domenica 25 marzo 2018

Fermare il Fiscal Compact, abolire l’art.81, referendum sui Trattati europei

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Prima di entrare direttamente nel merito del fiscal compact e cercare di capire cosa sia e cosa comporta, occorre a mio avviso allargare un attimo lo sguardo. Occorre capire e ricordarci, perché Eurostop l’ha già affrontato in più occasioni, cosa sia la costruzione europea e su cosa si fonda. Questo ci permette di comprendere la portata del fiscal compact stesso, trarne le opportune considerazioni e conclusioni politiche, dimostrando che le rivendicazione dei 3 NO (NO UE, Euro, Nato) che la piattaforma porta avanti come elemento fondante, non sono “per moda” o estremismo fine a se stesso e non rappresentano un argomento mono tematico legato alla sola questione della moneta, ma sono una piattaforma politica rigorosa se veramente vogliamo creare una proposta alternativa e contestualizzata alla fase.
Come si contestualizza il Fiscal Compact nella costruzione della UE

Possiamo sintetizzare che la costruzione dell’Unione Europea si fonda su tre pilastri cardine, che sono:
ordoliberalismo con “spruzzi” di neoliberalismo americano: il mercato e i suoi agenti da soli sono fallibili, portano ad instabilità non controllabile, ecco quindi la necessità di un sistema che interviene e controlla a favore del mercato e la concorrenza. Quello che deve essere tutelato è quindi il principio di concorrenza di mercato e la stabilità dei prezzi (inflazione). Occorre, quindi ed è questo che ci ritroviamo di fronte,  uno Stato che non lascia  fare come vuole al mercato (la mano libera di Adam Smith), ma che interviene  a garantire e favorire costantemente questi principi. Siamo di fronte ad uno Stato che è interventista in senso neoliberale (economia sociale di mercato).
Tutto questo si accompagna con una rivoluzione che deve essere portata avanti anche all’interno della società. Società che deve essere  riconvertita (ci sono riusciti con la famosa lotta di classe dall’alto) e fondata sul principio della concorrenza ad ogni livello, dove sia le istituzioni sia i cittadini, devono essere concepiti come singoli in concorrenza fra loro, imprese di sé, investimenti su stessi (il nuovo soggetto – “capitale umano” che si contestualizza nell’economia sociale di mercato). Anche in questo caso il ruolo dello Stato è fondamentale, e solo un ruolo interventista può realizzarlo.
Una riconversione in senso neoliberale delle società degli stati membri della UE, che va a distruggere l’assetto di “Welfare state” realizzato dopo la seconda guerra mondiale

funzionalismo: l’aggregazione è avvenuta e sta ancora avvenendo, unendo le funzioni e non per integrazione tra stati, come potrebbe essere un’unione federale o confederale, o un un’unione tra popoli. Queste possibilità se mai sono state in campo veramente nella costruzione UE (per me no), ne sono comunque uscite sconfitte.
Si è cominciato con il carbone e l’acciaio, per arrivare – identificando tra i principali  – all’unione economica e monetaria (UEM) che è sempre in fase di rafforzamento, si sta procedendo in merito al completamento dell’Unione Bancaria, dal 2015 dal punto di vista finanziario si sta costruendo  l’Unione dei mercati dei capitali per apportare maggiore resilienza al sistema UE dal punto di vista finanziario e favorire i finanziamenti di capitali per aziende, la Pesco ossia una nuova cooperazione militare e degli apparati di sicurezza, ecc.
Come si vede, sono state messe insieme le funzioni. Ma cosa comporta questo?
In merito a tutti questi temi le decisioni sono prese ad un livello sovranazionale, appunto quello degli organismi UE,  che si rispecchia nel sistema dei trattati  e in tutta una serie di “soft law”, ossia atti o procedure informali, come i libri verdi e i libri bianchi sul lavoro, l’ambiente, ecc. Si ottiene così un sistema che esclude completamente la sovranità nazionale, cioè ed intesa come sovranità democratica e popolare, escludendo i cittadini dalla possibilità di partecipare ed esprimersi in merito a questi temi e decisioni. Si ottiene così un’espulsione del processo democratico e passo dopo passo il suo annullamento.

Monetarismo: attraverso strumenti economici, quali appunto quelli legati al debito – qui troviamo il ruolo della moneta ma soprattutto e a pieno titolo qui troviamo il Fiscal Compact – si impongono dei vincoli economici che per essere traguardati richiedono le famose riforme strutturali, in merito al lavoro, allo stato sociale, al ruolo rinnovato dello Stato, che noi tutti conosciamo e che troviamo applicate dagli stati membri. Riforme strutturali che rispecchiano i principi appena esposti legati all’ordoliberismo e al funzionalismo.

Tutti questi aspetti si riassumono, si esprimono e agiscono nella costruzione dell’Unione Europea, la cui architrave è il sistema dei trattati e delle relative decisioni economiche vincolanti a cui bisogna sottostare. Un’architettura costruita secondo principi rigorosi e vincolanti, non riformabili in nessun altra direzione se si ragiona e agisce all’interno della compatibilità stessa che esprimono.

Andiamo maggiormente nel merito

Cos’è formalmente il Fiscal Compact?
“Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria” o  Patto intergovernativo di bilancio europeo, appunto in gergo conosciuto come Fiscal Compact (in italiano si può tradurre come patto di bilancio)”[1].
Per completezza bisogna dire che dal 2011 sono in vigore il “Six Pack” e il “Two Pack” (un rafforzamento del primo) che avevano lo scopo di andare a rafforzare ed applicare il PSC (Patto di Stabilità e Crescita) del ’97, che a sua volta rafforzava il TUE (trattato sull’Unione Europea conosciuto come Trattato di Maastricht). Entrambi hanno già in essere quelli che sono i tratti essenziali poi ripresi e strutturati dal Fiscal Compact.
“Siglato da 25 dei 28 stati membri dell’Ue il 30 gennaio del 2012 ad eccezione di Gran Bretagna e Repubblica Ceca (e, più tardi, Croazia), l’accordo è entrato in vigore il primo gennaio del 2013. L’art. 16 del Fiscal Compact  stabilisce che entro cinque anni dalla sua entrata in vigore (ovvero entro il 1° gennaio 2018), sulla base di una valutazione della sua attuazione, i 25 Paesi Europei firmatari – tra cui l’Italia – siano tenuti a fare i passi necessari per incorporarne le norme nella cornice giuridica dei Trattati Europei”[2].
Fu siglato come trattato intergovernativo e quindi a partire da quest’anno sarà inserito nell’architettura dei trattati e avrà validità in tutti i suoi aspetti.

L’accordo prevede per i paesi contraenti diversi vincoli tra cui:
  • Impegno a coordinare i piani di emissione del debito col Consiglio dell’Unione e con la Commissione europea.”  (Pratica già in corso in Italia). Con due novità che vengono introdotte dalla direttiva che porterà il Fiscal compact nei trattati UE. La prima: garantire il pareggio di bilancio con discipline di spesa esplicite in un periodo a medio termine. La seconda è un potere di controllo sulle “autorità indipendenti di bilancio” (in Italia la Ufficio parlamentare di Bilancio). In questo modo si ottiene un controllo UE (dato che comunque formalmente sono i parlamenti sovrani che hanno voto finale sul bilanci) esercitato con le autorità indipendenti, sui vincoli di spesa e bilancio di medio periodo, quindi inalterabili e trasversali alle differenti legislature dovute al voto elettorale. Si ha un totale svuotamento del potere fiscale degli stati sovrani
  • L’obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio (Introdotto in Italia con la modifica costituzionale dell’art.81)
  • La drastica riduzione del rapporto fra debito pubblico e Pil, pari ogni anno a un ventesimo della parte eccedente il 60% del Pil (quello che ci apprestiamo a fare)
Dopo la ratifica del trattato, ogni Paese ha avuto tempo fino al primo gennaio 2014 per introdurre i nuovi vincoli, tra cui, quello che impone il pareggio di bilancio nella legislazione nazionale.
“In Italia (ndr: veloce come il vento!) è stato votato a luglio 2012, Il presidente del Consiglio allora era Mario Monti, ed è stato inserito nella Costituzione (il famoso articolo 81) con una modifica costituzionale nell’aprile del 2012 entrata in vigore l’8 maggio 2012, ma le sue disposizioni hanno avuto effetto a partire dal 2014”[3].

Quello che comincerà ad avere effetto a partire da quest’anno,  ma realisticamente dal 2019,  è la riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL, pari ogni anno a un ventesimo della parte eccedente il 60% del PIL. Per l’Italia significa portare il rapporto debito pubblico PIL dal 133 % attuale,  al 60% entro 20 anni. Il che comporta dalle prime stime,  fare una manovra correttiva da almeno 50 miliardi ogni anno, tra tagli di spesa e aumenti di tasse.

Questi tagli ovviamente andranno a colpire la spesa pubblica chiudendo ogni possibilità di investimento a sostegno dell’economia e per il sociale. Per i prossimi 20 anni, quindi, ci ritroveremo un’operazione che non si può più solo definire di distruzione dello stato sociale come finora perpetrata, ma una vera operazione di “macelleria sociale” come avvenuto in Grecia.
Quindi, cos’è realmente il Fiscal Compact?
In base a quanto esposto nel dettaglio dei dati della sua costituzione e realizzazione, ma soprattutto considerando quanto esposto inizialmente sui tre pilastri fondanti della UE, quello che mi preme sottolineare è che questo strumento non è in primis uno strumento monetario, ma innanzi tutto uno strumento politico.
Non lo dico io o Eurostop, ce lo dicono con chiarezza e senza mezzi termini anche loro:
«Il bilancio deve servire a raggiungere i nostri obiettivi. Non è per noi uno strumento contabile ma un mezzo per conseguire i nostri obiettivi politici».(Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione europea In occasione della conferenza «Un bilancio dell’UE incentrato sui risultati», Bruxelles, 22 settembre 2015).
Uno strumento politico con il quale si impongono e si è imposta una rivoluzione neoliberale (per neoliberalismo intendo la forma del capitale oggi)  degli stati membri, nel senso dei principi fondanti della UE incorporati nell’architettura dei trattati.
Lo scopo di fondare una società sulla concorrenza, il privato, il mercato ed il profitto , a scapito dello stato sociale, dell’intervento pubblico a sostegno dell’economia, del diritto al lavoro.
Quest’ultimi tutti concetti espressi e difesi dalla costituzione italiana e da qui se ne comprende la grande volontà a modificarla.
Il mantra ideologico che viene agito a sostegno della riduzione del debito e del pareggio di bilancio dettati dal Fiscal Compact, è il paragone dell’economia di uno Stato (macro economia) con l’economia di una famiglia o di una azienda (micro economia, appunto) per le quali vale il principio (detto in modo molto semplice) che se ti trovi in una situazione debitoria,  devi tagliare per rientrare dal debito stesso. Niente di più falso può valere per la macroeconomia, dove invece occorre, per rilanciare l’economia stessa, consumi, servizi pubblici e difendere i diritti dei cittadini garantiti in costituzione, investire nella spesa pubblica!
Trovo prioritario politicamente in questo momento distruggere questo mantra ideologico, evidenziandone  la natura “draconiana” a livello economico e l’intento politico di cui sono portatori e attuatori strumenti come il Fiscal Compact.  Il tutto a dimostrazione della non riformabilità dell’architettura dei trattati, quindi della UE.
Il voto del 4 marzo ci ha evidenziato un popolo italiano che in modo spurio ha rifiutato l’impoverimento e la devastazione a cui conducono queste politiche, mandando a casa establishment neoliberale bipartisan.
Si rileva ancora una volta (vedi il voto sulla costituzione del 4 dicembre 2016) un’azione di rifiuto che viene agita attraverso lo strumento del voto e, in modo sporadico e localizzato,  attraverso le lotte sociali, lotte dal basso, lotte nel lavoro. Lotte che comunque esistono,  che non vanno abbandonate ma sempre sostenute ed ampliate ma che devono essere accompagnate a forme differenti di espressione del rifiuto più vicine a  come si danno oggi nella società italiana.
Ecco perché è fondamentale andare ad attivare la campagna per le leggi di iniziativa popolare in  merito all’art. 81 e per i referendum in materia di uscita dai Trattati europei.
Andiamo a parlare al rifiuto che c’è stato e nella “lingua” che può essere capita!
[1]AGI: Agenzia Giornalistica Italiana, 10 luglio 2017
[2] Ibidem
[3] AGI: Agenzia Giornalistica Italiana, 10 luglio 2017
*Eurostop Emilia-Romagna

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