con supponenza insopportabile che oggi si può lavorare tranquillamente fino a settanta anni. Così il periodo di quiescenza e del trattamento previdenziale diventa corto corto, con grande risparmio sui costi. Non quelli umani evidentemente. Questi qui vanno fermati, con ogni mezzo necessario, ne va della nostra sopravvivenza.
Nessun commento:
Posta un commento