contropiano
Ricordate i giorni
drammatici dell’assedio a Kobane? Quando l’incubo nero di Daesh
incombeva sulla Siria e sull’Iraq, e da lì su tutto il mondo?
Sembrava
inarrestabile, l’avanzata dei tagliagole di Al Baghdadi: sulle cartine
della Siria il nero era il colore predominante, l’esercito governativo
di Assad non sembrava in grado di tenere botta, i russi ancora non erano
intervenuti, la Turchia portava avanti la sua politica di ambiguità, di
fatto preoccupandosi più dei propri interessi che di limitare
l’espansione dell’Isis (che spesso aiutava), gli Stati Uniti
bombardavano le installazioni dello Stato Islamico ed allo stesso tempo
sostenevano i “ribelli siriani” che con l’islamismo radicale erano
assolutamente contigui. Nessuno realmente si opponeva alle milizie di
Daesh, tranne loro: i curdi.
Tra la fine del 2014 e
l’inizio del 2015 tutto il mondo, o quasi, seguì con apprensione ed
empatia l’eroica resistenza dei curdi del Rojava che, male armati e
peggio organizzati, resistevano casa per casa ed – incredibile! – piano
piano ribaltavano le sorti della battaglia, dando inizio ad una serie di
vittorie che, qualche mese fa, hanno di fatto estromesso Daesh dalla
Siria (anche se le notizie a riguardo sono sempre vaghe e frammentarie).
Il fascismo
teocratico dell’Isis strumento di oppressione da una parte, il
confederalismo democratico paritario e solidale dei curdi del Rojava
dall’altra: molto simile alla lotta del male contro il bene.
La ferrea ed indomita
resistenza curda ispirò molte menti e molti cuori: la solidarietà
internazionale militante e dal basso si attivò, ed una rete di sostegno e
di informazione iniziò ad operare.
Qualcuno decise anche
di andare oltre e di imbracciare il fucile, per difendere in prima
linea i principi di democrazia ed uguaglianza che l’esperimento politico
e sociale del Rojava stava trasformando in possibile realtà.
In Italia si iniziò a
parlare di “foreign fighters” nelle file dell’Ypg curdo grazie a Karim
Franceschi, giovane attivista di Senigallia che, in seguito ad una
esperienza di solidarietà attiva nei confronti del popolo curdo, ha
deciso di arruolarsi e di combattere: era il 2015, e a lui toccò
difendere Kobane dall’offensiva dello Stato Islamico.
La sua esperienza ebbe una discreta risonanza mediatica, anche grazie ad un libro, da lui stesso scritto: “Il Combattente”.
Fu in quel periodo
che in Italia iniziarono a circolare informazioni su questi “combattenti
stranieri” che si battevano nelle fila delle Unità di Protezione
Popolare curda. Fino a quel momento il “foreign fighters” era
esclusivamente l’occidentale convertito e/o radicalizzato che andava in
Siria per “arruolarsi” con l’Isis; ben poco si sapeva sui tanti
volontari europei, statunitensi e turchi che combattevano ormai da mesi,
morendo per difendere il Rojava e l’ipotesi di libertà e democrazia che
era implicita in quel progetto politico e sociale.
In pochi conoscevano l’esistenza dell’ International Freedom Battalion, istituito
il 10 giugno del 2015: un gruppo di combattimento esplicitamente
internazionalista e antifascista formato da volontari provenienti da
diversi paesi del mondo ed operativo in prima linea al fianco di Ypg e
Jpg. Di esplicita ispirazione politica marxista-leninista ed anarchica
in alcune sue componenti e sopratutto pensato sulla falsariga delle
Brigate Internazionali spagnole, l’IFB è composto da diversi gruppi e
movimenti provenienti da diverse parti del mondo: dalla Turchia il
partito comunista marxista-leninista (MLKP), Sosial Isian, il TKP, dalla
Spagna Recostruccion Comunista, dalla Grecia l’Unione Rivoluzionaria
per la solidarietà internazionale, da Inghilterra ed Irlanda la Bob Crow
Brigade, London Antifascist ed altri, dalla Francia la Brigata Henry
Krasucky, Nantes Rèvolteè ed il Blocus Paris. E poi albanesi, italiani,
cinesi, tedeschi e molte altre nazionalità rappresentate.
Poi
ci sono i morti, purtroppo ed ovviamente: chi non ce l’ha fatta, ed ha
messo in ballo la propria vita per un’idea ed un forte senso di
giustizia: da Ayse Deniz Karacagil – la ragazza turca nota anche come
“Cappuccio Rosso” e morta durante la battaglia per riprendere Raqqa, ad
Anna Campbell, inglese del Sussex recentemente caduta sotto i
bombardamenti turchi ad Afrin. Ed ancora Olivier François Jean Le
Clainche , combattente francese, e Sjoerd Heeger, dall’Olanda.
Sono soltanto alcuni nomi, a cui ne vanno aggiunti molti altri di cui non sappiamo, o sappiamo poco.
La solidarietà
internazionale dal basso e militante fa la sua parte anche in Siria, ed
ovunque ce ne sia bisogno (vedi Donbass): è importante parlarne, e far
conoscere le storie di questi combattenti nel nome di libertà, giustizia
sociale ed eguaglianza.
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lunedì 26 marzo 2018
Combattere (e morire) per un’idea: i “foreign fighters” della libertà curda
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