lunedì 26 marzo 2018

Combattere (e morire) per un’idea: i “foreign fighters” della libertà curda

 contropiano

Ricordate i giorni drammatici dell’assedio a Kobane? Quando l’incubo nero di Daesh incombeva sulla Siria e sull’Iraq, e da lì su tutto il mondo?

Sembrava inarrestabile, l’avanzata dei tagliagole di Al Baghdadi: sulle cartine della Siria il nero era il colore predominante, l’esercito governativo di Assad non sembrava in grado di tenere botta, i russi ancora non erano intervenuti, la Turchia portava avanti la sua politica di ambiguità, di fatto preoccupandosi più dei propri interessi che di limitare l’espansione dell’Isis (che spesso aiutava), gli Stati Uniti bombardavano le installazioni dello Stato Islamico ed allo stesso tempo sostenevano i “ribelli siriani” che con l’islamismo radicale erano assolutamente contigui. Nessuno realmente si opponeva alle milizie di Daesh, tranne loro: i curdi.
Ayse Deniz Karacagil
Tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 tutto il mondo, o quasi, seguì con apprensione ed empatia l’eroica resistenza dei curdi del Rojava che, male armati e peggio organizzati, resistevano casa per casa ed – incredibile! – piano piano ribaltavano le sorti della battaglia, dando inizio ad una serie di vittorie che, qualche mese fa, hanno di fatto estromesso Daesh dalla Siria (anche se le notizie a riguardo sono sempre vaghe e frammentarie).
Il fascismo teocratico dell’Isis strumento di oppressione da una parte, il confederalismo democratico paritario e solidale dei curdi del Rojava dall’altra: molto simile alla lotta del male contro il bene.
La ferrea ed indomita resistenza curda ispirò molte menti e molti cuori: la solidarietà internazionale militante e dal basso si attivò, ed una rete di sostegno e di informazione iniziò ad operare.
Qualcuno decise anche di andare oltre e di imbracciare il fucile, per difendere in prima linea i principi di democrazia ed uguaglianza che l’esperimento politico e sociale del Rojava stava trasformando in possibile realtà.
Anna Campbell
In Italia si iniziò a parlare di “foreign fighters” nelle file dell’Ypg curdo grazie a Karim Franceschi, giovane attivista di Senigallia che, in seguito ad una esperienza di solidarietà attiva nei confronti del popolo curdo, ha deciso di arruolarsi e di combattere: era il 2015, e a lui toccò difendere Kobane dall’offensiva dello Stato Islamico.
La sua esperienza ebbe una discreta risonanza mediatica, anche grazie ad un libro, da lui stesso scritto: “Il Combattente”.
Fu in quel periodo che in Italia iniziarono a circolare informazioni su questi “combattenti stranieri” che si battevano nelle fila delle Unità di Protezione Popolare curda. Fino a quel momento il “foreign fighters” era esclusivamente l’occidentale convertito e/o radicalizzato che andava in Siria per “arruolarsi” con l’Isis; ben poco si sapeva sui tanti volontari europei, statunitensi e turchi che combattevano ormai da mesi, morendo per difendere il Rojava e l’ipotesi di libertà e democrazia che era implicita in quel progetto politico e sociale.
In pochi conoscevano l’esistenza dell’ International Freedom Battalion, istituito il 10 giugno del 2015: un gruppo di combattimento esplicitamente internazionalista e antifascista formato da volontari provenienti da diversi paesi del mondo ed operativo in prima linea al fianco di Ypg e Jpg. Di esplicita ispirazione politica marxista-leninista ed anarchica in alcune sue componenti e sopratutto pensato sulla falsariga delle Brigate Internazionali spagnole, l’IFB è composto da diversi gruppi e movimenti provenienti da diverse parti del mondo: dalla Turchia il partito comunista marxista-leninista (MLKP), Sosial Isian, il TKP, dalla Spagna Recostruccion Comunista, dalla Grecia l’Unione Rivoluzionaria per la solidarietà internazionale, da Inghilterra ed Irlanda la Bob Crow Brigade, London Antifascist ed altri, dalla Francia la Brigata Henry Krasucky, Nantes Rèvolteè ed il Blocus Paris. E poi albanesi, italiani, cinesi, tedeschi e molte altre nazionalità rappresentate.
Poi ci sono i morti, purtroppo ed ovviamente: chi non ce l’ha fatta, ed ha messo in ballo la propria vita per un’idea ed un forte senso di giustizia: da Ayse Deniz Karacagil – la ragazza turca nota anche come “Cappuccio Rosso” e morta durante la battaglia per riprendere Raqqa, ad Anna Campbell, inglese del Sussex recentemente caduta sotto i bombardamenti turchi ad Afrin. Ed ancora Olivier François Jean Le Clainche , combattente francese, e Sjoerd Heeger, dall’Olanda.
Sono soltanto alcuni nomi, a cui ne vanno aggiunti molti altri di cui non sappiamo, o sappiamo poco.
La solidarietà internazionale dal basso e militante fa la sua parte anche in Siria, ed ovunque ce ne sia bisogno (vedi Donbass): è importante parlarne, e far conoscere le storie di questi combattenti nel nome di libertà, giustizia sociale ed eguaglianza.

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